2021-12-28
Berlino spegne tre centrali nucleari e fa salire ancora prezzi ed emissioni
Venerdì saranno dismessi tre impianti, a cui ne seguiranno altri fino all’addio all’atomo entro il 2022. La crisi energetica non ferma la Germania, che però continuerà a utilizzare il super inquinante carboneLa Germania non si ferma e, nel bel mezzo della più grave crisi energetica degli ultimi 50 anni, prosegue imperterrita nel programma di dismissione delle centrali nucleari. Il 31 dicembre sarà l’ultimo giorno di esercizio per tre grossi impianti (Brokdorf , Grohnde e Gundremmingen), che saranno messi a riposo e per i quali inizierà il processo di decomissioning. La promessa fatta da Angela Merkel nel 2011, dopo l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima, viene mantenuta. Altre due centrali verranno spente entro il giugno del prossimo anno e l’ultima sarà chiusa nel dicembre 2022. Le tre centrali che chiuderanno a San Silvestro sommano 3.530 Mw di potenza, equivalenti a circa 26 Twh/anno di energia elettrica prodotta. Le tre rimanenti, per oltre 4.000 Mw, avevano prodotto sinora altri 30 Twh/anno. In totale, quindi, quasi 60 miliardi di kilowattora di produzione elettrica verranno a mancare entro 12 mesi. Tutto ciò mentre l’Europa è nel pieno di una crisi di offerta di energia senza precedenti. Il nuovo governo semaforo alla guida della Germania non sembra preoccupato dalla scadenza ravvicinata, anzi ha annunciato di aver anticipato la chiusura definitiva degli impianti a carbone al 2030 (anziché nel 2038 come stabilito in precedenza). Un primo effetto di queste decisioni si è già visto, poiché il prezzo per i prodotti forward sull’energia per il 2022 è molto più alto di quello del 2021. Un secondo effetto sarà che la Germania nel corso del 2022 smetterà di esportare energia elettrica. La Germania è infatti un esportatore netto, soprattutto verso Francia, Svizzera, Olanda e Austria. Un terzo effetto, per il mancato export tedesco, si avrà sui sistemi produttivi nazionali e si potrà valutare solo a posteriori. Tutto ciò se nel frattempo la potenza dismessa non sarà sostituita con altra. Le fonti rinnovabili però non sono in grado di fornire una produzione continua, per cui anche a fronte di installazioni corpose di impianti solari o eolici sarà necessario integrare con impianti a gas e a carbone. Se parliamo di abbattere le emissioni di CO2, chiudere prima le centrali nucleari e solo dopo quelle a carbone rappresenta un paradosso, considerato che le emissioni di un impianto nucleare sono quasi pari a zero mentre le centrali a carbone emettono a profusione. Nei prossimi anni è probabile che in Germania ci sia un aumento delle emissioni di CO2, piuttosto che una diminuzione. Venendo a mancare da subito 26 Twh/anno di energia di base, che entrava nelle offerte del mercato spot a costo variabile vicino a zero, c’è anche da attendersi un quarto effetto, cioè una maggiore volatilità dei prezzi sul mercato spot. Ma a preoccupare, oltre ai prezzi, è la reale capacità dell’offerta di energia elettrica di soddisfare una domanda in crescita tendenziale. Con il taglio drastico della propria capacità produttiva, la Germania si pone, scientemente, in una posizione di grande debolezza strategica, trascinando con sé in questa fragilità i partner europei. Al punto che la notizia di alcune navi di Lng in arrivo dagli Usa è stata accolta dai mercati (e dai governi europei) come una liberazione. La situazione resta difficile: la Francia è alle prese con l’obsolescenza delle proprie centrali nucleari e fatica a sostenere il carico di energia richiesta. Il ministro per la Transizione ecologica, Barbara Pompili, ha escluso l’eventualità di blackout ma ha indicato come possibili «distacchi controllati» nel caso di stress sulla rete. Il gas nell’Europa occidentale scarseggia, con gli stoccaggi riempiti solo in parte durante l’estate e già arrivati alla soglia del 50% di svuotamento. Il gasdotto Nord stream 2, che nei progetti avrebbe dovuto iniziare le operazioni un mese fa, dovrebbe terminare il ciclo di accreditamento non prima di sei mesi. In altre parole, il sistema energetico franco tedesco rischia di diventare il buco nero d’Europa. In questi giorni festivi i prezzi all’ingrosso hanno ritracciato su valori meno clamorosi rispetto a una settimana fa: è l’effetto della minore domanda industriale, combinato con temperature ancora non rigide e con l’arrivo di Lng dagli Stati Uniti. Ma i nodi fondamentali del mercato energetico europeo non sono stati sciolti e presto ci ritroveremo al punto di partenza. Nei prossimi giorni l’Arera comunicherà l’aggiornamento delle tariffe energetiche per il primo trimestre 2022 e, stante il misero contributo governativo di 3,8 miliardi di euro inserito in manovra, non potrà che sancire aumenti compresi tra il 30 e il 50%. Costi insostenibili per gran parte delle aziende, che vedono seriamente minacciata la propria continuità, e per le famiglie. Il governo ha sin qui sottovalutato la portata reale della crisi energetica in atto, evitando accuratamente concetti come politica industriale. Forse, invece, è proprio di questo che dovremmo ricominciare a parlare.