2022-08-19
Berlino alla canna del gas ne esce fregando l’Ue sull’Iva e usandoci come paracadute
Paolo Gentiloni e Olaf Scholz (Ansa)
Scholz sfrutta l’assist di Gentiloni e taglia l’imposta sui consumi per aiutare le famiglie. Obiettivi di stoccaggio quasi impossibili: la solidarietà (a spese nostre) si avvicina?Siglato un accordo per stringere i rapporti, soprattutto nel settore dei semiconduttori. La Cina reagisce subito: «Noi contrari». E Taipei mobilita l’esercito e i lanciamissili.Lo speciale contiene due articoli.Dopo la bocciatura da parte di Bruxelles della richiesta di non applicare l’Iva sulla Gasumlage appena introdotta (il meccanismo che scarica sui cittadini il maggior costo del gas), il governo-semaforo di Olaf Scholz aggira l’ostacolo abbassando l’Iva sul consumo di gas. L’idea è quella di far scendere dal 19% al 7% l’Iva sui consumi, per minimizzare l’impatto sui consumatori tedeschi della tassa di scopo che servirà a sostenere le aziende del settore energetico in forte crisi. La riduzione dell’Iva sarebbe temporanea e scadrebbe quando scadrà la Gasumlage, cioè nel marzo 2024. Questa volta Bruxelles non avrebbe nulla da eccepire, anzi pare che il suggerimento sia arrivato dallo stesso commissario competente, l’italiano Paolo Gentiloni. La Gasumlage è fissata a 2,4 centesimi di euro a kilowattora e dovrebbe costare in media 500 euro l’anno a famiglia.Impegnatissimo ad allacciare rapporti internazionali utili in chiave energetica (Scholz è in partenza per il Canada in cerca di Lng), il governo tedesco ha già varato nei mesi scorsi due provvedimenti da 15 miliardi l’uno, giudicati però ampiamente insufficienti da imprese e sindacati. Per questo, qualche giorno fa, lo stesso Scholz, in conferenza stampa, si è premurato di far sapere ai cittadini tedeschi che «You would never walk alone» (non camminerete mai da soli), utilizzando, in inglese, il titolo del celeberrimo inno del Liverpool Football Club, cantato a squarciagola dai tifosi dei Reds ad ogni partita ad Anfield. Enfasi calcistica a parte, per l’autunno il governo verde-giallo-rosso prevede aiuti per altri 30 miliardi, soprattutto a sostegno delle famiglie a basso reddito. Ma è opinione diffusa che si tratti di ben poca cosa di fronte allo tsunami economico che sta per sollevarsi. La sclerosi logistica che ha colpito il Paese a causa della secca del fiume Reno ha, ancora una volta, mostrato quanto sia fragile il sistema economico tedesco. Una debolezza figlia di una cronica ossessione per il risparmio e lo schwarze null, lo zero netto nel bilancio pubblico, che comporta ridotti investimenti pubblici e, di conseguenza, infrastrutture carenti e vecchie. Il trasporto merci su rotaia ne è un esempio, con vagoni vecchi e tratte inadeguate.La notizia più rilevante di ieri è però il grido di dolore lanciato da Klaus Mueller, capo del Bundesnetzagentur, che sta esternando praticamente tutti i giorni, avvenimento inusuale per una istituzione di regolazione di solito molto misurata. Il responsabile della regolazione si è detto scettico sulla possibilità di raggiungere gli obiettivi di riempimento degli stoccaggi nei tempi previsti. Dopo che la Germania ha raggiunto con ampio anticipo l’obiettivo del 75% di riempimento entro fine agosto, Mueller non crede che il prossimo traguardo sia raggiungibile facilmente: «Non mi aspetto che raggiungeremo i prossimi obiettivi di stoccaggio così rapidamente come il primo», ha affermato. Raggiungere l’85% di riempimento «non è impossibile, ma molto ambizioso, soprattutto entro il 1° ottobre, se i riscaldamenti dovessero essere già in uso», ha proseguito Mueller. Il successivo traguardo è il 95% di riempimento entro il 1° novembre. Il regolatore ha poi avvertito che anche il successivo inverno si presenta critico, data la probabilità che gli stoccaggi vengano completamente svuotati quest’anno: «Non si tratta solo di un inverno, si tratta di almeno due e il prossimo inverno potrebbe essere ancora più duro», ha concluso Mueller invitando i tedeschi a risparmiare gas da subito.In ogni caso, di fronte al calo delle forniture dalla Russia, avere gli stoccaggi pieni non basterà alla Germania per passare indenne l’inverno. Serviranno comunque azioni di riduzione della domanda, anche se si calcola che già a luglio il consumo industriale di gas sia calato del 26% rispetto alla media degli ultimi 5 anni. A questo punto, gli accordi di solidarietà che la Germania ha firmato nei mesi scorsi con alcuni partner europei, tra cui l’Italia, entreranno certamente in funzione il prossimo inverno. Questi prevedono che gli stati membri forniscano reciproca assistenza nell’eventualità di interruzioni o forti situazioni di squilibrio. Nel caso, si attiverebbero forniture di gas dall’Italia verso la Germania, che comunque non potranno essere per volumi molto grandi, vista la situazione critica anche per il nostro Paese. Gli accordi prevedono che il gas e il servizio vengano remunerati dallo Stato membro che li riceve.Il riempimento degli stoccaggi in Italia procede (oggi siamo al 77,5% della capacità), sia pure a costi altissimi, trattandosi di gas che viene acquistato spot con prezzi in costante ascesa. Anche per l’Italia, però, a flussi di importazione attuali, se venisse a mancare totalmente il gas russo ci sarebbero grossi problemi. Stupisce, ma forse non più, il silenzio del governo sulle (ipotetiche) misure di contenimento dei consumi, che sembrano diventare di giorno in giorno sempre più necessarie. I rischi per l’Italia sono due. Il primo è legato all’eccessiva esposizione verso l’Algeria: nel bilancio giornaliero di ieri il gas dal paese nordafricano ha rappresentato il 40% dell’import (cioè quanto era prima il peso della Russia). Il secondo rischio è che non vi sia preparazione nel momento in cui il freddo e la chiusura delle valvole dei gasdotti russi imporranno restrizioni. Il governo degli affari correnti dovrebbe battere un colpo, se c’è.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/berlino-alla-canna-del-gas-ne-esce-fregando-lue-sulliva-e-usandoci-come-paracadute-2657885776.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="taiwan-piu-commerci-con-gli-usa" data-post-id="2657885776" data-published-at="1660906567" data-use-pagination="False"> Taiwan, più commerci con gli Usa Gli Stati Uniti e Taiwan hanno concordato mercoledì l’avvio di colloqui per siglare un accordo volto a intensificare gli scambi commerciali: il primo round di negoziazioni è previsto già per l’inizio dell’autunno. Se il principale negoziatore commerciale di Taiwan, John Deng, ha dichiarato che l’intesa è volta a contrastare la «coercizione economica della Cina», il Financial Times ha comunque riferito che Taipei non sarebbe del tutto soddisfatta: spererebbe infatti nella possibilità di raggiungere un vero e proprio trattato di libero scambio con Washington. Del resto, l’amministrazione Biden aveva annunciato l’iniziativa commerciale con Taiwan lo scorso giugno, poco dopo aver escluso l’isola da un progetto di network economico rivolto a vari Paesi dell’Asia-Pacifico (un’esclusione che aveva irritato Taipei). Ricordiamo che Taiwan dipende attualmente in modo notevole dal Dragone sul fronte commerciale. Secondo Axios, nel 2021 Cina e Hong Kong sono stati i destinatari del 42% delle esportazioni di Taipei: solo il 14% dell’export taiwanese ha invece interessato gli Stati Uniti. Si teme quindi che questa situazione possa spingere Pechino a usare la leva commerciale per mettere sotto pressione il governo di Taipei: un rischio già concretizzatosi negli scorsi giorni, quando la Cina, subito dopo il viaggio di Nancy Pelosi, ha avviato minacciose esercitazioni militari nelle acque dell’isola, bloccando contemporaneamente l’importazione di alcuni prodotti da Taiwan. Non solo: l’anno scorso, la Repubblica popolare fermò l’import di merce lituana, dopo che Taipei aveva aperto una propria ambasciata de facto a Vilnius. Neanche a dirlo, Pechino ha dichiarato di non gradire le negoziazioni tra Usa e Taiwan. «La Cina si oppone fermamente a questo», ha detto il ministero del Commercio cinese. Ricordiamo che gli Usa aderiscono alla politica dell’unica Cina e che intrattengono relazioni diplomatiche con la Repubblica popolare. Dall’altra parte, continuano a mantenere un atteggiamento intenzionalmente ambiguo rispetto a Taiwan, mentre - durante la presidenza di Donald Trump - sono state approvate due leggi dal Congresso americano che hanno portato Washington sulla soglia del ripristino dei rapporti ufficiali con l’isola. In tutto questo, va rammentato che Taiwan non ha mai riconosciuto né è mai stata sotto il controllo della Repubblica popolare, istituita nel 1949 da Mao Zedong. La stessa risoluzione Onu del 1971, che assegnò il seggio al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite alla Repubblica popolare, non conferisce a quest’ultima alcuna autorità sull’isola. È chiaro che, con la nuova intesa commerciale, Washington punta ad arginare l’influenza geopolitica del Dragone e a salvaguardare il comparto dei semiconduttori. Taiwan è tra i principali produttori al mondo di microchip: ragion per cui, qualora cadesse in mano cinese, si prospetterebbero rilevanti problemi. Pechino potrebbe infatti bloccare l’approvvigionamento all’Occidente o mettere in commercio prodotti di dubbia sicurezza. Ieri, nel frattempo, l’esercito taiwanese ha effettuato un’esercitazione con missili e cannoni, simulando la risposta a un attacco missilistico cinese.
«It – Welcome to Derry» (Sky)
Lo scrittore elogia il prequel dei film It, in arrivo su Sky il 27 ottobre. Ambientata nel 1962, la serie dei fratelli Muschietti esplora le origini del terrore a Derry, tra paranoia, paura collettiva e l’ombra del pagliaccio Bob Gray.
Keir Starmer ed Emmanuel Macron (Getty Images)
Ecco #DimmiLaVerità del 24 ottobre 2025. Ospite Alice Buonguerrieri. L'argomento del giorno è: " I clamorosi contenuti delle ultime audizioni".
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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