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2023-12-31
Ratzinger frenava la deriva a sinistra. Ora Bergoglio irrita pure la «claque»
Papa Francesco (Getty Images)
Per la Chiesa, questo è stato un annus horribilis. La morte di Benedetto XVI, il 31 dicembre 2022, ha scoperchiato un vaso di pandora, spingendo i progressisti a imprimere un’accelerazione all’agenda caldeggiata dal Papa regnante, ormai liberato da un «doppio» ingombrante. Ma il 2023 non si sta concludendo con il trionfo dei riformisti, il soggiogamento dei bigotti e il plauso entusiasta dei fedeli. Anzi: persino la stampa chic, abituata a incensare Jorge Mario Bergoglio, dopo l’azzardo della Fiducia Supplicans, paradossalmente inizia a voltargli le spalle. Forse Benedetto XVI era davvero quel «potere frenante» che rallenta il dilagare del caos. Non solo mentre era sul soglio e distillava antidoti al relativismo e al nichilismo, alcuni dei quali raccolti nella pagina accanto, pescati tra le omelie per i Te Deum pronunciate durante il Pontificato. Anche mentre appariva fragile, esile, emarginato, o addirittura un sorvegliato speciale, l’emerito aveva conservato la lucidità del pensiero e la capacità di bilanciare silenzi e parole. In questo modo, ogni intervento in difesa del magistero risuonava per peso e autorevolezza.
Alla sua dipartita, in parecchi hanno pensato a un tappo che saltava. Da quel momento, le fratture nello scafo della «barca di Pietro» si sono allargate. Vi ha contribuito, invero, l’amarezza di chi aveva amato Joseph Ratzinger, come il suo segretario personale, padre Georg Gänswein: a pochi giorni dalla scomparsa del teologo tedesco, egli diede alle stampe un memoriale che aveva il sapore di una resa dei conti con Jorge Mario Bergoglio. Intanto, i progressisti si preparavano a una lunga serie di sbandate a sinistra: la sbrigativa risposta ai dubia sulla comunione ai divorziati risposati; l’uscita della Laudate Deum, l’esortazione apostolica ecologista; l’investimento retorico di Francesco nella fallimentare Cop28; il semaforo verde per i transgender padrini e madrine di battesimo; la decisione di togliere al cardinale Raymond Leo Burke casa e stipendio, alla faccia degli inviti ai prelati a esprimersi in libertà. L’ultimo atto del conflitto vaticano - la Dichiarazione dell’ex Sant’Uffizio che autorizza la benedizione delle coppie irregolari e omosessuali - ha però irritato i altresì rappresentanti del clero vicini, o per lo meno non ostili, al Pontefice. E allora, il temuto se non stuzzicato scisma dei conservatori sta diventando meno probabile: l’episcopato delle «periferie», elette da Bergoglio a luogo evangelico privilegiato, si è compattato sulle istanze della tradizione. I pastori attenti al loro gregge e intellettualmente onesti non possono digerire la bizzarra logica del prefetto della Fede, il quale stravolge la forma garantendo che la sostanza rimarrà intatta.
Il Papa fa pieno affidamento sul cardinale Víctor Manuel Fernández, che ha messo al vertice del Dicastero. Tant’è che ha firmato il testo da lui vergato senza nemmeno leggerlo. Ma stavolta, Tucho si è spinto troppo in là. Sia per il modus operandi, visto che ha esautorato la Feria Quarta dalla stesura di Fiducia Supplicans; sia per la rivoluzione che il porporato ha tentato di innescare, contraddicendo senza cautele il Responsum di due anni fa, licenziato dal suo predecessore, tramite un espediente zoppicante. Giurare, cioè, che l’alterazione della prassi non pregiudica l’insegnamento plurisecolare della Chiesa.
È un cortocircuito che ieri ha colto, in un severo editoriale sulla Stampa, Marcello Sorgi, abbandonano l’abituale penna felpata. Il giornalista ha virgolettato le perplessità di un anonimo porporato sulla questione delle benedizioni: «Se si tratta semplicemente dei gay, questo era già consentito e non si vede la novità. Ma se parliamo delle coppie gay, occorrerebbe spiegare come si fa a benedire persone che per la dottrina si rendono responsabili di un peccato mortale come la sodomia. E poi, qual è la liturgia? E se non c’è liturgia, che benedizione è?». Sorgi ha sollevato inoltre un tema politico: «Non c’è bisogno della chiarezza dottrinaria di Benedetto […] per capire che la benedizione agli omosessuali introdotta nella stagione delle purghe e dei processi per i responsabili di abusi all’interno della Chiesa può favorire qualche contraddizione». Insomma, è diventato difficile credere a misericordia e sinodalità, giacché il potere viene accentrato ed esercitato in modo arbitrario, talora vendicativo.
Per il Pontefice, convinto che a criticarlo sia solo «la stampa di estrema destra», le due pagine del quotidiano torinese dedicate a Ratzinger e niente affatto benevole nei confronti dell’argentino, dovrebbero rappresentare un segnale allarmante. I giornali progressisti, che lo celebravano da un decennio per le coraggiose «aperture» (ai migranti, alle donne, agli omosessuali, ai trans...), stanno mugugnando. E non per la timidezza delle riforme, per l’inconcludenza dei discorsi di rottura che stentano a tradursi in atti di governo. Alla sbarra c’è un’audacia disordinata che rischia di rivelarsi controproducente.
Non sarà sfuggito un dettaglio agli osservatori acuti: La Stampa, che ha ospitato l’intemerata di Sorgi, è il quotidiano da cui proviene Andrea Tornielli, adesso direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione. Per la serie: dagli amici mi guardi Dio, ché dai nemici mi guardo io.
«Il malcontento ormai è trasversale e riapre i giochi per il conclave»
La Dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede, Fiducia supplicans, che apre alla benedizione delle coppie irregolari, incluse quelle omosessuali, ha suscitato fra il clero reazioni che oltrepassano la dicotomia conservatori-progressisti: a criticare il documento, giudicandolo confuso, nocivo e contrario alla dottrina e annunciando che non lo applicheranno, sono infatti stati molti vescovi e cardinali - in gran parte africani, ma anche d’Oriente e del Sudamerica - che mai avevano espresso apertamente perplessità verso l’operato del Papa. Allo storico Roberto de Mattei, presidente della Fondazione Lepanto e direttore della rivista Radici Cristiane, abbiamo chiesto come leggere questa levata di scudi che viene da quelle «periferie» così care a Francesco.
«La protesta contro Fiducia supplicans è qualcosa di inedito nella storia della Chiesa. Nel 1968 la ribellione di alcuni vescovi centroeuropei contro l’enciclica Humanae vitae di Paolo VI, che condannava la contraccezione, fu di proporzioni minori ed era rivolta contro un Papa che ribadiva il magistero della Chiesa. Qui, al contrario, è il Papa che è stato accusato, in maniera esplicita o velata, da un impressionante numero di vescovi e conferenze episcopali di tutto il mondo, di allontanarsi dall’ortodossia della fede cattolica. Se qualcuno poteva credere che il dissenso contro papa Francesco derivasse da una “cospirazione” di vescovi americani, oggi è smentito dai fatti. La critica più forte e più numerosa è stata espressa da quelle “periferie”, a cominciare dal continente africano, che tanto spesso papa Francesco ha invocato come portatrici di autentici valori religiosi e umani, mentre la filosofia del documento è stata fatta propria da alcune conferenze episcopali, come quelle del Belgio, della Germania e della Svizzera, che rappresentano gli episcopati più mondanizzati dell’Occidente. La larga maggioranza dei vescovi e dei cardinali o non si è manifestata o, quando l’ha fatto, ha suggerito di interpretare Fiducia supplicans su una linea di coerenza, e non di discontinuità, con il Catechismo della Chiesa cattolica».
Questa situazione inedita avrà secondo lei ripercussioni sul prossimo conclave?
«Per la prima volta viene alla luce l’ampiezza di uno schieramento antibergogliano, che comprende cardinali nominati dallo stesso papa Francesco, come l’arcivescovo di Kinshasa, Fridolin Ambongo, presidente delle Conferenze episcopali africane, e quello di Montevideo, Daniel Ferdinand Sturla. Entrambi saranno cardinali elettori nel prossimo conclave in cui un centro magmatico e oscillante sarà costretto a scegliere tra le due minoranze contrapposte: da una parte il polo fedele all’insegnamento della Chiesa, dall’altra il polo fedele al nuovo paradigma. Lo scontro si svolgerà in una situazione di sede vacante, quando Francesco sarà già uscito di scena, i media taceranno e ogni elettore si troverà solo di fronte a Dio e alla propria coscienza. Quanto basta per far pensare che il prossimo conclave sarà contrastato e non breve. Con Fiducia supplicans il Papa, al di là delle sue intenzioni, ha dato inizio al pre conclave. I giorni delle festività saranno di tregua, poi la battaglia si riaccenderà».
Non si può non notare che la contestazione nei confronti di Fiducia supplicans è avvenuta proprio in quell’ottica sinodale promossa dal Pontefice.
«Fino ad oggi si è preteso di seguire la via dell’eterodossia in nome della sinodalità. Che cosa accade quando una voce sinodale forte come quella dell’Africa chiede di rimanere fedeli alla legge del Vangelo? Mi sembra che il viaggio sinodale dei vescovi tedeschi si stia arenando in Africa».
A fronte della presa di posizione, in un senso o nell’altro, di molte conferenze episcopali, spicca il silenzio della Cei, che non si è ancora espressa con un documento ufficiale. Secondo lei perché?
«Perché la Conferenza episcopale italiana è la più vicina a Roma ed è sempre stata la più sensibile alle direttive che dal centro romano promanano. Ciò l’ha resa più fedele nei tempi di fedeltà, ma oggi rischia di farla cadere nel caos, soprattutto quando i vescovi italiani capiranno che la carta vincente forse non si trova dove essi pensavano».
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La morte del teologo tedesco ha spinto i progressisti ad accelerare le riforme. Ma con le benedizioni alle coppie gay si son spinti troppo in là: Francesco riceve critiche dal clero delle «periferie» e persino dalla stampa amica. Lo storico Roberto De Mattei : «Il voto dei cardinali nominati dal Papa non è più scontato. L’Africa gli ha ritorto contro la sinodalità». Lo speciale contiene due articoli.Per la Chiesa, questo è stato un annus horribilis. La morte di Benedetto XVI, il 31 dicembre 2022, ha scoperchiato un vaso di pandora, spingendo i progressisti a imprimere un’accelerazione all’agenda caldeggiata dal Papa regnante, ormai liberato da un «doppio» ingombrante. Ma il 2023 non si sta concludendo con il trionfo dei riformisti, il soggiogamento dei bigotti e il plauso entusiasta dei fedeli. Anzi: persino la stampa chic, abituata a incensare Jorge Mario Bergoglio, dopo l’azzardo della Fiducia Supplicans, paradossalmente inizia a voltargli le spalle. Forse Benedetto XVI era davvero quel «potere frenante» che rallenta il dilagare del caos. Non solo mentre era sul soglio e distillava antidoti al relativismo e al nichilismo, alcuni dei quali raccolti nella pagina accanto, pescati tra le omelie per i Te Deum pronunciate durante il Pontificato. Anche mentre appariva fragile, esile, emarginato, o addirittura un sorvegliato speciale, l’emerito aveva conservato la lucidità del pensiero e la capacità di bilanciare silenzi e parole. In questo modo, ogni intervento in difesa del magistero risuonava per peso e autorevolezza.Alla sua dipartita, in parecchi hanno pensato a un tappo che saltava. Da quel momento, le fratture nello scafo della «barca di Pietro» si sono allargate. Vi ha contribuito, invero, l’amarezza di chi aveva amato Joseph Ratzinger, come il suo segretario personale, padre Georg Gänswein: a pochi giorni dalla scomparsa del teologo tedesco, egli diede alle stampe un memoriale che aveva il sapore di una resa dei conti con Jorge Mario Bergoglio. Intanto, i progressisti si preparavano a una lunga serie di sbandate a sinistra: la sbrigativa risposta ai dubia sulla comunione ai divorziati risposati; l’uscita della Laudate Deum, l’esortazione apostolica ecologista; l’investimento retorico di Francesco nella fallimentare Cop28; il semaforo verde per i transgender padrini e madrine di battesimo; la decisione di togliere al cardinale Raymond Leo Burke casa e stipendio, alla faccia degli inviti ai prelati a esprimersi in libertà. L’ultimo atto del conflitto vaticano - la Dichiarazione dell’ex Sant’Uffizio che autorizza la benedizione delle coppie irregolari e omosessuali - ha però irritato i altresì rappresentanti del clero vicini, o per lo meno non ostili, al Pontefice. E allora, il temuto se non stuzzicato scisma dei conservatori sta diventando meno probabile: l’episcopato delle «periferie», elette da Bergoglio a luogo evangelico privilegiato, si è compattato sulle istanze della tradizione. I pastori attenti al loro gregge e intellettualmente onesti non possono digerire la bizzarra logica del prefetto della Fede, il quale stravolge la forma garantendo che la sostanza rimarrà intatta.Il Papa fa pieno affidamento sul cardinale Víctor Manuel Fernández, che ha messo al vertice del Dicastero. Tant’è che ha firmato il testo da lui vergato senza nemmeno leggerlo. Ma stavolta, Tucho si è spinto troppo in là. Sia per il modus operandi, visto che ha esautorato la Feria Quarta dalla stesura di Fiducia Supplicans; sia per la rivoluzione che il porporato ha tentato di innescare, contraddicendo senza cautele il Responsum di due anni fa, licenziato dal suo predecessore, tramite un espediente zoppicante. Giurare, cioè, che l’alterazione della prassi non pregiudica l’insegnamento plurisecolare della Chiesa.È un cortocircuito che ieri ha colto, in un severo editoriale sulla Stampa, Marcello Sorgi, abbandonano l’abituale penna felpata. Il giornalista ha virgolettato le perplessità di un anonimo porporato sulla questione delle benedizioni: «Se si tratta semplicemente dei gay, questo era già consentito e non si vede la novità. Ma se parliamo delle coppie gay, occorrerebbe spiegare come si fa a benedire persone che per la dottrina si rendono responsabili di un peccato mortale come la sodomia. E poi, qual è la liturgia? E se non c’è liturgia, che benedizione è?». Sorgi ha sollevato inoltre un tema politico: «Non c’è bisogno della chiarezza dottrinaria di Benedetto […] per capire che la benedizione agli omosessuali introdotta nella stagione delle purghe e dei processi per i responsabili di abusi all’interno della Chiesa può favorire qualche contraddizione». Insomma, è diventato difficile credere a misericordia e sinodalità, giacché il potere viene accentrato ed esercitato in modo arbitrario, talora vendicativo. Per il Pontefice, convinto che a criticarlo sia solo «la stampa di estrema destra», le due pagine del quotidiano torinese dedicate a Ratzinger e niente affatto benevole nei confronti dell’argentino, dovrebbero rappresentare un segnale allarmante. I giornali progressisti, che lo celebravano da un decennio per le coraggiose «aperture» (ai migranti, alle donne, agli omosessuali, ai trans...), stanno mugugnando. E non per la timidezza delle riforme, per l’inconcludenza dei discorsi di rottura che stentano a tradursi in atti di governo. Alla sbarra c’è un’audacia disordinata che rischia di rivelarsi controproducente.Non sarà sfuggito un dettaglio agli osservatori acuti: La Stampa, che ha ospitato l’intemerata di Sorgi, è il quotidiano da cui proviene Andrea Tornielli, adesso direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione. Per la serie: dagli amici mi guardi Dio, ché dai nemici mi guardo io. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bergoglio-irrita-pure-la-claque-2666839789.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-malcontento-ormai-e-trasversale-e-riapre-i-giochi-per-il-conclave" data-post-id="2666839789" data-published-at="1704044449" data-use-pagination="False"> «Il malcontento ormai è trasversale e riapre i giochi per il conclave» La Dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede, Fiducia supplicans, che apre alla benedizione delle coppie irregolari, incluse quelle omosessuali, ha suscitato fra il clero reazioni che oltrepassano la dicotomia conservatori-progressisti: a criticare il documento, giudicandolo confuso, nocivo e contrario alla dottrina e annunciando che non lo applicheranno, sono infatti stati molti vescovi e cardinali - in gran parte africani, ma anche d’Oriente e del Sudamerica - che mai avevano espresso apertamente perplessità verso l’operato del Papa. Allo storico Roberto de Mattei, presidente della Fondazione Lepanto e direttore della rivista Radici Cristiane, abbiamo chiesto come leggere questa levata di scudi che viene da quelle «periferie» così care a Francesco.«La protesta contro Fiducia supplicans è qualcosa di inedito nella storia della Chiesa. Nel 1968 la ribellione di alcuni vescovi centroeuropei contro l’enciclica Humanae vitae di Paolo VI, che condannava la contraccezione, fu di proporzioni minori ed era rivolta contro un Papa che ribadiva il magistero della Chiesa. Qui, al contrario, è il Papa che è stato accusato, in maniera esplicita o velata, da un impressionante numero di vescovi e conferenze episcopali di tutto il mondo, di allontanarsi dall’ortodossia della fede cattolica. Se qualcuno poteva credere che il dissenso contro papa Francesco derivasse da una “cospirazione” di vescovi americani, oggi è smentito dai fatti. La critica più forte e più numerosa è stata espressa da quelle “periferie”, a cominciare dal continente africano, che tanto spesso papa Francesco ha invocato come portatrici di autentici valori religiosi e umani, mentre la filosofia del documento è stata fatta propria da alcune conferenze episcopali, come quelle del Belgio, della Germania e della Svizzera, che rappresentano gli episcopati più mondanizzati dell’Occidente. La larga maggioranza dei vescovi e dei cardinali o non si è manifestata o, quando l’ha fatto, ha suggerito di interpretare Fiducia supplicans su una linea di coerenza, e non di discontinuità, con il Catechismo della Chiesa cattolica».Questa situazione inedita avrà secondo lei ripercussioni sul prossimo conclave?«Per la prima volta viene alla luce l’ampiezza di uno schieramento antibergogliano, che comprende cardinali nominati dallo stesso papa Francesco, come l’arcivescovo di Kinshasa, Fridolin Ambongo, presidente delle Conferenze episcopali africane, e quello di Montevideo, Daniel Ferdinand Sturla. Entrambi saranno cardinali elettori nel prossimo conclave in cui un centro magmatico e oscillante sarà costretto a scegliere tra le due minoranze contrapposte: da una parte il polo fedele all’insegnamento della Chiesa, dall’altra il polo fedele al nuovo paradigma. Lo scontro si svolgerà in una situazione di sede vacante, quando Francesco sarà già uscito di scena, i media taceranno e ogni elettore si troverà solo di fronte a Dio e alla propria coscienza. Quanto basta per far pensare che il prossimo conclave sarà contrastato e non breve. Con Fiducia supplicans il Papa, al di là delle sue intenzioni, ha dato inizio al pre conclave. I giorni delle festività saranno di tregua, poi la battaglia si riaccenderà».Non si può non notare che la contestazione nei confronti di Fiducia supplicans è avvenuta proprio in quell’ottica sinodale promossa dal Pontefice. «Fino ad oggi si è preteso di seguire la via dell’eterodossia in nome della sinodalità. Che cosa accade quando una voce sinodale forte come quella dell’Africa chiede di rimanere fedeli alla legge del Vangelo? Mi sembra che il viaggio sinodale dei vescovi tedeschi si stia arenando in Africa».A fronte della presa di posizione, in un senso o nell’altro, di molte conferenze episcopali, spicca il silenzio della Cei, che non si è ancora espressa con un documento ufficiale. Secondo lei perché?«Perché la Conferenza episcopale italiana è la più vicina a Roma ed è sempre stata la più sensibile alle direttive che dal centro romano promanano. Ciò l’ha resa più fedele nei tempi di fedeltà, ma oggi rischia di farla cadere nel caos, soprattutto quando i vescovi italiani capiranno che la carta vincente forse non si trova dove essi pensavano».
Angelo Borrelli (Imagoeconomica)
Poi aggiunge che quella documentazione venne trasmessa al Comitato tecnico scientifico. Il Cts validò. I numeri ballavano tra 120 e 140 ventilatori. La macchina partì. La miccia, però, viene accesa per via politica il 10 marzo 2020. Borrelli lo ricostruisce con precisione quasi notarile. «Arriva dalla segreteria del viceministro Pierpaolo Sileri un’email». Il mittente è la segreteria del viceministro. Il senso è chiaro. «Come richiesto dal ministro Speranza e noto al ministro Luigi Di Maio, ti ringrazio in anticipo anche da parte di Pierpaolo per le opportune valutazioni che vorrai effettuare al fine di garantire il più celere arrivo della strumentazione». Sono i ventilatori polmonari cinesi. La disponibilità viene rappresentata dopo un’interlocuzione politica. E a quel punto entra ufficialmente in scena la Silk Road. Il contatto, conferma Borrelli, non arriva per caso. «C’è un’email dell’11 marzo che […] facendo seguito a quanto detto dal dottor Domenico Arcuri, come d’accordo, ecco i contatti della Silk Road».
Ed è a questo punto che la deputata di Fratelli d’Italia Alice Buonguerrieri scatta: «Quindi è un contatto, quello della società Silk Road, che vi viene dalla struttura commissariale?». La risposta è secca. «Sì, viene dalla struttura commissariale di Domenico Arcuri». Arcuri, in quel momento, non è ancora formalmente commissario straordinario (lo diventerà il 18 marzo). Ma è già dentro il Dipartimento, si muove nel Comitato tecnico operativo, il Cto. «Perché il commissario Arcuri era già presente al dipartimento e iniziava ad affiancare…», cerca di spiegare Borrelli. Il passaggio politico-amministrativo non è casuale. Perché la Silk Road arriva sul tavolo della Protezione civile per quella via. La fornitura è pesante. «Ventilatori polmonari per un totale di 140», al costo di 2 milioni e 660.000 euro. «Ho qui la lettera di commessa», conferma Borrelli. La firma in calce non è italiana. «La lettera è firmata da un director, Wu Bixiu». E c’è un timbro cinese. La Verità quell’intermediazione all’epoca l’aveva ricostruita. La Silk Road Global Information limited che intermedia la fornitura è legata alla Silk Road cities alliance, un think tank del governo di Pechino a sostegno della Via della Seta. Ai vertici di quell’ente c’era anche Massimo D’Alema, insieme a ex funzionari del governo cinese. E infatti, conferma ora Borrelli, «c’è anche una email in cui si cita il presidente D’Alema». Però, quando gli viene chiesto apertamente se D’Alema abbia fatto da tramite, mette le mani avanti: «Io non so nulla di questo».
Di certo Baffino doveva aver rassicurato l’azienda cinese. Tant’è che la società aveva scritto: «Abbiamo appena ricevuto informazioni dall’onorevole D’Alema che il vostro governo acquisterà tutti i ventilatori nella lista. Quindi acquisteremo i 416 set per voi il prima possibile». «I nostri», spiega Borrelli, «gli hanno risposto «noi compriamo quelli che ci servono», cioè 140 e non 460». Ma c’è una parte di questa storia che non è ancora finita al vaglio della Commissione d’inchiesta guidata da Marco Lisei. Quei ventilatori polmonari, aveva scoperto La Verità, non erano in regola e la Regione Lazio li ritirò perché non conformi ai requisiti di sicurezza. «Dai lavori della commissione Covid sta emergendo una trama che collega la struttura commissariale di Arcuri, nominato da Giuseppe Conte, alla sinistra e, nello specifico, a D’Alema», afferma Buonguerrieri a fine audizione. Poi tira una riga: «Risulta che, ancor prima di essere nominato commissario straordinario, Arcuri sponsorizzava alla Protezione civile una società rappresentata da cinesi legata a D’Alema». «Le audizioni stanno portando alla luce passaggi che meritano un serio approfondimento istituzionale», tuona il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Galeazzo Bignami. Ma la storia non è finita.
«Il presidente del consiglio, per garbo, mi ha informato, perché sarebbe stato per me un colpo sapere dalla stampa che ci sarebbe stato poi un soggetto (Arcuri, ndr) che sarebbe entrato nel nell’organizzazione organizzazione della gestione dell’emergenza», ricorda ancora Borrelli. Che in un altro passaggio conferma che i pagamenti avvenivano anche per conto di Arcuri: «Io avevo il dottor Pietro Colicchio (dirigente della Protezione civile, ndr) e il suo direttore generale a casa col Covid e disponevano bonifici per i pagamenti per l’acquisto di Dpi. Dopo anche per conto del commissario Arcuri». Ma la Protezione civile con la nomina di Arcuri era ormai stata scippata delle deleghe sugli acquisti. A questo punto Borrelli fa l’equilibrista con un passaggio che ovviamente è stato apprezzato dai commissari del Pd: «L’avvento di Arcuri ha sgravato me e la mia struttura». Gli unici, però, che in quel momento avevano dato alla pandemia il peso che meritava erano proprio i vertici della Protezione civile. Già dal 2 febbraio, infatti, avevano segnalato al ministero l’assenza dei dispositivi di protezione. «Fu Giuseppe Ruocco (in quel momento segretario generale del ministero, ndr)», ricorda Borrelli, «a comunicare che ci sarebbe stata una riunione per predisporre una richiesta di eventuali necessità, partendo dallo stato attuale di assoluta tranquillità. Ruocco mi assicurò che se fosse emerso un quadro di esigenze lo avrebbe portato alla mia attenzione. Circostanza mai avvenuta». Il ministero si sarebbe svegliato solo 20 giorni dopo. «Il 22 febbraio nel Cto», spiega Borrelli, «per la prima volta venivano impartite indicazioni operative per l’utilizzo di Dpi». Solo il 24 febbraio, dopo alcune interlocuzioni con Confindustria, veniva «segnalato che non arrivavano notizie confortanti quanto alle disponibilità sul mercato». A quel punto bisognava correre ai ripari. La Protezione civile viene svuotata di competenza sugli acquisti e arriva Arcuri. Con le sue «deroghe». «Io», ricorda Borrelli, «non so se avesse delle deroghe ulteriori o meno, però, ecco, lui aveva le stesse deroghe che avevamo noi». Ma era lui a comprare.
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Ecco #DimmiLaVerità del 17 dicembre 2025. L'esperto di geopolitica Daniele Ruvinetti ci svela gli ultimissimi retroscena del negoziato di pace per l'Ucraina.
L’Indonesia è un gigante che sfiora i 300 milioni di abitanti ed è il più grande arcipelago del mondo. La sua capitale Jakarta è la città più popolosa del globo con quasi 42 milioni di abitanti e nel 2025 ha superato Dacca e Tokyo in questa classifica. Adagiata sulla costa dell’isola di Giava, questa città è diventata un conglomerato incontrollabile che sta lentamente affondando sotto il peso della sua popolazione. L’Indonesia ha il maggior numero di musulmani con quasi 250 milioni di fedeli e secondo alcune proiezioni come quelle della Banca Mondiale o del Fondo Monetario Internazionale potrebbe diventare una delle quattro principali economie internazionali entro il 2050. Jakarta nel 2024 è entrata a far parte del gruppo economico dei Brics, guidato da Cina, Russia ed India, ma non ha mai smesso di attirare investimenti statunitensi e ad avere un rapporto diplomatico diretto con Washington.
In questo quadro economicamente positivo però sono scoppiate una serie di proteste che hanno fortemente contestato il governo del presidente Prabowo Subianto. Questo ex generale, conosciuto per la ferocia con cui ha sempre represso ogni tipo di dissenso, ha stravinto le elezioni utilizzando un avatar che lo ha trasformato in un nonno amorevole. Durante la campagna per le presidenziali, il suo staff ha utilizzato strumenti di intelligenza artificiale come Midjourney per creare un'immagine carina e amichevole ("gemoy", un termine gergale indonesiano per "carino" o "coccoloso") di Prabowo, rivolta in particolare agli elettori più giovani sui social come TikTok. Questa mossa ha avuto un enorme successo portando molti giovani alle urne e consegnando oltre il 60% delle preferenze al vecchio generale. Il nuovo presidente aveva promesso un miracolo economico puntando ad una crescita dell’8% annuale, che però si è fermata intorno al 5,2%. Intanto il costo della vita è sensibilmente cresciuto così come la disoccupazione, mentre la rupia indonesiana ha continuato a svalutarsi arrivando ad un cambio con il dollaro a 16600 ad 1.
Contemporaneamente i cittadini indonesiani hanno visto una progressiva perdita di potere d’acquisto che ha portato ad una stagnazione dei consumi delle famiglie. Ad ottobre l’inflazione è arrivata al 2,75%, massimo livello dalla primavera del 2024, e la gente è scesa in strada per chiedere le dimissioni di tutto il governo. Se internamente le cose stanno andando male per Prabowo Subianto, l’ex generale, ha puntato tutto sulla proiezione internazionale del suo paese, dichiarando più volte di volerlo far diventare una potenza geopolitica regionale. Il ruolo indonesiano nel sud-est asiatico è in crescita e negli anni si sono rafforzati i rapporti con le nazioni vicine, soprattutto con la Malesia. Più complessi i tentativi di avvicinamento con le Filippine, fortemente schierate nell’orbita statunitense, mentre con l’India le relazioni sono sempre state piuttosto altalenanti. L’Indonesia si trova anche spettatore nel latente scontro indo-pacifico fra Pechino e Washington, nel quale per ora Jakarta ha scelto una linea politica basata sull’equidistanza. Con la Cina l’Indonesia ha siglato un accordo per lo sfruttamento congiunto delle risorse nelle acque contese, per evitare una disputa diretta, anche perché Pechino è il suo primo partner economico e commerciale, con gli scambi nel 2025 sono stimati in 160 miliardi di dollari. Jakarta sta cercando di diversificare le sue relazioni commerciali per evitare un’eccessiva dipendenza dalla Cina, intensificando gli scambi anche con l’Unione Europea. L’interscambio con la Ue nel 2024 ha superato i 27 miliardi di euro con l’Europa che importa olio di palma, tessuti, calzature, minerali (nichel e rame), mentre esporta nella nazione asiatica latticini, carni, frutta, macchinari e farmaceutici. Gli Usa restano comunque un partner cruciale per l’Indonesia in ambito di difesa e sicurezza, con esercitazioni congiunte e acquisto di armi, delle quali Washington è il secondo fornitore. L’attivismo di Prabowo Subianto si è visto anche nella questione mediorientale, con il presidente, unico leader del sud-est asiatico, presente in Egitto alla firma della tregua a Gaza.
Odorico da Pordenone, un Marco Polo meno noto che raccontò l'Indonesia nel secolo XIV
Non solo Marco Polo ed il suo «Milione», il resoconto sull’Estremo Oriente forse più famoso al mondo. Altre importanti testimonianze scritte di viaggi «meravigliosi» attraverso l’Asia sono giunte a noi dal Medioevo. Grandi protagonisti delle esplorazioni e dello scambio interreligioso (con le missioni) ma anche di quello geopolitico, furono i francescani. Come afferma il Prof. Luciano Bertazzo, storico francescano e direttore del Centro Studi Antoniani di Padova, contattato dalla Verità. «A fianco di Marco Polo esiste tutta una letteratura non meno interessante in cui il mondo francescano non fu solo portatore di evangelizzazione, ma anche di una spinta all'internazionalizzazione». Già alla metà del Duecento, la presenza della Chiesa cattolica in Estremo Oriente intersecava l'Europa all'Asia. I resoconti dei frati alimentarono il "Meraviglioso" nei racconti di viaggio (detti anche odeporici) sulla scia della «Vita di Alessandro Magno», che inaugurò il connubio tra scientia e mirabilia».
Ai tempi delle crociate, i frati minori assunsero un ruolo «diplomatico» all’interno di un mondo in forte fermento. Erano gli anni della «cattività» del Papato ad Avignone, dell’espansione dell’Islam verso oriente e del potentissimo regno dei Mongoli discendenti di Gengis Khan. Nel mosaico delle forze dominanti i francescani, attivi nell’opera di evangelizzazione alla base dei loro viaggi, furono anche incaricati dal Papato e dai sovrani occidentali di riportare notizie sullo stato dei popoli dell’estremo Oriente per cercare di misurarne la potenza politica e militare unito ad un intento più diplomatico, con il proposito di esplorare una possibile alleanza in funzione anti islamica. I religiosi italiani erano già presenti in Asia fino dalla metà del XIII secolo, come testimoniano i resoconti del francescano Giovanni di Pian del Carpine, che alla metà del Duecento scrisse una «Historia Mongalorum» dopo essere giunto fino a Kharakorum, ricca di informazioni strategico-militari sulla potenza dell’impero mongolo che premeva verso Occidente. Anche Giovanni da Montecorvino, francescano campano, giunse fino in Cina alla corte di Kubilai Khan, morto appena prima dell’arrivo del frate italiano. Qui fondò la prima missione cattolica della Cina e la prima chiesa nel 1305 e fu nominato arcivescovo da Clemente V.
A pochi anni dal viaggio di Giovanni da Montecorvino si colloca la spedizione di Odorico da Pordenone, che toccherà anche l’Indonesia, allora praticamente sconosciuta al mondo occidentale. Nato sembra intorno al 1280, fu ordinato frate a Udine ancora giovanissimo, secondo le poche notizie giunte a noi. Il suo viaggio in Oriente, con destinazione Cina, si colloca attorno al 1318 e seguì un itinerario da Venezia a Trebisonda, quindi dalla penisola arabica via nave fino all’India, dove a Thana (attuale Mumbai) raccolse le spoglie dei francescani martirizzati dai musulmani nel 1321. La tappa successiva fu l’Indonesia, una terra praticamente inesplorata fino ad allora. Nella sua Relatio, Odorico dedica spazio alla descrizione di usi e costumi dell’arcipelago. Lamori è il primo abitato dell’Indonesia che il frate friulano descrisse, dipingendolo come una terra non proprio ospitale. Così Odorico dipinse quella che è ritenuta essere un antico regno situato nella parte settentrionale di Sumatra: «Cominciai a perdere la tramontana quando toccai quella terra. In questa regione il calore è enorme e sia gli uomini che le donne vanno in giro nudi, senza coprirsi nessuna parte del corpo. Essi mi deridevano, perché dicevano che Dio aveva creato Adamo nudo e io invece volevo essere vestito contro la volontà di Dio. In questo paese tutte le donne sono messe in comune fra tutti, cosicché nessuno può dire «questa è mia moglie», oppure «questo è mio marito». Quando poi una donna partorisce un figlio o una figlia, lo dà o la dà a chi vuole tra uno di quelli con i quali ha avuto rapporti intimi, e quel bimbo o bimba lo considera il proprio padre. Anche tutto il terreno è in comune fra tutti gli abitanti, cosicché nessuno può dire: «questa o quella parte di terra è mia». Le case invece sono ognuna per conto proprio. Questa gente è pestifera e malvagia: infatti mangiano carne umana, come qui da noi si mangia la carne bovina o quella delle pecore. Tuttavia di per sé questa è una terra buona, che ha grande abbondanza di carni, di biade e di riso, inoltre vi si trova oro in abbondanza[…]».
Un ritratto di una società primitiva e ostile, quella che Odorico raccontò nella sua prima tappa indonesiana. Tutt’altra impressione il frate ebbe della tappa successiva, Giava. Secondo le fonti storiche, nel periodo in cui l’isola fu visitata da Odorico l’isola viveva l’ultimo periodo prospero prima dell’arrivo dell’Islam dall’India, quello del regno Majapahit che, sotto il comandante militare e consigliere dei regnanti Gajah Mada, riuscì nell’espansione territoriale con la conquista di Bali. A Giava l’Islam non era ancora giunto quando Odorico fece visita al palazzo reale, e le religioni principali erano il buddhismo, l’induismo e l’animismo. La descrizione che il friulano fece dell’isola era a dir poco entusiastica: «Quest’isola è abitata molto bene ed è la seconda isola più bella che ci sia al mondo. In essa nasce la canfora e vi crescono cubebe (pepe di Giava), melaghette (nota come melegueta o grani del Paradiso, della famiglia dello zenzero con sentore di zenzero e cardamomo) e noci moscate e molte altre specie di erbe preziose. Vi è grande abbondanza di vettovaglie, a eccezione del vino. Il re di quest’isola possiede un palazzo davvero meraviglioso». E più avanti, nel capitolo dedicato all’arcipelago indonesiano, Odorico sottolineava la potenza militare di Giava, che seppe resistere alla potenza della Cina di Kubilai Khan. «Il Gran Khan del Catai fu molte volte in guerra contro questo regno di Giava, ma questo re riuscì sempre vincitore e lo superò».
Lasciata l’Indonesia, passando forse per il Borneo e probabilmente dalle Filippine, Odorico sbarcò finalmente in Cina dal porto di Canton. Poi via terra riuscì a raggiungere Khambaliq (Pechino), dove lasciò le spoglie dei confratelli martiri e risiedette per tre anni prima di intraprendere il viaggio di ritorno via terra in compagnia del francescano frate Giacomo d’Irlanda attraverso il Tibet, la Persia e di nuovo da Trebisonda fino a Venezia. Odorico tornò nel 1330, dopo 12 anni. A Padova scrisse la sua Relatio, di fronte a frate Guido, ministro provinciale, e allo scriba Guglielmo da Solagna. La destinazione del resoconto di Odorico era Avignone, dove si ipotizza che il frate avrebbe dovuto recarsi per relazionare le meraviglie d’Oriente e dei suoi popoli al Pontefice. Odorico da Pordenone non la raggiungerà mai. Morirà a Udine si presume il 14 gennaio 1331 stroncato da una grave forma di enfisema dovuto alle esalazioni di monossido di carbonio respirate nelle tende dei «Tatari». La fama di santità seguirà immediatamente dopo la morte. A Udine fu realizzata una splendida arca dove riposavano le spoglie. Il processo di canonizzazione iniziò solamente nel 1755 ma fu interrotto. Due volte ancora fu ripreso ed interrotto nel 1931 e nel 1956. Nuovamente istruito negli anni Duemila, l'iter è attualmente in corso.
Per un approfondimento sul viaggio di Odorico da Pordenone si consiglia la lettura di Racconto delle cose meravigliose d'Oriente (Edizioni Messaggero Padova), basato sull'opera critica di riferimento a cura di Annalia Marchisio Relatio de mirabilibus orientalium Tatarorum (Sismel-Edizioni del Galluzzo).
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(Totaleu)
Lo ha detto l’eurodeputato di Forza Italia a margine della sessione plenaria di Strasburgo.