2024-10-26
«Benzina più cara per spingere l’auto verde»
Martin Daum (Getty Images)
La proposta dell’ex numero uno di Daimler truck Martin Daum: «Aumenti di 10 centesimi al litro ogni anno per portare i cittadini verso l’elettrico». Provocazione? Occhio, la batosta sui carburanti può essere l’arma di Bruxelles per tenere artificialmente in vita la transizione.Martin Daum è un signore tedesco dai capelli bianchi e dal volto rassicurante. Ha lasciato lo scorso settembre la guida di Daimler truck, il colosso dei camion che impiega solo in Germania 100.000 persone. È stato amministratore delegato e ha occupato uno dei posti del board di Acea, l’associazione dei produttori di veicoli, per molti anni. Adesso in pensione e dietro il volto pacifico è pronto a candidarsi come consulente del nuovo commissario all’Ambiente Teresa Ribera. In comune hanno la stessa passione per la transizione green e per un modello di politica industriale che è a dir poco sovietico. L’altro giorno intervistato in Germania per un celebre podcast, Daum ha illustrato la sua ricetta per «convincere» gli automobilisti a passare all’elettrico. Nel dettaglio l’idea sarebbe quella di far crescere ogni anno di 10 centesimi il carburante, e così facendo si «costringerebbero» gli automobilisti ad abbracciare appunto le vetture a batteria. «Dopo tre o quattro anni, questo aumento sarà così gravoso che i consumatori non avranno altra scelta», ha precisato Daum. Ovviamente sono scattate le polemiche, come fossimo davanti a una provocazione. In realtà l’uscita dell’ex manager è una sintesi brutale di quanto la nuova Commissione sembra intenzionata a portare avanti. Nella sua uscita pubblica la spagnola Ribera ha infatti ribadito di voler realizzare il medesimo schema del suo predecessore, l’olandese e socialista Frans Timmermans. Quando si insedierà il neo commissario e vice presidente vicario farà di tutto per mantenere in vita le norme che mirano a uccidere il motore termico entro il 2035. Ha addirittura negato la possibilità di rivedere le soglie di emissioni di CO2 previste per il prossimo anno. Quelle soglie contro le quali ha preso posizione il nuovo board di Acea, consapevole che le case dovranno o pagare oltre 15 miliardi di multe o tagliare la produzione per 2,5 milioni di veicoli. Le norme le metterebbero fuori legge. Tradotto disoccupazione, sussidi, cassa integrazione e costi a carico del welfare. Una scelta di totale deindustrializzazione. Alla quale i manager come Daum rispondono con una ricetta comunista. Se i cittadini non vogliono comprare le elettriche basta costringerli inventandosi tasse insostenibili. Un aumento di 10 centesimi al litro verrebbe visto come una punizione. Di questo lo stesso Daum sembra essere consapevole. Solo che nel podcast incriminato il manager si è pure detto contrario agli incentivi sulle auto elettriche, «che in Italia sono finiti in nove ore», sottolineando che a suo modo di vedere «il sostegno finanziario si dovrebbe applicare solo nelle prime fasi di sviluppo delle nuove tecnologie». Soldi pubblici da impiegare per le colonnine e le altre infrastrutture, secondo la sua ricetta che implicherebbe un circolo vizioso dal quale diventa difficile uscire. Senza auto con motore a scoppio è chiaro che resta la sola alternativa dell’elettrico e da qui al 2035 si costringono i cittadini a cadere nell’inganno del costo di mobilità minore. Poi una volta eliminato il carburante tradizionale i singoli governi a quel punto metterebbero le accise sull’elettricità. L’Italia è il caso di scuola. Nel 2023 privati e aziende hanno speso per l’acquisto di carburante quasi 71 miliardi di euro. Oltre 38 sono andati dritti dritti nelle casse dello Stato. La filosofia che sta dietro la transizione green guarda caso omette sempre tali dati e il fatto che in virtù del nuovo Patto di stabilità ai governi servirà sempre più gettito per migliorare i valori fiscali. Non solo. Viene omesso anche un altro dettaglio. Il mercato dell’usato con le elettriche non funziona. Oggi chi acquista una 500 elettrica e spende 39.000 euro se riesce a rivenderla a 15.000 può dirsi contento. I motivi sono numerosi e li abbiamo descritti più volte. Dal costo eccessivo di sostituzione delle batterie, alla forte usura di gomme e altre componenti. Il risultato complessivo è che si riduce il numero di modelli prodotti e il numero di veicoli venduti. Se Bruxelles tiene in vita artificialmente il sistema green, ai manager come Baum e Carlos Tavares va bene. Il motivo è semplice. Abbracciano un modello statalista che alle holding (a differenza dei fornitori e dei concessionari) porta risultati. Nel 2023 il prezzo medio di un’auto (venduta in Italia a privati, aziende e car sharing) si è aggirato poco sotto i 29.000 euro. Prima del Covid il prezzo medio era di 21.000 euro. Nel 2013 la cifra era di 18.000. Significa che negli ultimi quattro anni la cifra è cresciuta di circa il 30%. Non a caso il fatturato complessivo (in Italia) è stato di circa 45 miliardi a fronte di 1,6 milioni di nuovi mezzi. Il record di fatturato (46 miliardi) si è registrato nove anni fa. Ma all’epoca le auto vendute erano state 2,6 milioni. Va detto che nel 2020 e nel 2021 l’effetto lockdown ha portato enormi rincari sulla filiera, ma ciò non basta a giustificare quasi 8.000 euro in più di prezzo medio. Tra il 2022 e il 2023, quando i valori della catena produttiva hanno cominciato ad assestarsi, il prezzo medio dell’auto è comunque salito di 2.000 euro. In un solo anno. Stellantis, ad esempio, per ogni vettura messa sul mercato ha un margine di circa 3.600 euro. Ecco spiegata la volontà di aumentare il prezzo della benzina. Consapevoli che il Parlamento Ue ha votato per togliere i sussidi ai prodotti inquinanti. Appunto benzina e gasolio. Lo strumento c’è e potrebbe essere usato se Bruxelles deciderà di fare di tutto per tenere in vita artatamente la transizione green.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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