
Da anni Christine Lagarde dice che l’ambiente condiziona le sue scelte. Peccato che paghi analisi che amplificano l’allerta.Report dopo report, analisi dopo analisi, le gradazione del dubbio aumentano e c’è chi inizia a sospettare che l’acronimo Bce non stia tanto ad indicare la Banca centrale europea, sarebbe abbastanza scontato, quanto a definire la banca centrale dell’ecosostenibilità. Del resto, che l’indirizzo di Francoforte fosse fortemente orientato verso il green non lo scopriamo certo adesso. Da anni diversi banchieri centrali con in testa il presidente Christine Lagarde hanno confessato candidamente le loro pulsioni ambientaliste, ma con il passare dei mesi la situazione è diventata paradossale. Nel 2022 il Consiglio direttivo dell’istituto che governa le scelte sui tassi di interesse del Vecchio continente ha annunciato nuove norme per includere le considerazioni sui cambiamenti climatici nel quadro di politica monetaria e per «adeguare le partecipazioni in obbligazioni societarie nei portafogli dell’Eurosistema». Insomma, da tempo il bazooka di Francoforte è diventato più verde. «Con queste decisioni», sottolineava la Lagarde, «stiamo trasformando il nostro impegno nella lotta al cambiamento climatico in un’azione reale». E in effetti si trattava di partecipazione che valevano diverse decine di miliardi di euro. Anche tre anni fa ci sarebbe stato da discutere. Ma come? La Banca centrale europea che fa dell’indipendenza dalla politica uno dei suoi tratti distintivi, si uniforma nelle sue indicazioni «monetarie» all’ideologia ambientalista dominante. Ma tant’è. Adesso però anche a Bruxelles «il clima» intorno all’ecosostenibilità è cambiato. Per carità, il Green deal è ancora vivo e vegeto ma è altrettanto indubitabile che le forze politiche che rappresentano l’Europarlemento siano, per buona parte e con diverse gradazioni, critiche verso le direttive verdi. Automotive e casa su tutto, ma anche in merito agli altri dossier, i dubbi sull’insostenibilità sociale del Green deal, oltre che dalla realtà, vengono espressi da quasi tutti partiti e da alcuni commissari.Plastica per esempio è la divisione tra il presidente del governo Ue, Ursula Von der Leyen, e il suo numero due, la spagnola Teresa Ribera. Con la tedesca che qualche giorno fa ha rassicurato le case automobilistiche europee sulla necessità di anticipare già a quest’anno la revisione delle regole sulle emissioni e la vice che il giorno dopo smentiva qualsiasi rinvio. Insomma, mentre tutto cambia la Bce diventa più realista del re. Nel senso che sta continuando con le sue politiche monetarie ambientaliste a prescindere dal mutamento di sentiment all’interno dell’Unione ed è arrivata a confezionare studi che li amplificano. È di queste ore un report che analizza il peso economico di siccità, inondazioni e ondate di calore per i Paesi dell’Ue nel 2025. I numeri dicono le perdite aggregate di produzione macroeconomica possono essere stimate in 43 miliardi di euro nel 2025 e 126 miliardi entro il 2029. I più colpiti? Spagna, Francia e Italia che dovranno fare i conti con perdite perdite a medio termine di oltre 30 miliardi di euro. Numeri a parte, fanno specie gli autori dello studio che è stato curato dal dottor Sehrish Usman dell’università di Mannheim e dagli economisti della Banca centrale europea. In buona sostanza, è la stessa Bce che contribuisce a «confezionare» report che quantificano i danni da cambiamento climatico e poi adotta le sue decisioni di politica monetaria, quelle che fanno girare l’economia del Vecchio Continente, anche in base a quei numeri. Situazione abbastanza paradossale come viene evidenziato da un altro recentissimo studio che vede protagonisti due docenti, Donato Masciandaro (Bocconi) e Manuela Moschella (Università di Bologna). Nel loro «The Green Central Banking Pendulum» cercano di dare una spiegazione all’attivismo verde delle banche centrali che sarebbe determinato da tre fenomeni: preferenze politiche dell’area geografica dove le banche operano, sensibilità dei banchieri centrali e percezioni dei cittadini. Ora, visto che oggettivamente la spinta dei partiti e dei cittadini verso il green sta velocemente rallentando, bisogna pensare che sulle decisioni ambientaliste della Bce pesino e non poco le inclinazioni di banchieri centrali, Lagarde in testa. Anche perché, secondo lo stesso sudio, mentre Bce e Bank of England si sono spinte verso misure esplicitamente verdi, la Federal Reserve americana ha sempre fatto muro. «Non siamo noi i policymaker del cambiamento climatico», ha ribadito più volte il presidente Jerome Powell. E, almeno su questo, siamo convinti che Trump non avrebbe niente da ridire.
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