2020-08-17
«Basta con gli aiuti internazionali. È l’ora delle ritorsioni economiche»
L'esperto di strategie geopolitiche, Gianandrea Gaiani: «L'Europa, e anche il nostro Paese, praticano politiche autolesioniste. Bisogna sottoscrivere accordi commerciali solo con gli Stati che bloccano i flussi e accettano i rimpatri».Gli scambi commerciali con il Nord Africa avvengono con gli stessi voli che rimpatriano i clandestini sbarcati.Lo speciale contiene due articoli.«Favorire lo sviluppo dei Paesi africani aprendo i nostri mercati ai loro prodotti agricoli penalizza le nostre produzioni in nome di una cultura terzomondista a cui non corrisponde, da parte dei Paesi che l'Italia e l'Europa aiutano economicamente, una reale cooperazione nel fermare l'immigrazione illegale. Anzi, all'aumento dei flussi migratori si unisce la scarsa collaborazione ad accettare i rimpatri». Gianandrea Gaiani, direttore del sito web Analisi difesa ed ex consigliere di Matteo Salvini quando era ministro dell'Interno, evidenzia le contraddizioni della cooperazione nella questione dell'immigrazione illegale.L'Europa sta facendo una politica autolesionista?«Nel 2000 gli Accordi di Cotonou ribadirono l'apertura dei mercati europei ai prodotti di Paesi in via di sviluppo, per lo più africani, già prevista dagli Accordi di Lomè. Quest'anno gli Accordi di Cotonou scadono e l'Italia e l'Europa dovrebbero cogliere l'opportunità per rinnovare l'intesa solo con gli Stati che bloccano i flussi di clandestini e accettano il rimpatrio di quelli già arrivati da noi. I fatti dimostrano che l'emergenza migratoria non si risolve con la “carota" degli aiuti ma occorre anche il “bastone" dello stop a ogni supporto economico».E come se ne esce?«Con gli strumenti di pressione economica. I migranti, sia regolari sia irregolari, quando arrivano in Europa e svolgono un'attività incassano euro che, una volta inviati nel Paese di origine, vengono convertiti in moneta locale, consentendo quindi a quegli Stati di incassare valuta pregiata preziosa per pagare commesse e materie prime».Dice che bisognerebbe bloccare i flussi di denaro, le rimesse degli immigrati?«Il problema della migrazione irregolare non si risolve con le buone maniere. Se la Tunisia, il Bangladesh o altri Paesi afro asiatici non aiutano a frenare i flussi migratori, l'Italia potrebbe minacciare il blocco delle rimesse di denaro o ostacolare qualsiasi forma di sostegno economico a quei Paesi nei consessi internazionali».L'Italia ha responsabilità?«Molte: basti pensare che dopo quasi 20 anni di presenza militare in Iraq e Afghanistan, dove in missioni militari abbiamo avuto quasi un centinaio di morti e migliaia di feriti spendendo oltre 16 miliardi di euro, Roma non ha mai preteso da Kabul e Baghdad il rimpatrio dei loro clandestini che sbarcano dalla Turchia sulla costa ionica della Calabria ed entrano dai confini sloveni».C'è però il rischio di operazioni di rivalsa. Questi Paesi potrebbero rispondere espellendo le imprese italiane o i residenti italiani.«Vero, però le nostre aziende sono una risorsa che offre molti posti di lavoro, come lo sono i nostri residenti che spendono valuta pregiata. Ma è chiaro che un confronto aspro potrebbe favorire la penetrazione economica e commerciale di altri Paesi rivali dell'Italia o dell'Europa».Servirebbe un'azione comune europea.«Sì. Certo, è difficile arrivare a un accordo, ma questo non può costituire un alibi. L'Italia per la sua posizione geografica è più esposta e quindi deve dare un segnale forte, subito. Abbiamo avuto a oggi 15.300 sbarchi contro i 4.200 dell'anno scorso. Che cosa aspettiamo? Contro i Paesi che non collaborano si possono adottare tante misure, dai respingimenti immediati fino a minacciare di togliere il permesso di soggiorno ai regolari».Che cosa trattiene il governo dall'assumere una posizione forte?«È un mix di freni. Si teme che una politica più rigida verso i Paesi africani che non collaborano sul fronte dell'immigrazione illegale favorisca la penetrazione di altre potenze, come la Cina. Poi c'è ancora una cultura dominante terzomondista che considera i Paesi del Terzo mondo come i poveri da aiutare a qualsiasi costo mentre dovremmo cominciare a tutelare i nostri interessi nazionali. Infine, non va dimenticato che la cooperazione è un grande business così come lo è, in Italia, l'accoglienza dei clandestini».È possibile costruire una linea comune con l'Europa?«Convergenze sono molto difficili. In Francia e Germania ci sono maggioranze che culturalmente non sono disposte a perseguire politiche forti su questo tema: Berlino è sensibile ai ricatti turchi e Parigi mantiene stretti legami con molti Stati africani. L'Ungheria di Orban e i Paesi del Gruppo di Visegrad hanno una posizione netta e potrebbero essere interlocutori attenti a provvedimenti coraggiosi. Intanto però si perde tempo e di questa indecisione i Paesi africani approfittano. La Tunisia ogni anno chiede e ottiene da Italia e Ue milioni di euro in aiuti economici e periodicamente fa aumentare i flussi migratori per chiederne altri, mentre con le amnistie svuota le carceri e chi esce di prigione raggiunge l'Italia».Dove il governo apre le braccia a tutti…«L'esecutivo lancia messaggi che incoraggiano l'immigrazione illegale: regolarizzazioni, cancellazione dei decreti sicurezza, processi a carico dell'ex ministro Salvini per aver ritardato lo sbarco di clandestini. Al di là delle valutazioni politiche, questi provvedimenti rappresentano un disastro per la credibilità dell'Italia e un trionfo per tutti i fautori dell'immigrazione illegale».Siamo tornati a essere il punto più vulnerabile dell'Europa?«Nonostante il rischio Covid, siamo ridiventati il ventre molle del continente. Malta ha stipulato un accordo con Libia e Turchia per riportare indietro gli immigrati irregolari. Ed è quello che dovrebbe fare anche l'Italia: bloccare le barche appena entrano nelle acque territoriali e riportare i migranti sbarcati clandestinamente nelle acque dei Paesi di provenienza che per lo più sono Libia, Tunisia e Algeria, consegnandoli alle loro autorità».E le promesse del premier Giuseppe Conte?«Da quando Conte ha annunciato che “non possiamo tollerare che si entri in Italia in modo irregolare" e che “dobbiamo essere duri e inflessibili", sono sbarcati altre centinaia di clandestini, ma sarebbero stati molti di più se il meteo avverso non avesse impedito per molti giorni le partenze. Invece di respingerli attrezziamo navi da crociera per la quarantena con uno spreco importante di soldi pubblici in un momento molto difficile per l'Italia. Purtroppo, il messaggio che l'Italia continua a dare è devastante». Gianandrea Gaiani (YouTube) <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/basta-con-gli-aiuti-internazionali-e-lora-delle-ritorsioni-economiche-2646998389.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="si-riprendono-i-fuggitivi-in-cambio-di-frutta" data-post-id="2646998389" data-published-at="1597603559" data-use-pagination="False"> Si riprendono i fuggitivi in cambio di frutta Non solo olio. L'invasione di prodotti riguarda tutta l'ortofrutta. Nemmeno il Covid, la chiusura delle frontiere e la sospensione dei voli sono riusciti a fermare le esportazioni di frutta dalla Tunisia che dall'inizio del 2020 fino alla prima settimana di giugno sono aumentate a livello globale del 28%. E il mercato di sbocco privilegiato è l'Italia. Nel nostro Paese sono arrivati 3.312 tonnellate di angurie, pesche, albicocche e fragole, con un business di 5,4 milioni di dinari (1,6 milioni di euro). Un giro d'affari che è inferiore, tra i Paesi di destinazione, soltanto alla Libia (3.300 tonnellate per 6,4 milioni di dinari), mentre è superiore alla frutta esportata negli Emirati Arabi Uniti (242 tonnellate per 3,2 milioni di dinari), in Arabia Saudita (200 tonnellate per 2,6 milioni di dinari), nel Qatar (211 tonnellate per 2,3 milioni di dinari) e in Russia (303 tonnellate per 1,6 milioni di dinari). Le esportazioni e le importazioni dai Paesi del Golfo sono state effettuate attraverso voli di rimpatrio di tunisini bloccati in questi Paesi. Nella frutta l'Italia subisce la concorrenza aggressiva anche della Turchia che nonostante la pandemia ha ritoccato il suo record di esportazioni di ciliegie. Ankara riceve importanti aiuti alla cooperazione dall'Europa e dall'Italia. Dal 1° gennaio al 21 luglio 2020, la Turchia ha esportato ciliegie verso 60 nazioni per un controvalore di 182 milioni di euro. Il valore rispetto allo scorso anno è salito del 15%. Anche l'Italia acquista ciliegie turche (è il quinto Paese importatore). Ankara riesce a essere un esportatore privilegiato per Germania, Austria, Norvegia, Paesi Bassi e Russia, strappando quote di mercato all'Italia che pure vanta una qualità elevata. La tendenza è destinata ad aumentare in virtù della politica aggressiva effettuata in questo settore dal presidente Erdogan che ha rafforzato il sistema agricolo con la realizzazione di nuove infrastrutture, come dighe che hanno reso coltivabili terreni aridi. Quindi i prodotti turchi costano meno non solo per i minori costi di produzione che, in rapporto all'Italia, superano il rapporto di 1 a 5, ma per questa politica infrastrutturale favorita dagli aiuti economici dell'Europa. «La Turchia sta incrementando anche la coltura di mandorle che mette sul mercato a un quinto del prezzo di quelle italiane. Nel primo semestre del 2019 sono arrivati da questo Paese quasi 16 milioni di chili di frutta secca, soprattutto nocciole e pistacchi», afferma Lorenzo Bazzana, responsabile per l'ortofrutta di Coldiretti. Bazzana sottolinea che il sistema di controlli e di regole nella produzione ha molti vuoti. «Nei loro campi sono usati prodotti chimici che da noi sono al bando da decenni». L'associazione riproduttori agricoli ha lanciato l'allarme dei cibi pericolosi che arrivano dalla Turchia, «al primo posto nella classifica, addirittura davanti alla Cina». Coldiretti sottolinea che il Paese di Erdogan ha il maggior numero di notifiche europee per prodotti non conformi (318), seguito dalla Cina (310), ed è «distante dagli standard di sicurezza alimentare dell'Unione europea». Bazzana va dritto al punto: «In Europa si parla tanto di green new deal e poi si consente l'ingresso di prodotti che non rispettano certi parametri di sicurezza alimentare. Un esempio? Manca un catalogo delle sostanze chimiche consentite nelle coltivazioni. Che dire poi dell'impiego di minori nei campi quando si fanno campagne in Europa contro il caporalato?». La Ue chiude gli occhi anche sulle etichette poco chiare. Gli importatori di olio d'oliva da Paesi extracomunitari rimangono anonimi, protetti dal «segreto doganale», e invece di rivendere il prodotto indicando nell'etichetta la provenienza, se lo possono rivendere come «oli d'oliva extra vergine italiano.
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 settembre 2025. Il deputato di Azione Ettore Rosato ci parla della dine del bipolarismo italiano e del destino del centrosinistra. Per lui, «il leader è Conte, non la Schlein».