2019-10-09
Bankitalia a favore dell’aumento dell’Iva
Il vicedirettore generale Luigi Federico Signorini: «Disinnescare completamente le clausole di salvaguardia limiterà le risorse per ridurre il cuneo fiscale». E il ministro Roberto Gualtieri getta un'ulteriore ombra sul futuro: «Possibile la rimodulazione delle aliquote anche nel 2020 e nel 2021».Possibili svantaggi con il taglio di detrazioni e altri aiuti, reddito di cittadinanza incluso.Lo speciale contiene due articoli.Alla fine la Banca d'Italia vuole farci credere che il rialzo dell'Iva sia giusto e dovuto. A farlo intendere, senza giri di parole, è il vicedirettore generale di Via Nazionale Luigi Federico Signorini in audizione al senato sulla Nadef, la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza. Nella prospettiva di riduzione del debito appare «necessaria una riforma fiscale complessiva e organica, fondata su un'attenta analisi. Essa oggi non può consistere nell'abbattere tutte le imposte», ha detto Signorini.Nella definizione dei provvedimenti da adottare nel quadro di una «riforma fiscale», ha aggiunto il vice dg, «sarà opportuno prendere in considerazione in modo complessivo gli strumenti disponibili, incluse le imposte indirette, orientando la scelta verso l'insieme di misure che meglio circoscrive l'impulso restrittivo sull'economia, le distorsioni dell'allocazione delle risorse e gli effetti distributivi indesiderati. La scelta di disattivare integralmente le clausole nel 2020 limita l'ammontare di risorse che possono essere dedicate alla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro (0,15% del prodotto nel 2020, 0,3 nel 2021)», spiega sull'Iva il vice dg di Bankitalia.In parole povere Signorini afferma senza mezzi termini che uno stop al rialzo dell'imposta sul valore aggiunto limiterebbe le risorse da destinare alla riduzione del cuneo fiscale, la differenza tra quanto un dipendente costa all'azienda e quanto lo stesso lavoratore incassa, di netto, in busta paga. La sensazione è che sia un «gatto che si morde la coda». Si tratterebbe quindi di ridurre le imposte sul lavoro (aumentando quindi il salario netto) per poi, però, aumentare l'Iva e sottrarre in men che non si dica la maggiorazione che si è ottenuta. Senza considerare l'ipotesi in cui l'aumento del netto dovuto alla riduzione del cuneo fiscale non finisca di fatto per essere minore del prelievo causato dall'aumento dell'Iva. In poche parole, lo Stato con una mano aggiunge (qualche centinaio di euro al mese, forse meno) e con l'altra toglie (aumentando il prezzo di molte merci). Insomma, all'interno dell'iter parlamentare della Nadef, Bankitalia pare proprio volerci far ingoiare un boccone amaro che non piace a molti.Per la Corte dei conti, «il quadro che emerge si conferma quindi impegnativo. Nonostante la netta riduzione della spesa per interessi, a cui è dovuto il miglioramento dell'indebitamento tendenziale, i margini rimangono particolarmente stretti». Lo dimostra, dice la Corte, «già a partire dal 2020, il ricorso massiccio (oltre 7 miliardi), alle risorse che si intendono recuperare dalla lotta all'evasione e all'elusione fiscale». Ieri, nell'ambito delle audizioni preliminari all'esame della nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, ha parlato anche il presidente dell'ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro. L'ufficio parlamentare di bilancio, va detto, ha dato un via libera di massima per il quadro macroeconomico programmatico 2019-2020, mentre per il biennio 2021-22 ha sollevato «elementi di perplessità».Secondo l'Upb, infatti, «gli obiettivi di deficit - nominale e strutturale - e di debito risultano ancora affidati alla presenza di non trascurabili clausole di salvaguardia su Iva e accise rendendo incerto lo scenario di breve medio termine. Se infatti, il più favorevole scenario tendenziale di finanza pubblica ha consentito (insieme al finanziamento in deficit) di disattivare, nel 2020, un valore delle clausole quasi doppio rispetto al 2019 (12,5 miliardi), resta verosimilmente ancora elevato il gettito derivante dalle clausole nel biennio 2021-22, anche a causa del livello iniziale pari a poco meno di 29 miliardi a partire dal 2021», ha evidenziato Giuseppe Pisauro. Quello che forse non ha convinto l'Upb è il fatto che la manovra prevista sia forse troppo audace (e onerosa), viste le condizioni in cui versa l'economia italiana.Ieri, nel corso dell'audizione il ministro del Tesoro Roberto Gualtieri ha detto che «siamo in presenza di una manovra che ha un'intonazione espansiva». Il ministro ieri ha reso noto che arriveranno finanziamenti e rinnovi per «l'efficienza energetica, il rinnovo del patrimonio edilizio e pubblico impiego, la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, il rilancio degli investimenti, l'aumento delle risorse per istruzione e ricerca e per rafforzare il servizio sanitario». Riguardo alle performance attese, ha evidenziato che «prevediamo una crescita del Pil reale nel 2020 pari allo 0,6% e quella del Pil nominale del 2%», aggiungendo che «questa è una stima che considero realistica e prudente».Quanto all'aumento dell'Iva, Gualtieri ha detto che l'Iva aumenterà, forse non nel 2020, ma l'anno dopo. La Nadef disinnesca gli aumenti da 23,1 miliardi per il 2020, «ma questo», ha spiegato, «non esclude che si possano valutare rimodulazioni, puntando a rendere più equo ed efficace il meccanismo che ha visto la giustapposizione di aliquote diverse su diversi beni».Un modo gentile per affermare che gli italiani devono prepararsi a metter mano al portafoglio. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bankitalia-a-favore-dellaumento-delliva-2640889128.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-bonus-da-240-euro-a-figlio-rischia-di-trasformarsi-in-un-boomerang" data-post-id="2640889128" data-published-at="1758063103" data-use-pagination="False"> Il bonus da 240 euro a figlio rischia di trasformarsi in un boomerang Un intervento che punta a ripensare la struttura dei sostegni alla famiglia, con l'obiettivo di rilanciare consumi e domanda interna: è la possibilità, allo studio del governo, di introdurre un assegno unico per i figli minori. Il cosiddetto bonus figli, un contributo che dovrebbe arrivare fino a 240 euro al mese, dal settimo mese di gravidanza fino alla maggiore età, è già stato definito una rivoluzione per le politiche familiari, ma non mancano le perplessità. A cominciare, ovviamente, dalle coperture. L'introduzione dell'assegno unico prevederebbe, stando alle stime, costi aggiuntivi per circa 9 miliardi di euro, oltre all'accorpamento dei vari bonus e assegni familiari in vigore. Tra le ipotesi che circolavano nei giorni scorsi c'era quella di utilizzare la spesa per gli 80 euro, rimodulando la misura a vantaggio di chi ha figli: oggi il bonus riguarda infatti 6 milioni di lavoratori dipendenti con uno o più figli e 2,8 milioni senza prole. Ma, almeno per adesso, pare che gli 80 euro non verranno toccati: a precisarlo è stato il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri. «È intenzione del governo», ha detto, «avviare una più generale riforma dell'Irpef, ma non si può fare nei pochi giorni che ci separano dalla manovra». Dalla rimodulazione degli 80 euro - che con l'introduzione dell'assegno unico potrebbero spettare solo a chi non ha bambini, mentre per gli altri verrebbero riassorbiti nel bonus figli - secondo le stime potrebbero arrivare 3,2 miliardi di euro. Altri 2 miliardi giungerebbero dal reddito di cittadinanza, misura che verrebbe anch'essa ripensata in questa chiave: l'assegno unico per i minori andrebbe scalato. Infine, i 5 miliardi restanti si potrebbero, sempre secondo le ipotesi, ricavare da una modifica sostanziale di quota 100: l'anticipo pensionistico si trasformerebbe in una sorta di Ape sociale rafforzata, dedicata a particolari tipologie di lavoratori, liberando risorse ulteriori. Ci si muove, appunto, nel campo delle ipotesi: certo è, però, che l'assegno per la famiglia rappresenterebbe un primo passo nella direzione di un intervento sul cuneo fiscale. Come ha sottolineato il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, la proposta prevede «la completa decontribuzione» dell'assegno unico: «Questo implica un vantaggio di riduzione del cuneo fiscale che si aggira intorno ai 4 miliardi - 3,7 per la precisione - ossia la quota sostenuta oggi dalla contribuzione dei datori di lavoro» che verrebbe coperta dallo Stato. Attualmente, invece, gli assegni familiari «sono sostenuti dalla contribuzione dei lavoratori e solo in parte - il 35% - dallo Stato». Nel 2018, ha aggiunto il presidente dell'Inps, gli assegni ai nuclei familiari «sono costati in totale 5,2 miliardi, cui 1,7 a carico dello Stato e 3,6 miliardi a carico delle aziende». Tridico ha poi posto l'accento su un'altra potenziale criticità, e cioè quella che riguarda i percettori del reddito di cittadinanza, sottolineando che «c'è un alto livello di sovrapposizione tra i due strumenti», di cui il legislatore deve tenere conto, poiché «risulta un numero, ancora non esattamente quantificabile ma importante, di percettori di reddito di cittadinanza che prendono anche gli assegni per nuclei familiari o altre prestazioni». E in generale, ha spiegato il presidente Inps, «l'idea del reddito di cittadinanza è che tutto fa reddito, quindi, a meno che non sia espressamente escluso, il conseguente beneficio che deriva dalla sovrapposizione sarà ridotto». Il rischio, come paventato da diversi osservatori, è che l'assegno unico si riveli un boomerang, con le famiglie che, rinunciando alle detrazioni e ad altri benefici, potrebbero rimetterci. Come ha detto il responsabile politiche fiscali e finanza pubblica della Cgil, Christian Perniciano, secondo cui la proposta è «positiva», ma servono «alcune attenzioni per evitare che diventi uno strumento ingiusto e insufficiente». Il bonus figli, ha aggiunto Perniciano, «non deve ridurre il reddito disponibile di nessuna famiglia che percepisca già delle detrazioni e deve essere un importo che fornisca sostegno anche ai redditi medi».