2025-12-02
La Consulta «sgrida» la Corte dei Conti. Superfluo il ricorso sulle pensioni
Per la sentenza n.167, il «raffreddamento della perequazione non ha carattere tributario». E non c’era bisogno di ribadirlo.L’aspettavano tutti al varco Giorgia Meloni, con quella sua prima legge finanziaria da premier. E le pensioni, come sempre, erano uno dei terreni più scivolosi. Il 29 dicembre di quel 2022, quando fu approvata la Manovra per il 2023 e fu evitato quell’esercizio provvisorio che molti commentatori davano per certo, fu deciso di evitare in ogni modo un ritorno alla legge Fornero e fra le varie misure di risparmio si decise un meccanismo di raffreddamento della perequazione automatica degli assegni pensionistici superiori a quattro volte il minimo Inps. La norma fu impugnata dalla Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna e da una ventina di ex appartenenti alle forze dell’ordine per una presunta violazione della Costituzione. Ma ora una sentenza della Consulta, confermando per altro una giurisprudenza che era già abbastanza costante, ha dato ragione al governo e all’Inps, che si era costituita in giudizio insieme all’Avvocatura generale dello Stato, proprio contro le doglianze del giudice contabile. Già, perché in base alle norme vigenti, non è stato necessaria la deliberazione di un collegio giudicante, ma è bastata la decisione del giudice monocratico della Corte dei Conti emiliana, Marco Catalano, esperto in questioni pensionistiche.Nella Manovra 2023, da 35 miliardi, il governo aveva mantenuto fede alle promesse elettorali di non tornare al regime Fornero. Anzi, semmai, di provare a smantellarlo. Si era varata una piccola riforma temporanea, detta «quota 103», per il solo anno a venire e che prevedeva il pensionamento con almeno 41 anni di contributi e 62 anni di età, per un totale di 103 anni. Le pensioni minime, che erano pari a 525,38 euro, per gli over 75, salivano a 600 euro al mese. E poi c’era questo raffreddamento della perequazione per le pensioni oltre i 2.100 euro circa. Nulla di sanguinoso, insomma.Ma a marzo 2024 la Corte dei Conti emiliana impugnava proprio quest’ultima misura, sostenendo che fosse incompatibile con i princìpi di eguaglianza tributaria e con i requisiti di ragionevolezza e temporaneità di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione. Lo scorso 13 novembre, la Consulta ha dato ragione al governo su tutta la linea (sentenza numero 167 del 2025). Nel dettaglio i giudici, guidati dal presidente Giovanni Amoroso (redattrice Antonella Sciarrone Alibrandi) hanno ribadito che questi interventi di raffreddamento degli automatismi pensionistici non hanno carattere tributario. Ovvero, non sono misure fiscali, con tutto che quel che ne conseguirebbe in termini di eguaglianza di fronte alla legge. La sentenza spiega chiaramente che quella misura contenuta nella Manovra 2023 non era «un tributo surrettiziamente introdotto» perché non equivaleva ad alcun prelievo sulle pensioni. Si trattava semplicemente della classica misura spot, giustificata «da un interesse pubblico preciso, finalizzato a garantire un sistema previdenziale sostenibile e bilanciato». Inoltre, spiega ancora la Consulta, il «raffreddamento» mirava a contenere la spesa pensionistica, non a trovare risorse per finanziare la spesa pubblica come avviene con i tributi. La magistratura contabile emiliana aveva poi citato l’obbligo di temporaneità delle misure del governo presentate come eccezionali, un tema sul quale la Corte costituzionale si era già espressa più volte. Ma anche qui, secondo la stessa Corte, il quesito era sbagliato. Il requisito della transitorietà di questi tagli sulle pensioni riguarda un caso diverso, ovvero il «contributo di solidarietà» sugli assegni di importo più elevato, ma non i meccanismi di sterilizzazione parziale del recupero dell’inflazione, che devono invece rispettare i criteri di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza. Su questo punto, la Corte ha respinto le eccezioni di incostituzionalità, ma ha accompagnato il semaforo verde con un invito alle Camere a valutare attentamente gli effetti delle misure di contenimento della perequazione e a intervenire con prudenza sul regime ordinario, anche in considerazione dei riflessi sui comportamenti di spesa delle famiglie. Inoltre suggerisce di trovare il modo per trattare in modo differenziato i pensionati che sono stati assoggettati al sistema contributivo (legame stretto tra contributi versati e assegno incassato), rispetto a chi ha avuto la fortuna di andare in pensione con il sistema retributivo. Uno degli aspetti che colpiscono alla lettura della sentenza è il fatto che la Consulta in sostanza non fa che ribadire sentenze precedenti un po’ su tutti i punti. A cominciare dalla numero 19 del 2025, che aveva dichiarato infondate questioni di legittimità costituzionale in riferimento ai principi di proporzionalità e adeguatezza dei trattamenti pensionistici. Vabbè, si può dire che «repetita iuvant». Ma dopo lo schiaffo della Corte dei Conti al governo sul Ponte dello Stretto, si può anche dire che la Consulta ha dato ripetizioni ai giudici contabili su pensioni e Manovra.
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