I nuovi obiettivi imporranno il ricambio in pochi anni. Saliranno i costi e i pericoli, visto che i mezzi a batteria pesano di più. Eppure il settore inquina meno delle centrali a carbone tedesche, aperte per il no al nucleare.
I nuovi obiettivi imporranno il ricambio in pochi anni. Saliranno i costi e i pericoli, visto che i mezzi a batteria pesano di più. Eppure il settore inquina meno delle centrali a carbone tedesche, aperte per il no al nucleare.Nella corsa a rotta di collo per approvare tutto l’approvabile prima della fine della legislatura europea, ieri il Consiglio Istruzione, gioventù, cultura e sport tenutosi a Bruxelles ha dato il via libera al nuovo regolamento sulle emissioni di CO2 dei mezzi pesanti. Il regolamento era già stato promosso dal Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue) lo scorso 8 maggio, ma era necessaria l’adozione formale del Consiglio di ieri per il via libera alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Ue.Nel Coreper di mercoledì scorso il governo italiano, assieme a quello polacco e slovacco, aveva votato contro e la Repubblica Ceca si era astenuta, con tutti gli altri Paesi favorevoli. Posizioni confermate ieri in Consiglio, ma trattandosi di votazione a maggioranza qualificata il testo è passato.Cosa prevede il nuovo regolamento? Le nuove norme mantengono l’attuale obiettivo per il 2025, ovvero una riduzione delle emissioni del 15% per gli autocarri che superano le 16 tonnellate. I nuovi obiettivi invece prevedono una riduzione delle emissioni del 45% a partire dal 2030, del 65% a partire dal 2035 e del 90% a partire dal 2040. Questi obiettivi si applicheranno agli autocarri medi, agli autocarri pesanti che superano le 7,5 tonnellate e ai pullman. Le nuove norme introducono poi un obiettivo del 100% di autobus urbani nuovi a emissioni zero entro il 2035, con un obiettivo intermedio del 90% per questa categoria entro il 2030.In maniera simile a quanto prevede il bando delle auto con il motore a combustione interna al 2035, il regolamento su camion e autobus impone un obbligo di fatto di cambiare i mezzi circolanti entro pochi anni, poiché difficilmente le case produttrici continueranno a proporre i modelli con motore diesel. Il punto è che i camion a batteria o a idrogeno che dovrebbero essere l’alternativa, semplicemente, non esistono e sono una produzione di nicchia. In Italia nel 2023 le nuove immatricolazioni di autocarri sopra i 3.500 kg sono state per il 97% di veicoli con motore diesel: venduti 72 camion elettrici (17 nel 2022). Non esiste un’infrastruttura di ricarica degna di questo nome per il traffico pesante ed anche strade e ponti potrebbero essere a rischio. Infatti, i camion a batteria sono più pesanti e a parità di carico un camion elettrico peserà di più di un normale diesel. Con quali impatti sulla circolazione è tutto da capire. C’è a Strasburgo una proposta di direttiva per uniformare pesi e misure dei camion, ma se ne parlerà nella prossima legislatura.Quello che è certo è che si va verso un aumento dei costi per l’acquisto delle flotte così come per le merci trasportate. Ancora una volta, senza sussidi statali non si andrà da nessuna parte, a meno di concentrare il mercato dell’autotrasporto e accendere strutturalmente una componente inflattiva che inciderà sul prezzo dei beni trasportati.Esulta Transport & Environment (T&E), l’organizzazione non governativa che ha partecipato attivamente alla scrittura del regolamento. Il presidente della Federazione degli Autotrasportatori Italiani (Fai) Paolo Uggè è invece molto critico: «La decisione della Ue, che continua a voler sostenere una politica ambientale strumentale e ideologica, deve impegnare tutti coloro che sono convinti di quanto simili decisioni siano il frutto solo di scelte che puntano a penalizzare le attività legate alla mobilità, in particolare quelle dell'autotrasporto», afferma in una nota. «Dobbiamo impegnarci a sostenere quelle forze politiche responsabili che promuovono principi come la neutralità tecnologica, oltre alla necessità che i temi legati alle emissioni inquinanti, e le conseguenti decisioni, siano affrontati in una logica mondiale», conclude Uggè.Il settore dei veicoli pesanti (camion e autobus) è responsabile del 27% delle emissioni di gas a effetto serra prodotte dal trasporto su strada nell’Ue. Le quali, a loro volta, sono pari a circa il 23% del totale delle emissioni dell’intera Unione. Poiché nel 2023 le emissioni antropiche da uso di fossili nell’Unione sono state di circa 2,6 miliardi di tonnellate (pari al 6,9% mondiale), stiamo parlando di circa 161 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Più o meno è quanto emettono le centrali a carbone tedesche, che restano aperte mentre le centrali nucleari, che emettono zero CO2, sono state fermate senza una ragione tecnica.Nel verbale del Coreper dell’8 maggio risultano le dichiarazioni di Polonia e Slovacchia, che argomentano il voto contrario. La Slovacchia fa notare come nel regolamento non sia rispettato il principio della neutralità tecnologica: «Basarsi esclusivamente sui veicoli pesanti elettrici e a idrogeno che non sono disponibili su larga scala potrebbe essere un’arma a doppio taglio. Questo problema è accentuato dalla mancanza di punti di ricarica per il segmento dei veicoli pesanti, che sembra costituire un notevole ostacolo sia attualmente che nel prossimo futuro».Secondo il governo slovacco, il regolamento non tiene conto del ruolo dei combustibili rinnovabili neutri in termini di emissioni, non considera l’introduzione di un fattore di correzione del carbonio e non comprende la valutazione delle emissioni di CO2 durante tutto il ciclo di vita dei nuovi veicoli pesanti. Tutti punti che nel regolamento vengono rimandati ad una fase successiva di revisione.Insomma, se sull’auto elettrica ha dovuto rallentare almeno un po’, sui camion l’Unione europea va dritta per la sua strada. La sensazione è che ci stia andando senza freni e soprattutto senza tenere il volante.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Su un testo riservato appare il nome del partito creato da Grillo. Dietro a questi finanziamenti una vera internazionale di sinistra.
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Nel 1937 l’archeologo francese Fernand Benoit fece una scoperta clamorosa. Durante gli scavi archeologici nei pressi dell’acquedotto romano di Arles, la sua città, riportò alla luce un sito straordinario. Lungo un crinale ripido e roccioso, scoprì quello che probabilmente è stato il primo impianto industriale della storia, un complesso che anticipò di oltre un millennio la prima rivoluzione industriale, quella della forza idraulica.
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Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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