2019-12-23
Banche. Prima fanno i crac poi la fanno franca
Bari sta finendo (male) come in precedenza numerosi altri istituti ma i responsabili riescono spesso a non subire conseguenze. Colpa della mancata vigilanza e di assurde normative europee. Pino Arlacchi: «Davanti al capitalismo finanziario Cosa nostra è una realtà da poco». Il fondatore della Direzione investigativa antimafia: «Gli scandali creditizi possono far più danni della mafia. Servono riforme contro gli speculatori. Non riconosco più la sinistra, la sua deriva europeista è deleteria». Lo speciale comprende due articoli. State andando di fretta al concerto. Lasciate la macchina al parcheggio custodito. Dopo una splendida serata ritornate a prendere la vostra autovettura ma il parcheggio è chiuso e della vostra auto non vi è traccia. Un cartello campeggia fuori: «Chiusura per fallimento. La vostra vettura non c'è più». Per quanto assurda possa sembrarvi, questa è più o meno la storia che interessa migliaia di risparmiatori italiani (spesso semplici depositanti) alle prese con le crisi bancarie e con la demenziale procedura approvata con una direttiva europea. La cosiddetta Brrd. Stiamo parlando del «bail in», che pronunciato alla genovese si dice «belin». Tutt'altro significato, anche se poi non così lontano. Temi che purtroppo tornano di attualità con la vicenda della Popolare di Bari. Apparentemente è una cosa di buonsenso. Se una banca fallisce, le perdite vengono prima interamente addebitate agli azionisti, quindi ai detentori di obbligazioni e, qualora le perdite non fossero assorbite con questi sacrifici, verrebbero intaccati pure i depositi per la somma che eccede i 100.000 euro. Se invece l'importo della perdita da coprire supera l'8% del totale degli investimenti della banca - e stiamo parlando di uno scenario da terza guerra mondiale - dovrebbe intervenire il cosiddetto Fondo di risoluzione unico europeo alimentato anche con i soldi del famigerato Fondo salva Stati. In teoria si cerca di impedire che siano i contribuenti a dover cacciare i soldi per salvare una banca. In pratica è un'assoluta fesseria. E questo per otto buoni motivi. 1La banca è diversa Esistono un sacco di valide ragioni affinché uno Stato intervenga nel salvataggio di una banca. E lo ha spiegato Ignazio Visco in un'intervista a Repubblica del 20 dicembre 2015, a poche settimane dal cosiddetto salvataggio di Banca Etruria e C. Disse il governatore di Bankitalia: «La mera possibilità del “bail in" renderà più onerosa la raccolta bancaria, rischiando di essere, se non ben gestito, controproducente. Se un supermercato fallisce, magari se ne apre uno vicino in grado di vendere le stesse merci al pubblico di quello fallito. Se fallisce una banca, non ne riapre un'altra uguale vicina. Il rischio è che ne fallisca un'altra. Lentamente l'Europa sta cominciando a capire quali possono essere le reali conseguenze delle nuove norme». 2La Costituzione L'articolo 47 stabilisce che «la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito». Ecco perché esiste la Banca d'Italia che con la vigilanza regolamentare (fatta anche di segnalazioni statistiche elettroniche che gli istituti di credito trasmettono più volte al mese a Via Nazionale) e ispettiva (attraverso lunghe indagini sul campo condotte negli uffici delle banche dai suoi ispettori) è in grado di monitorare in tempo reale l'evoluzione della gestione di una banca. E se, nonostante questi strumenti, non riesce a prevenire situazioni di tale crisi o a correggere i comportamenti scorretti di molti banchieri, perché mai dovrebbero pagare gli ignari depositanti? 3I bilanci di una banca sono incomprensibili Fatto 100 il totale degli investimenti di una banca, quasi la metà sono costituiti da crediti. Della cui qualità viene data descrizione in nota integrativa dove si riportano gli importi dei crediti deteriorati a seconda della loro gravità. Ma è comunque una classificazione che fa la banca. Solo il banchiere (che sappiamo poter essere scorretto) oppure un controllore come Banca d'Italia può avere indicazioni più chiare. Il risparmiatore paga le tasse anche per mantenere chi ha il dovere di controllare le banche. 4Non tutti gli azionisti sono uguali Chi acquista azioni di una banca quotata ha a disposizione tutti i giorni un prezzo di mercato con cui confrontarsi, gli analisti ne parlano in tv o sul Web, quotidiani e riviste ne scrivono, broker ne discutono. È normale che debba sopportare eventuali perdite. Ma chi ha investito in azioni di banche popolari non quotate (è il caso dell'attualissima Popolare di Bari ma non sfuggono a tale categoria le già liquidate Veneto Banca o Popolare di Vicenza) non hanno tali informazioni. 5 Questione di credito La famiglia che chiede un mutuo o l'artigiano che chiede uno scoperto di conto alla Bari di turno si sente, nelle migliori delle ipotesi, rispondere: «La sua domanda può essere accolta. Ma potendo la nostra banca lavorare solo con i soci è necessario che lei diventi nostro azionista. Un investimento peraltro sicuro e redditizio. E qualora non abbia soldi possiamo fare uno strappo alla regola. Aggiungiamo alla sua linea di credito i 20.000 euro necessari per fare questo investimento da custodire a garanzia del suo credito presso di noi». Suona tutto meravigliosamente lineare. Poi però arriva il bail in. Le perdite si mangiano completamente gli investimenti mentre il mutuo rimane. Non è fantastico? 6Questione di fiducia Non è affatto vero che con il bail in pagano solo i diretti interessati. Una volta rotti gli argini, sono tanti gli investitori a rimetterci le penne sebbene non coinvolti nella banca in difficoltà. Si prenda ad esempio quanto accaduto nel 2015 con la risoluzione di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara. Le banche italiane quotate a Piazza Affari valevano prima dell'azzeramento dei titoli subordinati oltre 130 miliardi di euro. A giugno 2016, otto mesi dopo il «salvataggio», meno di 60 miliardi. Un buon affare per tutti vero? 7Magagne difficili da individuare È vero che le obbligazioni subordinate emesse da una banca in caso di liquidazione coatta amministrativa (l'equivalente della procedura fallimentare per un'impresa industriale) sono interessate dalle perdite prima di una normale obbligazione. E per questo rendono di più. Ma non tutto in pratica fila così liscio. Innanzitutto, molte delle obbligazioni subordinate piazzate da Banca Etruria ai suoi clienti avevano rendimenti simili in tutto e per tutto a un Btp. Come poteva il risparmiatore capire che il titolo era rischioso? Molte banche all'epoca preferivano collocare questi titoli ai propri clienti anziché a scafati investitori istituzionali che chiedevano interessi pari spesso al doppio. Insomma, turlupinare il cliente è più semplice che non un'esperta banca d'investimento. Ma essere subordinati in caso di fallimento significa che prima deve essere attivata la procedura. Non certo che quel titolo possa essere azzerato pur di evitare il fallimento. È come se prenotaste la cabina di una nave da crociera. Se vi fosse scritto che in caso di affondamento questa camera si allaga per prima, è una cosa. Se vi fosse invece detto che pur di non fare affondare la nave questa camera la allaghiamo, la faccenda è diversa. Non trovate? 8La garanzia implicita tanto basta In tutti i più normali Paesi del mondo, quindi fuori dalla zona euro, esiste la garanzia implicita della Banca Centrale vigilante. Senza bisogno di scriverlo a caratteri cubitali, chiunque sa che verranno attivati tutti i necessari strumenti pur di salvaguardare il risparmio. E questo non vuol certo dire che il banchiere disonesto debba farla franca. Si prenda ad esempio il caso di scuola del crac del Banco Ambrosiano. Oltre a salvaguardare depositanti e obbligazionisti, si salvò la banca facendo intervenire alcuni istituti di credito nella ricapitalizzazione e rilancio, concedendo però agli azionisti «fregati» un'opzione da poter esercitare successivamente per acquistare i titoli di nuova emissione a un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato vigente al momento dell'esercizio dell'opzione. Si salvaguardava così un fondamentale capitale di fiducia. L'Italia della lira riusciva in questi capolavori. L'Italietta di oggi no. Eppure, non è così difficile. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/banche-prima-fanno-i-crac-poi-la-fanno-franca-2641669705.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="davanti-al-capitalismo-finanziario-cosa-nostra-e-una-realta-da-poco" data-post-id="2641669705" data-published-at="1758062519" data-use-pagination="False"> «Davanti al capitalismo finanziario Cosa nostra è una realtà da poco» «I poteri bancari e finanziari? Sono come la mafia. Senza usare la violenza, provocano devastazioni molto più grandi». Come può dirlo? «Prendiamo lo scandalo riciclaggio di Danske Bank: 200 miliardi di euro. Tutto il mercato dell'illecito in Italia non arriva a 20 miliardi. Il mercato della droga si ferma a 14. Un solo scandalo bancario può essere 10 volte più dannoso rispetto alla “vecchia" illegalità di quelli che sparano». Per questo la mafia che ha combattuto lei non regge il paragone? «A confronto la mafia siciliana è modesta cosa. La criminalità vecchio stile si è adeguata a questo andazzo. Si è seduta nel sedile posteriore». Il sociologo Pino Arlacchi ha fondato la Direzione investigativa antimafia. Giovanni Falcone lo definì il suo principale collaboratore. Già vicesegretario generale dell'Onu, eurodeputato Pd, oggi con il libro I padroni della finanza mondiale (Chiarelettere) punta il dito contro banche e speculatori. La Popolare di Bari stava affondando. Si poteva evitare? «Banca d'Italia ha notevoli responsabilità. E pensare che avrebbe tutti gli strumenti per valutare la salute di un istituto. Perché non è intervenuta per tempo? Mi piacerebbe chiederlo a loro». Sorpreso dai prestiti allegri? «No, perché questo capitalismo finanziario, per sopravvivere, è ormai costretto a ricorrere a illegalità e frodi ai danni dei risparmiatori. Il sistema globale spinge la banca, per mantenere alti tassi di profitto, a entrare nel girone infernale della speculazione tossica. Anzi, noi italiani nella sventura siamo fortunati». Perché? «Perché la struttura ancora arretrata e inefficiente delle banche italiane spesso funge da protezione. Evita problemi maggiori». È giusto salvare la banca con quasi 1 miliardo di soldi pubblici? «I risparmiatori vanno garantiti, e fino a 100.000 euro lo sono già. Ma se i grandi azionisti hanno fatto un investimento sbagliato, è giusto che falliscano. Detto questo, occorre guardare anche alle politiche di lungo periodo». Cioè? «Fino agli anni Settanta, nell'età dei miracoli economici, le banche erano al servizio di imprese e famiglie, gli istituti principali erano pubblici, lo Stato si assumeva rischi, costruiva infrastrutture, guidava lo sviluppo. Un po' quello che accade oggi tra la Cina e le tigri asiatiche, che dovremmo prendere ad esempio». Poi che cosa è successo? «In Occidente oggi i mercati senza regole sono l'alfa e l'omega. Travolgono i ceti medi, ampliano le disuguaglianze. Gli Stati si sono ritirati. E non sto parlando di cospirazioni segrete di un gruppo di incappucciati: è la logica inevitabile del capitalismo finanziario». Da questa preponderanza dell'economia finanziaria su quella industriale derivano le storture di questi giorni? «È ridicolo e pericoloso che gli istituti bancari possano prestare cifre enormi rispetto ai depositi posseduti. Il 90% della liquidità bancaria resta intrappolata nel sistema, reinvestita in altre operazioni finanziarie. E le imprese spesso si trasformano esse stesse in banche: ormai tutte le fabbriche automobilistiche fanno profitto non vendendo macchine, ma concedendo i prestiti per farle acquistare». Dunque? «Servono riforme strutturali, per rimettere il potere bancario e finanziario al servizio dell'economia. Alimentare la circolazione del capitale di lungo periodo, che nutre gli investimenti. Limitare severamente il capitale speculativo. Che senso ha mantenere il divieto europeo sugli aiuti di Stato, mentre la Germania vara un grande piano di crescita industriale a guida pubblica?». Spinge anche per una riforma della Bce? «Certo, mi chiedo ancora come mai sono riusciti a trovare 3.000 miliardi di euro per salvare le banche nella crisi del 2010, e non riescono a trovare i denari per un piano europeo di infrastrutture, o per finanziare l'economia verde». Come pensa di imporre queste riforme nell'Europa del rigore? «L'Europa così com'è non reggerà. Dobbiamo sbarazzarci di un europeismo ideologico e decrepito, che ha distrutto l'autentico progetto europeo. Il quale non prevedeva, in principio, che un gruppo di burocrati dovesse dettarci il bilancio statale». Quindi il fondo salva Stati è inaccettabile? «Nel caso remoto dovesse servire, ci esproprierebbe della sovranità. Tuttavia, ormai ci siamo dentro, e sarà difficile uscirne. Io ritengo che l'Italia non andrà mai in default, non esiste un problema di sostenibilità del debito. Chi lo pensa sono gli speculatori, che vogliono arricchirsi con il panico, e i ciechi sostenitori dell'austerity». E lei da parlamentare europeo non si ribellò? «Seguivo le indicazioni dei colleghi esperti di economia, così come loro si fidavano di me in politica estera. In generale, l'educazione finanziaria degli europarlamentari è molto bassa. Poi però qualche dubbio cominciò a venirmi». Quando? «Quando l'europarlamento fallì la riforma delle agenzie di rating, quelle società al limite della criminalità che fanno operazioni delinquenziali a danno di interi Paesi, manipolando i giudizi sui rischi. L'Italia è una delle prime vittime. Dovrebbero diventare agenzie pubbliche e avere sede in Europa, non negli Usa». È deluso dai partiti socialdemocratici europei? «Non li riconosco più. Questa deriva europeista vecchia maniera del Pd è deleteria».