2024-05-20
«Azzerare le emissioni abbassando le bollette si può solo con l’atomo»
L’esperto di energia candidato alle Europee con Azione Giuseppe Zollino: «Ursula ha fissato obiettivi impossibili perché le serviva il voto dei Verdi».«Che il Green Deal non stia funzionando non lo diciamo noi, ma lo evidenzia il Green Deal stesso dato che nel suo atto costitutivo prevede di perseguire la difesa del pianeta, in modo da favorire la crescita economica e una migliore qualità della vita dei cittadini». A evidenziare la contraddizione «verde» non è un pericoloso negazionista climatico, ma Giuseppe Zollino, professore di Tecnica ed economia dell’energia all’Università di Padova e capolista nella circoscrizione Nord-Ovest per Azione alle prossime elezioni europee. Poca ideologia e tanto spazio a numeri, ricerche e analisi. E sono appunto i numeri e le analisi a dimostrare che fino a oggi «è stato tradito uno degli elementi fondanti del patto che dovrebbe portarci verso la transizione ecologica».Professore cos’è che non sta funzionando?«Prima di scender in dettagli, dico che la transizione ecologica non può avvenire per via di decrescita, cioè riducendo la ricchezza e la qualità della vita di 450 milioni di europei». C’è stato un approccio ideologico al tema? «Ci sarà stato anche un approccio ideologico, ma stiamo ai numeri. A giugno 2019 i capi di Stato e di governo europei avevano deciso di tagliare le emissioni entro il 2030 del 40% rispetto al 1990. Oggi siamo arrivati a una riduzione del 32% e raggiungere il 40% sarebbe già un gran risultato». Quindi?«A settembre 2019 iniziano a circolare le prime bozze del Green Deal e Ursula von der Leyen, candidata presidente della Commissione, decide di alzare l’obiettivo al 55% senza spiegare quali modifiche nelle analisi di impatto economico, industriale, occupazionale e sociale, fossero sopraggiunte, tali da giustificare un incremento di tale portata a quanto concordato solo 3 mesi prima».Motivo?«Le servivano i voti di una parte dei Verdi europei e anche di forze, come M5s, che spingevano per rafforzare, anche solo nominalmente, gli obiettivi ecologici». A discapito dei cittadini.«Il punto chiave è la responsabilità. Noi di Azione, desideriamo ridurre davvero le emissioni sino ad azzerarle, per questo pensiamo occorra definire con realismo le tappe del percorso, in modo che siano sostenibili anche dal punto di vista economico e sociale. Indicare obiettivi irraggiungibili non è ambientalismo. In concreto, occorre prima promuovere lo sviluppo di filiere industriali europee, darsi il tempo perché la transizione sia davvero occasione di crescita economica. Altrimenti rischiamo di abbattere l'industria europea e non le emissioni». Eppure alcune forze politiche che si definiscono riformiste, penso al Pd, hanno appoggiato e continuano ad appoggiare questa linea senza se e senza ma.«Nel Partito democratico esistono diverse anime. Conosco molti iscritti (e non solo semplici iscritti) che non pensano affatto sia possibile tagliare del 55% le emissioni entro i prossimi sei anni, ma non escono allo scoperto». Il suo è un invito a passare in Azione?«Nessun invito; su questi temi abbiamo un programma chiarissimo, senza ambiguità e senza “ma anche”: se qualcuno si ritrova con le nostre idee, perché magari nemmeno riesce a capire quali siano davvero quelle del partito in cui milita, si faccia avanti e ne discutiamo».Torniamo all’ambiente. Case green. La direttiva ci obbligherà a ristrutturare le nostre abitazioni con cappotti, doppi vetri, pompe di calore ecc. Ma i singoli Paesi hanno dei margini di manovra. «La direttiva, per come è scritta, parte da giusti principi e poi si perde per strada. La Commissione evidenzia che l’efficienza energetica va perseguita se i risparmi nella bolletta energetica nella vita successiva dell’edificio sono almeno pari all’investimento iniziale. Poi però scrive che entro il 2050 tutti gli edifici d’Europa devono essere a emissione zero».Un paradosso. «Appunto, si parte da una premessa corretta (l’investimento deve ripagarsi da solo), e si finisce per imporre un percorso uguale per tutti gli edifici, fissando pure a priori date di scadenza per una serie di tappe intermedie». E ci sono anche i conti che non tornano. «Certo; per esempio, tutti i Paesi devono tagliare del 16% il consumo di energia nei propri edifici, entro il 2030. Quel 16% in Italia equivale a circa 5 volte i risultati raggiunti con il Superbonus 110%. Superbonus che, se togliamo le spese “poco chiare”, è costato almeno 100 miliardi. Parliamo a spanne quindi di una spesa superiore ai 500 miliardi nei prossimi sei anni».Più o meno 90 miliardi all’anno. «All’incirca. E qui tornerei ad evidenziare il principio della direttiva sul ritorno dell’investimento. Ed evidenzierei che questi stessi fondi potrebbero essere usati per migliorare la nostra sanità, la nostra scuola, i salari dei lavoratori. Inoltre indicare un termine perentorio per un obiettivo così grande è controproducente poiché “droga” il mercato dell’edilizia». Lo stesso discorso vale per l’auto?«Sulle auto elettriche valgono considerazioni analoghe, con l’ulteriore complicazione del problema dei bassi salari italiani: dal 1991 in Italia, in termini reali, i salari sono rimasti sostanzialmente al palo, mentre in Germania sono cresciuti del 33%».Cosa c’entra con le auto elettriche?«Un modello base di vettura elettrica costa non meno di 25-30.000 euro. In media un salariato tedesco può più facilmente considerare di passare all’elettrico, magari come seconda auto cittadina, di un salariato italiano. È uno dei motivi per i quali il mercato delle auto elettriche in Italia non decolla».E infatti rischiamo di essere invasi dalle auto elettriche low cost prodotte in Cina.«Un effetto perverso, visto che la produzione cinese impiega energia tutt’altro che green e ciò riduce i benefici ambientali dell’auto elettrica». Cosa invece dovrebbe fare la nuova Commissione?«Per esempio valutare le emissioni non solo durante la circolazione dei veicoli, ma in tutto il loro ciclo di vita, dalla produzione fino allo smaltimento. Così, per esempio, i biocarburanti (carburanti ottenuti da materie prime di origine agricola, ndr) sarebbero ammessi, almeno in fase transitoria, consentendo di utilizzare ancora motori a scoppio. La banalizzo: quando siamo passati dalle carrozze alle prime automobili abbiamo forse indicato una data dopo la quale non si potessero più vendere carrozze? Le grandi transizioni avvengono gradualmente: saper gestire i transitori è fondamentale». Se dovesse prendere il posto che è stato di Frans Timmermans e diventare il nuovo responsabile della transizione energetica in Europa, cosa proporrebbe sulle rinnovabili? «Abolirei tutti i termini e gli obiettivi obbligatori e porrei le condizioni per pari trattamento normativo e finanziario di tutte le tecnologie della tassonomia verde europea (rinnovabili e nucleare) per raggiungere la neutralità climatica. Perché oggi assistiamo al paradosso per cui la Commissione apre una procedura di infrazione contro la Francia, che emette 45 grammi di CO2 per ogni kilowattora elettrico generato, e non contro la Germania che per ogni kilowattora emette 425 grammi di CO2».Come mai?«Solo perché la Francia non ha raggiunto gli obiettivi obbligatori sull’uso di fonti rinnovabili. Come se l’obiettivo non fosse ridurre le emissioni». Insomma, una riduzione realistica dell’inquinamento non può prescindere dal nucleare?«Rende l’obiettivo proibitivo; e non perché siamo dei tifosi dell’atomo, semplicemente perché, scenari alla mano, in Italia raggiungere zero emissioni con sole rinnovabili richiederebbe molti più impianti di generazione e di accumulo, e quindi molte più superfici e molti più materiali, e maggiori costi dell’intero sistema elettrico rispetto ad un mix equilibrato di rinnovabili e nucleare. In altri termini, una quota di nucleare consentirebbe di azzerare le emissioni con bollette più economiche. L’ingresso del nucleare nella tassonomia verde europea rappresenta una prima importante svolta; ora bisogna fare in modo che direttive e regolamenti ne tengano conto». Intanto la Von der Leyen, artefice di molti di questi «macro-errori» si è ricandidata alla guida della Commissione.«E infatti non è la nostra candidata».Azione chi proporrebbe?«In questo momento non c’è figura più adatta di Mario Draghi». Un po’ scontata come risposta.«Ma noi non indichiamo certo Draghi per il curriculum, che conta certo, ma per la sua riconosciuta competenza, cioè per l’autorevolezza».Cosa vuol dire?«Sono stato per quasi sei anni funzionario distaccato presso la commissione Industria ed energia del Parlamento europeo, dove siederei se eletto, e ho constatato che, sulle questioni più intricate, la posizione del Parlamento viene indicata da pochi deputati (tre o quattro) di riconosciuta competenza in quel campo. Cioè deputati autorevoli, in grado di convogliare il consenso su posizione ottimali, cioè che tengano conto di tutti i parametri in gioco. E in tema di politiche energetiche e climatiche gli aspetti in gioco sono tanti e tutti rilevantissimi: sbagliare soluzione può essere un errore fatale». E tra questi tre-quattro che di volta in volta si susseguivano c’era qualche italiano?«Purtroppo quasi mai».
Ecco #DimmiLaVerità del 31 ottobre 2025. Ospite il senatore di FdI Guido Castelli. L'argomento del giorno è: " I dettagli della ricostruzione post terremoto in Italia Centrale"
Foto Pluralia
La XVIII edizione del Forum Economico Eurasiatico di Verona si terrà il 30 e 31 ottobre 2025 al Çırağan Palace di Istanbul. Tema: «Nuova energia per nuove realtà economiche». Attesi relatori internazionali per rafforzare la cooperazione tra Europa ed Eurasia.
Il Forum Economico Eurasiatico di Verona si sposta quest’anno a Istanbul, dove il 30 e 31 ottobre 2025 si terrà la sua diciottesima edizione al Çırağan Palace. L’evento, promosso dall’Associazione Conoscere Eurasia in collaborazione con la Roscongress Foundation, avrà come tema Nuova energia per nuove realtà economiche e riunirà rappresentanti del mondo politico, economico e imprenditoriale da decine di Paesi.
Dopo quattordici edizioni a Verona e tre tappe internazionali — a Baku, Samarcanda e Ras al-Khaimah — il Forum prosegue il suo percorso itinerante, scegliendo la Turchia come nuova sede di confronto tra Europa e spazio eurasiatico. L’obiettivo è favorire il dialogo e le opportunità di business in un contesto geopolitico sempre più complesso, rafforzando la cooperazione tra Occidente e Grande Eurasia.
Tra le novità di questa edizione, un’area collettiva dedicata alle imprese, pensata come piattaforma di incontro tra aziende italiane, turche e russe. Lo spazio offrirà l’occasione di presentare progetti, valorizzare il made in Italy, il made in Turkey e il made in Russia, e creare nuove partnership strategiche.
La Turchia, ponte tra Est e Ovest
Con un PIL di circa 1.320 miliardi di dollari nel 2024 e una crescita stimata al +3,1% nel 2025, la Turchia è oggi la 17ª economia mondiale e membro del G20 e dell’OCSE. Il Paese ha acquisito un ruolo crescente nella sicurezza e nell’economia globale, anche grazie alla sua industria della difesa e alla posizione strategica nel Mar Nero.
I rapporti con l’Italia restano solidi: nel 2024 l’interscambio commerciale tra i due Paesi ha toccato 29,7 miliardi di euro, con un saldo positivo per l’Italia di oltre 5,5 miliardi. L’Italia è il quarto mercato di destinazione per l’export turco e il decimo mercato di sbocco per quello italiano, con oltre 430 imprese italiane già attive in Turchia.
Nove sessioni per raccontare la nuova economia globale
Il programma del Forum si aprirà con una sessione dedicata al ruolo della Turchia nell’economia mondiale e proseguirà con nove panel tematici: energia e sostenibilità, cambiamento globale, rilancio del manifatturiero, trasporti e logistica, turismo, finanza e innovazione digitale, produzione alimentare e crescita sostenibile.
I lavori si svolgeranno in italiano, inglese, russo e turco, con partecipazione gratuita previa registrazione su forumverona.com, dove sarà disponibile anche la diretta streaming. Il percorso di avvicinamento all’evento sarà raccontato dal magazine Pluralia.
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