2025-06-20
Sorpresona: levi l’euroburocrazia e le aziende tornano a investire
Adolfo Urso (Imagoeconomica)
I 2,2 miliardi di credito di imposta dell’«Industria 4.0» sono andati esauriti in poche ore. La «5.0», invece, lanciata nel 2024 e finanziata col Pnrr (dunque sottoposta ai diktat Ue), è ferma a 1,2 miliardi usati su 6.È durata meno di 24 ore la speranza delle imprese italiane di poter eseguire investimenti beneficiando dell’agevolazione «Transizione 4.0».Infatti, dalle 14 di martedì 17 era possibile inviare il nuovo modello di prenotazione accedendo al portale del Gse, e già a metà della giornata di mercoledì 18 sul sito del ministero delle Imprese e del Made in Italy è apparso il laconico comunicato che avvertiva dell’avvenuto esaurimento dei 2,2 miliardi di credito di imposta messi a disposizione dalla legge di bilancio 2025.Un successo clamoroso, considerato che si tratta degli stessi beni (impianti, macchinari, attrezzature) a elevata digitalizzazione per i quali il credito d’imposta è pari «solo» al 20% fino 2,5 milioni e al 10% fino a 10 milioni. Nettamente meno del 50% che fu consentito ottenere nel 2021, ma anche molto meno del 35-40-45% che per gli stessi beni sarebbe possibile ottenere con la misura gemella «Transizione 5.0».La differenza fondamentale tra i due strumenti è che la 5.0 richiede che i beni agevolati concorrano al conseguimento di un risparmio energetico rispetto alla situazione ex-ante. Una prova spesso diabolica, come ci permettemmo di segnalare su questo giornale già ai primi vagiti della norma nell’aprile 2024. Inoltre, la 5.0 è vittima del dogma ideologico della tutela dell’ambiente portato all’ennesima potenza. Gli investimenti ammessi sono infatti solo quelli che rispettano il principio del «non arrecare un danno significativo» all’ambiente (anche noto come principio Dnsh, cioè «Do no significant harm«). Un principio che domina tutti gli investimenti finanziati col Pnrr, che però si è rivelato una pericolosa trappola per le imprese. Infatti, all’atto della domanda, le imprese devono attestare il rispetto di tale principio con un’autodichiarazione, con responsabilità penale in caso di falsa dichiarazione, anche in buona fede. Con il rischio di restare sotto la spada di Damocle e di vedersi revocare l’agevolazione se nel quinquennio successivo all’investimento qualcuno avesse da eccepire sul rispetto di questo principio. Giusto per dare una misura del labirinto in cui ci ha infilato Bruxelles per spendere soldi nostri - perché il debito per i finanziamenti ricevuti da Bruxelles resta a carico della Repubblica italiana - le risposte alle domande frequenti pubblicate dal Mimit e dal Gse sono arrivate a 49 pagine. A queste si aggiungono altre decine di pagine della circolare operativa di agosto 2024 e del precedente decreto ministeriale di luglio. Un percorso di guerra.Il risultato finale di questo ginepraio è che nonostante da agosto 2024 ci siano a disposizione della 5.0 ben 6,3 miliardi di credito di imposta, il tiraggio è tuttora molto modesto: solo 1,2 miliardi. Con la prospettiva che entro dicembre, data ultima per l’esecuzione degli investimenti, non si superino i 2,5 miliardi. Lasciando così circa 4 miliardi inutilizzati che però ora sono al centro di un’intensa negoziazione con Bruxelles per la revisione del Pnrr (per l’Italia sarebbe la sesta).Sono numeri che dimostrano - nonostante le buone intenzioni del ministro Adolfo Urso - la sostanziale modesta efficacia delle semplificazioni introdotte con la legge di bilancio 2025. Poco o nulla ha aiutato il fatto che il risparmio energetico fosse sostanzialmente presunto (senza necessità quindi di misurazioni cervellotiche) qualora i nuovi beni sostituissero beni analoghi già completamente ammortizzati da almeno 24 mesi. Una casistica non proprio comune.Il fatto che le imprese siano accorse in massa e, in meno di 24 ore, abbiano richiesto agevolazioni quasi doppie rispetto a quelle richieste per la 5.0 in circa 10 mesi, è la prova concreta che, in condizioni normali e liberati dei diktat di Bruxelles, il sistema Italia abbia ancora voglia di investire.Ed è questo il guanto di sfida lanciato due giorni fa dagli imprenditori italiani a Urso e al ministro Giancarlo Giorgetti, che a dicembre scorso aveva limitato le risorse disponibili a soli 2,2 miliardi. Con questa somma è stato infatti possibile soltanto accogliere le prenotazioni di risorse da parte delle imprese che avevano già inviato fino al 15 maggio 2025 il vecchio modello di prenotazione pubblicato a maggio 2024, senza però poter eseguire l’ordine al fornitore e pagare il 20% di acconto entro dicembre. Chi aveva invece eseguito questi due adempimenti è rimasto fuori dalla tagliola.Il nuovo modello pubblicato il 16 (utilizzabile dal 17) non è praticamente servito a nulla. Servirà, nell’ipotesi di un auspicato rifinanziamento della misura, solo per mettersi in coda e acquisire una priorità. Infatti il Mimit ha comunicato chiaramente che le risorse sono state esaurite già ad opera delle domande presentata col vecchio modello.Ora si apre un periodo fino al 17 luglio, termine entro il quale le imprese che hanno presentato domanda col vecchio modello sono però chiamata a riconfermare la precedente prenotazione. Chi non lo farà libererà spazio per lo scorrimento in ordine cronologico delle domande presentata col nuovo modello.Chi da mesi si lamenta dell’incertezza legate ai dazi americani, dovrebbe puntare l’attenzione sulla ben più generalizzata incertezza in cui navigano da mesi gli imprenditori italiani che, ancora a metà del 2025, non sanno se i loro investimenti ad elevata digitalizzazione beneficeranno di un credito d’imposta che sposta in modo decisivo il ritorno di quell’investimento e la conseguente decisione di eseguirlo.Gli imprenditori hanno dimostrato con i fatti che vogliono investire. Ora tocca a Urso e Giorgetti battere un colpo. Anche rapidamente.
Silvia Salis (Imagoeconomica)
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