2022-02-01
Governo a ostacoli. Scoppia la prima bomba
(Athanasios Gioumpasis/Getty Images)
Non solo Saipem. I dossier - Ilva, Stellantis, Tim- non attendono. Voci sull’addio dell’ad di Mps per fare pressioni sul Tesoro.Saipem crolla del 30% in Borsa. Mef chiamato a correre in soccorso. Il gruppo ritira le previsioni presentate solo a ottobre e comunica di aver registrato perdite superiori a un terzo del capitale nel 2021. Contatti con gli azionisti Eni e Cdp industria per pompare nuova liquidità.Lo speciale comprende due articoli.Saipem, la partecipata di Eni e Cassa depositi e prestiti, perde in Borsa un terzo del proprio valore. Il crollo è dovuto all’improvviso annuncio di una maxiperdita, legata - si vuol far sapere - alle difficoltà della logistica e al rialzo dei prezzi delle materie prime. La bomba però esplode pure per altri motivi. Dal 2016 non si vuol prendere il toro per le corna e decidere una strategia di lungo o lunghissimo termine. Il caso Saipem, al di là dei problemi tecnici, è un fatto politico. È la prima vera rogna del governo Draghi. Non a caso il cda straordinario è avvenuto nel week end e si è atteso l’esito del voto per il Colle e il ritorno di Mario Draghi con tutti e due i piedi a Palazzo Chigi. Sarà il Mef infatti a dover dare istruzioni a Eni e Cdp. Sarà sempre il Mef a dover indicare la rotta. Se la tassonomia Ue inserirà il gas quale fonte green finanziabile all’interno dei fondi Ue, il futuro di Saipem andrebbe in una direzione. Se invece il Vecchio continente dovesse dimostrarsi pervicacemente distruttivo verso l’uso del gas e imporci una transizione ecologica killer, le conseguenze si ripercuoterebbero direttamente su Saipem. Ciò a indicare che il 2022 sarà l’anno in cui i nodi arriveranno al pettine. E toccherà alla coppia Mattarella-Draghi affrontarli e tentare di scioglierli. Cominciando dalla transizione ecologica, sarebbe anche il caso di dividere i pani e i pesci. La gran parte delle partecipate va un po’ per la propria strada. Le strategie di Enel cozzano con quelle di altre società. Eni investe nel nucleare ma la politica sembra ignorarlo e soprattutto l’accelerazione sull’elettrico impatterà sulle aziende che operano nel comparto dei microchip e soprattutto nel comparto delle due ruote. Il cambio di passo dal motore a scoppio a quello a batteria rischia di costare 70.000 posti di lavoro. A cominciare da Stellantis. La ex Fiat ha deciso di rimborsare anticipatamente il prestito miliardario garantito da Sace e indirettamente dallo Stato. L’erogazione prevedeva infatti vincoli sull’occupazione e su specifiche attività sul suolo della Penisola. Giusto quindici giorni fa Carlos Tavares, amministratore delegato del gruppo ormai a trazione francese, ha tenuto a ricordare che il costo del lavoro in Italia è troppo elevato. Non ci vuole tanto a fare due più due e trarne le conseguenze. A quel punto anche la promessa di installare la gigafactory (stabilimento per la componentistica chip) a Termoli si scioglierebbe come neve al sole. Nessuno potrebbe cadere dalle nuvole. Le premesse erano già sul tavolo. Stesso discorso vale per le Pmi che finiranno travolte dai costi energetici. Chi vuole far credere che i picchi di prezzo siano temporanei volutamente ignora che le rinnovabili hanno costi insostenibili per le aziende. O sono sussidiate o generano bollette dieci volte più care. Per capirlo basta calcolare quanto negli ultimi dieci anni sia stato caricato sulle bollette degli italiani (ben 85 miliardi di oneri, esclusi gli incentivi erogati dagli enti locali) e quanto è a bilancio nel Pnrr (poco meno di 10 miliardi). La differenza sarà a spanne la batosta che gli italiani dovranno pagare. Per questo la sfida del governo non può risolversi in partite di giro fiscali.Per andare avanti abbiamo bisogno di sovranità energetica. Il resto sono palliativi che finiranno con l’incrementare l’altra bestia che morde il Paese. L’inflazione, anch’essa un fenomeno tutt’altro che passeggero, è stata fino a ora ignorata. Con i flussi migratori inarrestabili sarà praticamente impossibile aumentare le buste paga e un’inflazione senza il contrappeso dei salari fa comodo agli Stati perché contribuisce a erodere la grande massa di debito pubblico. Ma dall’altro lato impoverisce il Paese. E tutti coloro che vivono di reddito fisso. A questi scenari macroeconomici, si aggiungono le altre partite rimaste sotto il tappeto. A pochi giorni dall’insediamento nel 2021, Mario Draghi tenne la sua prima conferenza stampa. Gli venne chiesto quali sarebbero state le linee guida che avrebbe impresso all’economia. La risposta fu evasiva. O meglio, disse che prima si sarebbe occupato della pandemia e solo dopo dell’economia. Adesso lo spauracchio della pandemia è tenuto in piedi artificialmente e a breve cadrà anche se resteranno le restrizioni. Ma, in ogni caso, ciò che è stato rinviato nel 2021 andrà affrontato o saranno i problemi ad affrontare noi. Il riferimento è alla cessione del Monte dei Paschi di Siena e alla creazione del terzo polo bancario. Tutti i premier hanno parlato fin troppo di Mps. L’unico che è stato governatore della Bce si è ben guardato dall’esprimere un parere o dare una dritta. Il tema però ribolle, non a caso ieri sono uscite le indiscrezioni dell’addio di Guido Bastianini dopo che avrà approvato i conti il prossimo 7 febbraio. Non è certo una notizia. Ma il fatto che sia stata diffusa ieri spiega la fretta che qualcuno sta mettendo al Tesoro perché prenda una decisione.Ma a incombere c’è anche l’acciaio. Che sarà dell’Ilva? E di Piombino, che si appresta a diventare mezza pubblica come Taranto? Quale strategia ci sarà per Leonardo? Venderemo i cannoni e finalizzeremo l’acquisto di Hensoldt, nonostante in Borsa ora valga la metà di quando l’abbiamo opzionata? Chi prenderà il posto di Giuseppe Bono in Fincantieri? Quali obiettivi ci saranno? E infine, la rete. Pende sul capo di Tim un’offerta di Kkr. La notizia è sparita dai giornali, sembra che si vada nella direzione opposta. Cioè scorporare la rete stessa. Il rischio è perdere per strada 20.000 posti di lavoro. Spetta al governo esprimersi e decidere.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/auto-inflazione-tlc-le-bombe-finora-ignorate-dal-governo-stanno-per-esplodere-2656520654.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="saipem-crolla-del-30-in-borsa-mef-chiamato-a-correre-in-soccorso" data-post-id="2656520654" data-published-at="1643663772" data-use-pagination="False"> Saipem crolla del 30% in Borsa. Mef chiamato a correre in soccorso Un tonfo del 30,1%. È quanto ha lasciato sul terreno di Piazza Affari il titolo Saipem dopo che la società ha lanciato un allarme profitti. O meglio, ha deciso di rivedere il portafoglio ordini e di ritirare gli outlook annunciati alla fine di ottobre. Il bilancio civilistico 2021 è previsto in perdita per oltre un terzo del capitale sociale e la società ha avviato contatti preliminari con controparti bancarie oltre che con gli azionisti Eni (al 30,5%) e Cdp industria (al 12,5%) per verificare la loro disponibilità a supportare un’adeguata manovra finanziaria. Il tracollo di Borsa fa tremare Saipem, i suoi vertici, i suoi soci e pure il Mef che dei soci di Saipem è azionista. E qualche brivido corre anche lungo la schiena dei contribuenti visto che sarà necessaria una ricapitalizzazione. La revisione del portafoglio ordini, la cosiddetta backlog review, avviata dal management «evidenzia, a causa del perdurare del contesto della pandemia, dell’aumento, attuale e prospettico, dei costi delle materie prime e della logistica, un significativo deterioramento dei margini economici a vita intera di alcuni progetti relativi all’E&C onshore e all’offshore wind con conseguente effetto, in applicazione dei principi contabili internazionali, sui risultati economici consolidati», spiega la società in una nota. Le stime preliminari evidenziano, rispetto alle previsioni comunicate al mercato il 28 ottobre un Ebitda adjusted consolidato del secondo semestre 2021 in riduzione di circa 1 miliardo e una contrazione dei ricavi consolidati del secondo semestre 2021 da 4,5 a 3,5 miliardi. Il cda una volta completati e approvati, nel più breve tempo possibile, i dati di preconsuntivo civilistico e consolidato, procederà alla «convocazione dell’assemblea degli azionisti per gli opportuni provvedimenti ai sensi di legge», viene aggiunto. Come hanno ricordato gli analisti di Mediobanca securities, «si tratta del terzo profit warning consecutivo da quando nel secondo trimestre 2021 è subentrato il nuovo management» guidato da Francesco Caio (che prima, dal 2018, era presidente). «Chiaramente, gli investitori si chiedono se il gruppo è in grado di gestire bene i costi in aumento su alcuni dei suoi progetti e se emergeranno ulteriori perdite». E, «ancora più importante», aggiungono i broker di Piazzetta Cuccia, «gli investitori si chiederanno se sarà necessario immettere nuovo capitale per rafforzare le finanze della società». Ora la poltrona dell’ad Caio traballa. Dopo l’utile ritrovato a fatica a fine 2019, per Saipem a causa del Covid è iniziata una lunga serie di trimestri in rosso, dovuta al calo e al rallentamento delle commesse. Tra le cause principali del continuo deterioramento dei conti c’è anche il blocco registrato in Mozambico, progetto del valore di 4 miliardi annunciato nell’aprile dello scorso anno (si è trattato di mancati ricavi per 1,4 miliardi fino alla fine del 2021). Il persistere dell’emergenza Covid e i maggiori costi per 170 milioni nelle attività eoliche offshore registrati lo scorso settembre hanno prevalso su un portafoglio di nuovi ordini di 4,9 miliardi. Diventa però complicato per il manager - già ai vertici di Poste e di Ita, la ex Alitalia -dare la colpa all’aumento dei costi per le materie prime o scaricare tutte le responsabilità sulla gestione del suo predecessore (Stefano Cao) visto che Caio ha fatto un nuovo piano a ottobre dopo avere cambiato tutta la prima linea ed è comunque stato presidente nei tre anni precedenti. Nelle settimane scorse, inoltre, si erano intensificati i rumors secondo cui il numero uno del gruppo era pronto a traslocare in altre società controllate dallo Stato (come Sace, dove si è dimesso di recente l’ormai ex presidente Rodolfo Errore). C’è, inoltre, da chiedersi come e perché in una attività come quella di Saipem non si riesca a prevedere cosa succede a tre mesi di distanza, considerando il ritiro degli outlook diffusi a fine ottobre. Presentando il piano industriale 2021-2025 era stato infatti escluso il rischio di un aumento di capitale, confermato un Ebitda al positivo nel secondo semestre e indicato obiettivi molto ambiziosi per i prossimi anni, sottolineano gli analisti di Bestinver, ricordando che la società ha effettuato un aumento di capitale di 3,5 miliardi nel 2016 e ha accumulato perdite per oltre 1,9 miliardi dal 2017 al 2020, a cui si aggiungerà un’ulteriore perdita di 2 miliardi nel 2021 tenendo conto che la perdita per i nove mesi era di 1,1 miliardi e, a seguito del profit warning di ieri, la perdita del quarto trimestre dovrebbe superare i 900 milioni. Dagli azionisti, ieri un portavoce di Eni ha dichiarato che il Cane a sei zampe «sta monitorando con attenzione la situazione e svolgerà ogni propria valutazione rispetto alle tematiche e agli scenari che verranno presentati dalla società stessa, in coordinamento con Cdp». E a tenere i riflettori accesi è anche la Consob i cui uffici, prima di esprimersi, attendono comunque la pubblicazione del bilancio e la relazione dei revisori dei conti, oltreché la posizione degli azionisti.
Emanuele Fiano (Imagoeconomica)
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