Metà delle 53.000 vetture verdi è stata immatricolata in Trentino e Lombardia, fra le regioni con più Pil. In Molise appena 56.
Metà delle 53.000 vetture verdi è stata immatricolata in Trentino e Lombardia, fra le regioni con più Pil. In Molise appena 56.tanto invocato da Commissione e Parlamento europeo non sarà soltanto un'ecatombe per i posti di lavoro nel comparto automotive e nel suo indotto, ma finirà per allontanare maggiormente redditi e stili di vita tra Nord e Sud Italia.Secondo un'elaborazione di LaPresse effettuata su dati dell'Automobile club d'Italia, che stima 40 milioni di veicoli in Italia, delle 53.000 autovetture elettriche circolanti a fine 2020 circa la metà è stata acquistata in Lombardia e Trentino Alto Adige, ovvero i posti dove sono disponibili più colonnine di ricarica, dove l'energia elettrica proviene da fonti idroelettriche ma soprattutto dove il Pil pro capite è più alto e compensa la differenza di prezzo tra veicoli tradizionali ed elettrici.lentezzaAl momento delle rilevazioni, nella sola Lombardia erano in circolazione 10.356 auto a batteria mentre 12.421 sono state quelle contate in Trentino Alto Adige. Il distacco con altre parti dello Stivale è disarmante: in Veneto girerebbero non più di 4.200 veicoli elettrificati, 3.886 in Piemonte e via così fino ai 127 registrati in Basilicata e i 56 in Molise.Si potrebbe dare la colpa alle evidenti difficoltà di trovare le famigerate colonnine per la ricarica, ma a ben guardare i dati non è soltanto questa la causa della lentezza con la quale avverrà la conversione dell'automotive italiano. Secondo l'European alternative fuel observatory (Eafo), in Italia a fine luglio 2021 risultano attivi 17.397 punti di ricarica dei quali il 71,5% è pubblico, mentre la restante parte è privata ma in quasi tutti i casi si tratta comunque di impianti disponibili al pubblico. Sul totale, il 90% circa sarebbe a bassa potenza (circa 20 kw) e soltanto una parte modesta ad alta potenza (fino a 250 kw), come i Tesla supercharger che risulterebbero essere poco più di 300.Di quelli a bassa potenza il 20% consente soltanto ricariche lente (3,7 kw), quindi c'è da aspettare ore per un pieno, tanto che si tratta di postazioni più adatte a moto, bici e monopattini elettrici, al massimo alle microcar. stazioniOsservando l'aumento del numero di stazioni, questo cresce al ritmo di 44-48% annuo dal 2019, ma poi sappiamo che se questi impianti ricevono energia da centrali a combustione il vantaggio della riduzione di anidride carbonica immessa nell'atmosfera è perso e che con la distribuzione dell'energia si va in passivo anche in termini di convenienza.In questo caso la Lombardia guida la classifica della diffusione delle colonnine con 3.152 impianti, seguita da Piemonte, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Lazio, Veneto e Toscana. Nel Sud la Sicilia guadagna comunque terreno su Puglia, Sardegna, Calabria e Campania. Se guardiamo il numero di stazioni per veicoli elettrici, oggi in Italia nella media siamo a sette auto per colonnina, ma va da sé che se quasi quattro auto su sette sono al Nord il divario è già incolmabile. Alla base del fenomeno della forbice che taglia in due la Nazione ci sono diversi fattori: la differenza e la stabilità dei salari in primo luogo, che determina la possibilità di acquistare una nuova auto più frequentemente, la maggiore presenza di ampie flotte aziendali e autonoleggi e l'imposizione delle restrizioni alla circolazione dettate dalla densità abitativa e quindi dalla presenza di alti volumi di traffico nella medesima area.L'aciGerardo Capozza, segretario generale dell'Automobile club d'Italia, intervenendo all'incontro Transizione ecologica e vettori energetici: l'elettrico tenutosi all'ultimo Meeting di Rimini ha dichiarato: «Per passare progressivamente a tecnologie sempre meno dannose per l'ambiente bisogna tenere in considerazione le realtà socioeconomiche del nostro Paese, ma soprattutto essere consapevoli che i tempi non saranno brevi. In Italia, affinché la mobilità elettrica possa diventare più concreta e diffusa c'è la necessità che sussistano determinate condizioni: aumentare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, migliorare le prestazioni delle auto elettriche fino a rendere equivalenti a quelle con motore termico, continuare a sviluppare un'efficiente e capillare rete di stazioni di ricarica e una sempre maggiore diffusa cultura dell'ecosostenibilità. La transizione ecologica è più complessa di quanto immaginiamo ma una transizione giusta non può e non deve danneggiare lavoratori e imprese. Nel nostro Paese, purtroppo, circolano ancora oltre 12 milioni di auto altamente inquinanti, si potrebbe pensare a sostituirle anche con aiuti e incentivi [...]. La transizione ecologica non può prescindere dal tener conto di demografia, economia, agricoltura, energia e mobilità».Parole sensate che riflettono una realtà facilmente sperimentabile. Chi usa l'auto su tragitti brevi e ripetitivi, magari laddove le ricariche sono diffuse, nonostante la notevole differenza di costo tra auto tradizionali ed elettriche (nella stessa categoria almeno 5.000 euro, equivalenti a oltre 3.000 litri di carburante, che per una berlina media sono 45.000 chilometri almeno), potrà riuscire a convertirsi all'elettrico con maggiore facilità. Ma chi percorre strade con molta variabilità di percorso, fa lunghi viaggi e magari ha notevoli necessità di carico utile non potrà trovare nell'auto elettrica una valida alternativa ancora per qualche anno. Senza contare la questione dei garage: possederne uno risolve in parte il problema delle ricariche, visto che si può installare una colonnina personale che comunque può costare migliaia di euro se l'elettrificazione esistente nel locale è inadeguata. Ma non tutti possono permettersene uno. A Napoli, la città più cara d'Italia per quel che riguarda i box auto, secondo uno studio di Immobiliare.it costano in media di 55.244 euro per 20 metri quadrati. Seguono Bologna (43.623 euro), Firenze (43.007), Milano (41.380) e Genova (37.963).
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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