2022-01-16
Assunta in Gedi contro la sua volontà per accollare all’Inps parte dello stipendio
La corsa dei manager per scaricare sui sindacalisti la colpa dei libretti di lavoro falsificati. «Ora serve un capro espiatorio».Una volta venuta alla luce la presunta truffa sui prepensionamenti che nelle scorse settimane ha portato al sequestro preventivo da parte della Procura di Roma di 38,9 milioni di euro, ai vertici di Gedi è cominciato lo scaricabarile. In un momento in cui anche i sindacalisti dentro l’azienda sospettavano che a «De Benedetti vogliono fare il culo...», l’ex ad Monica Mondardini, sostituita nel ruolo da Laura Cioli, ma ancora al vertice della Cir, pensava di passare il cerino proprio su qualche ex esponente della Rsu. È al telefono con Corrado Corradi, dal 2011 direttore generale di Gedi, divisione stampa nazionale, quando gli investigatori li ascoltano ragionare su quali fossero le imputazioni ascrivibili all’azienda nel caso dei dipendenti prepensionati che, come ha svelato La Verità, avrebbero indebitamente riscattato periodi contributivi attraverso libretti di lavoro falsificati. I dipendenti, secondo Mondardini, avrebbero potuto decidere di accusare Gedi, seguendo questo ragionamento: «Se l’azienda manifesta chiusura scaricano sull’azienda». Al contrario, sempre secondo la manager, «se vi comportate bene (riferito all’azienda, ndr) magari una soluzione si trova e (i dipendenti, ndr) scaricano sul sindacalista». A quel punto, stando all’interpretazione dei magistrati, Mondardini «ritiene utile trovarne cinque tra loro che facciano non meglio precisate dichiarazioni da poter usare a livello difensivo, ma non sapendo con chi potrebbe avere a che fare sembra aver paura di tentare quella strada». E, forse proprio per questo motivo, si confronta con Corradi: «Robi, l’alternativa, adesso parliamoci papale papale, perché io sono una negoziatrice nell’anima, l’alternativa è beccarne cinque. [...] Se tu ne becchi cinque non c’è bisogno che dicono, ma l’azienda mi ha indicato eccetera eccetera, stavo dal signor sindacalista... è ovvio che... me l’hanno indicato...». Ed ecco la preoccupazione: «Però... questo... assolutamente di indicare una strategia di questo genere perché non so di chi stiamo parlando, non so di che tipo di persone…». E tira in ballo Romeo Marrocchio, fino al 31 dicembre 2017 vice responsabile delle risorse umane, poi al gruppo Sole24ore, dove attualmente è responsabile del personale della direzione generale commerciale. «Ovviamente», dice Mondardini, «Romeo (Marrocchio, ndr) è molto agitato su questa cosa... si rovina il cretinotto che gli è andato a dire, questo molto prima, forse gliel’ho già detto... che c’era questa questione [...] noi che potesse esserci qualcuno che fa... un libretto di lavoro falso... ma voglio dire...». In un’altra conversazione, questa volta tra Alessandro Rocca, ex dirigente di Gedi, demansionato e prepensionato, e Marco Benedetto, amministratore delegato del Gruppo Espresso fino al 2009 e predecessore di Mondardini, si parla di Marrocchio come «capro espiatorio». Ma Rocca precisa: «Bisogna vedere se poi lui è disposto ad esserlo». Benedetto, infatti, replica: «Anche perché lui è fuori e quindi se ne fotte... lui adesso è al 24 ore». Rocca sembra essere bene informato: «Di sicuro io ti posso garantire che almeno un caso [...] cioè di persone che hanno avuto la sospensione della pensione perché gli hanno rigettato la costituzione di rendita vitalizia dopo tre anni, almeno un caso è di una persona che ha incontrato nella stanza del buon Marrocchio una terza persona che si è occupata di arrotondare i contributi».Ma se qualcuno ha provato a trovare un capro espiatorio per i riscatti contributivi ottenuti falsificando i libretti di lavoro, uno dei capitoli più scivolosi di tutta l’inchiesta, la smania di prepensionare dipendenti e utilizzare gli ammortizzatori per scaricare i costi del personale sullo Stato è dimostrata da questa storia incredibile. Una professionista che non voleva essere assunta e che è stata costretta ad accettare un contratto a tempo indeterminato per accollare all’Inps buona parte del suo stipendio.La vicenda riguarda il direttore del personale della Manzoni, la concessionaria di pubblicità del gruppo Gedi, Giulio Enrico Pozzetti. Che in una email agli atti dell’inchiesta chiede tra i requisiti per una nuova assunzione «almeno 30 anni contributivi». E ai suoi colleghi, tra i quali Corrado Corradi e Roberto Moro, comunica: «La dottoressa, previa verifica in famiglia, mi è sembrata d’accordo. Se giovedì confermasse, dovremmo predisporre lettere di impiego secondo quanto stabilito». La protagonista è Felicia Mornata, che lavorava per Postel, azienda del gruppo Poste italiane, e, dopo un periodo di cassa integrazione, si era proposta alla Somedia per una collaborazione: «Gentile dottor Corradi», scrive la donna, «in merito alla proposta di collaborazione allego il mio cv e riassumo l’attuale posizione lavorativa in Postel: qualifica quadro e livello A1 del Ccnl per il personale non dirigente di Poste italiane con uno stipendio lordo annuo di 60.000 euro». Praticamente i requisiti per il prepensionamento. La mail continua così: «La ringrazio veramente molto per l’opportunità che mi offre e che mi ha colto un po’ di sorpresa. Ho avuto modo di pensare alla prospettiva che mi si apre davanti e sono tentata di chiederle se la soluzione dell’assunzione potrebbe essere pensata anche come rapporto consulenziale [...]. Mi piacerebbe provare a gestire non più all’interno di una struttura ma in autonomia la mia attività». Ma nella testa dei manager di Gedi ci sono i prepensionamenti. Gli investigatori hanno ricostruito che «Mornata doveva essere formalmente assunta dalla Manzoni e contestualmente distaccata alla Somedia». Qualche giorno dopo la Manzoni, con una nota a firma di Mondardini, comunica a Mornata le condizioni della sua assunzione a tempo indeterminato. Lei accetta le condizioni: 50.000 euro annui lordi più 12.000 al raggiungimento degli obiettivi. E, così, Mornata diventa responsabile direct marketing. E allo scadere del rapporto di lavoro, la Manzoni presenta all’Inps la domanda di prepensionamento. I requisiti erano 32 anni di contributi. E con i due anni di distacco alla Somedia l’obiettivo era centrato in pieno. Con la partita non ancora completamente chiusa (a un paio di mesi dalla domanda di prepensionamento), alla Mornata viene offerto un «contratto per prestazione d’opera professionale» con la stessa Somedia. Compenso lordo: 40.000 euro. Il costo di Mornata, una volta prepensionata, valutano i magistrati, sarebbe quindi stato «indebitamente trasferito in gran parte a carico dell’Inps».