2019-02-05
Assolto dalla corte penale dell'Aja l'ex presidente della Costa d'Avorio. Fu fatto arrestare da Sarkozy
True
Venerdì scorso, la Corte penale dell'Aja ha concesso la libertà condizionale a Laurent Gbagbo. Presidente della Costa d'Avorio dal 2000 al 2011, la sua è stata una storia piuttosto travagliata. Accusato di crimini di guerra nel corso degli scontri avvenuti dopo le elezioni presidenziali ivoriane del 2010, venne catturato dalle forze speciali francesi che – sotto mandato delle Nazioni Unite – lo consegnarono alla Corte penale internazionale, dove è stato detenuto fino ad oggi. Lo scorso 15 gennaio, era stato assolto dai giudici, con la motivazione che i suoi legami con i gruppi responsabili dei crimini contestatigli fossero "eccezionalmente deboli". La procuratrice si era tuttavia opposta alla liberazione, affermando di temere che l'ex presidente potesse diventare irreperibile per eventuali nuovi processi. Adesso, è tuttavia a piede libero, purché risieda in un Paese che riconosce l'autorità della Corte penale internazionale.Il caso Gbagbo presenta numerosi elementi controversi. Non soltanto per un processo, durato anni, che si è risolto infine in una bolla di sapone. Ma anche – e forse soprattutto – per le sue implicazioni di carattere politico. Implicazioni che chiamano direttamente in causa il ruolo della Francia nelle dinamiche interne alla Costa d'Avorio.Innanzitutto, secondo alcuni siti africani, sembrerebbe che questo processo sia stato viziato alla base da un conflitto di interessi. Parrebbe infatti che la procuratrice che si è opposta due settimane fa alla liberazione di Gbagbo, Fatou Bensouda, sia la moglie di un uomo d'affari gambiano, Philippe Bensouda, il quale sembrerebbe avere dei legami con Alassane Ouattara: attuale presidente della Costa d'Avorio, nonché storico nemico di Gbagbo e particolarmente vicino all'Eliseo. Il businessman sarebbe particolarmente attivo nel mercato immobiliare ivoriano. Tutti elementi che – se confermati –getterebbero qualche ombra su come è stato condotto il processo.Inoltre, al di là dei sospetti di conflitto di interessi, sono anni che su questo procedimento giudiziario pesano accuse di partigianeria politica. Nel 2013, Human Rights Watch ravvisò che sulla vicenda tanto la giustizia internazionale quanto quella ivoriana si fossero di fatto inquietantemente mosse a senso unico. Si pensi solo che – stando a quanto riportarono le stesse Nazioni Unite – delle 207 indagini avviate sulle violenze post elettorali del 2010, appena tre si erano concentrate sui gruppi a sostegno di Ouattara, laddove la commissione nazionale di inchiesta aveva evidenziato che omicidi e stupri fossero stati chiaramente commessi da entrambe le parti in conflitto. Del resto, l'allora procuratore della Corte penale internazionale, Luis Moreno-Ocampo, dichiarò pubblicamente nel dicembre 2011 che le indagini sulle forze a favore di Ouattara non potessero essere condotte a causa della mancanza di fondi. In tutto questo, non bisogna dimenticare che era stato proprio Ouattara, sempre nel 2011, a chiedere che Ocampo avviasse delle indagini sui massacri post elettorali. Un elemento che getta sospetti di politicizzazione sul comportamento della Corte.In secondo luogo, neanche a dirlo, lo zampino di Parigi appare sempre più evidente in tutta questa complicata vicenda. Basta guardare alla storia recente. Laurent Gbagbo divenne presidente nel 2000 e, in netta polemica con il tendenziale gollismo filo-francese dei suoi predecessori, scelse di spostarsi su posizioni più vicine al socialismo, oltre che dirette ad un parziale allontanamento dall'Eliseo. In particolare, l'allora presidente decise di ridurre le politiche di privatizzazione che – soprattutto negli anni Ottanta – avevano portato a un progressivo arricchimento del capitalismo francese, spesso a discapito della popolazione locale. Stranamente, nel 2002, ci fu un tentativo di golpe che – fallito – si mutò ben presto in una rivolta. La Costa d'Avorio si ritrovò spaccata in due e ne uscì solo attraverso una tregua interna flebile e traballante. Così, tra instabilità, polemiche e rinvii, si arrivò alle presidenziali del 2010: elezioni che produssero un esito incerto e caotico. Il Paese si spaccò nuovamente: Gbagbo si dichiarò vincitore, mentre la comunità internazionale – con la Francia in testa – si schierò a favore di Ouattara. Il tutto fino al 2011, quando Gbagbo – lo abbiamo visto – venne fatto prigioniero.Nonostante si trattasse di una situazione parecchio confusa, in cui non è certo facile distinguere il torto dalla ragione, una cosa certa comunque c'è: gli storici legami che connettono l'attuale presidente ivoriano con Parigi. Ex economista del Fondo Monetario Internazionale, Ouattara ha sempre intrattenuto una relazione privilegiata con l'Esagono. E – guarda caso – negli ultimi anni il capitalismo francese ha ripreso a scorrazzare incontrastato in seno all'economia ivoriana: basti pensare ai recenti (e massicci) investimenti di Vincent Bolloré nel porto di Abidjan. Eppure politicamente non è che la situazione appaia così rosea. Sempre Human Rights Watch ha messo in evidenza come, negli ultimissimi anni, in Costa d'Avorio ci siano svariati problemi: giustizia lentissima e politicizzata, restrizioni ai giornalisti, temporanea sospensione delle testate di opposizione. Ma di tutto questo Parigi, che si riempie spesso la bocca di umanitarismo, non sembra interessarsi granché.