2018-09-09
Ansia da crolli sulla Milano-Meda. «Quattro cavalcavia pericolanti»
Tecnici concordi: alcuni ponti sopra la trafficatissima statale brianzola sono alla fine della loro vita. «Meglio chiudere la circolazione». La Regione tranquillizza tutti: «Pronti al restauro». Ma fino al 2019 si continua così.Con Matteo Renzi al governo i controllori avvisarono: «Siamo troppo pochi». La commissione parlamentare fu edotta, invano, che le verifiche sulle strutture erano calate per la mancanza di circa 90 addetti. Lo speciale contiene due articoli. Dovevano essere chiusi il mese scorso per motivi di sicurezza. Poi li hanno guardati meglio, hanno fatto qualche lavoretto, piazzato un cartello di divieto di transito per i mezzi pesanti: et voilà, i ponti possono rimanere dove sono fino al gennaio del 2019. Non di più, considerata la condizione in cui versano. Però qualche mese ancora, prima di prendere la decisione impopolare di chiudere un'arteria tanto trafficata, la Provincia di Monza e Brianza a quanto pare se lo vuol concedere (nonostante il clima di generale prudenza che la tragedia di Genova ha creato nelle amministrazioni locali). Gli osservati speciali sono i cavalcavia che sovrastano la superstrada Milano-Meda, frequentatissima da chi, per lavoro o per svago, si dirige dal capoluogo della Lombardia verso Como.Nata negli anni Sessanta come alternativa all'autostrada dei Laghi, per collegare la metropoli lombarda alla periferia di Como, l'arteria rimase incompiuta per mancanza di fondi e si fermò, appunto, a Meda.Lunga 22 chilometri, trafficatissima, questa direttrice è una via di sfogo fondamentale per tutta l'area della Brianza (una delle zone con maggior capacità produttiva d'Europa). Lungo il tracciato ci sono alcuni ponti che collegano fra loro i comuni limitrofi alla statale. Di tutti i cavalcavia, sono quattro quelli che destano preoccupazione.Il ponte 14, all'altezza di via San Benedetto a Cesano Maderno; il ponte numero 12 all'altezza di via Alessandro Manzoni, sempre a Cesano Maderno; il ponte numero 10 a Bovisio Masciago e il ponte dello svincolo numero 26.Nell'agosto 2017 l'ingegnere Giuseppe Giunta venne incaricato dalla Provincia di monitorare la situazione dei quattro passaggi. E la sua relazione di fine lavori (come riportato giorni fa dal Corriere della Sera) fu impietosa. Quei ponti «possono essere utilizzati ancora solo per un anno», scriveva all'epoca e, oltre al ponte numero 10 «anche gli altri tre dovrebbero essere vietati alla circolazione», tanto che «allo stato odierno, dopo i disagi dei calcestruzzi in fase di collasso» ai fini della sicurezza «potranno transitare mezzi con un solo carico non superiore a 10 tonnellate per non più di 12 mesi», recitava il dossier tecnico.Forse insoddisfatta dei risultati, la Provincia affidò poi nuovi incarichi di rilevazione a una società privata. Questi diedero risultati più rassicuranti.«La prima relazione», ha spiegato l'ente qualche giorno fa «è da considerarsi superata dalle campagne ispettive e di monitoraggio realizzate successivamente» e, ad oggi, nessuno dei cavalcavia sarebbe a rischio cedimento. Quello di via Maestri del Lavoro, a Bovisio Masciago, per esempio, utilizzato solo per transito di mezzi agricoli «è chiuso cautelativamente da oltre un anno e mezzo», hanno spiegato i referenti. Il ponte di Binzago, a Cesano Maderno, «è stato oggetto di un intervento per fermare il degrado» già ad agosto del 2017 e da allora «l'accesso è a traffico limitato ed esclude il transito ai veicoli di massa superiore a 3,5 tonnellate», continua l'ente «anche se il verificatore avrebbe consentito il transito di veicoli di massa superiore». Il ponte all'altezza di via San Benedetto, sempre a Cesano Maderno, «come certificato dalla società 4emme Service S.p.a. resta idoneo ai transiti previsti per i ponti di prima categoria fino a gennaio 2019», e anche il ponte sullo svincolo risulta sicuro sempre in base «ad una dichiarazione di transitabilità in scadenza nel gennaio 2019».In sostanza, per i prossimi tre mesi e mezzo i ponti rimarranno in piedi senza problemi. Sempre che (per il ponte numero 12) i mezzi pesanti rispettino la segnaletica che impedisce il passaggio con carichi superiori a quelli indicati e che gli estensimetri piazzati sulla campata, che misurano i dati in tempo reale, non segnalino cedimenti strutturali. Nel frattempo (esattamente come per il ponte Morandi a Genova) i fondi per i lavori sono stati stanziati. La Provincia ha impegnato 1,8 milioni di euro di trasferimenti regionali in un «progetto di manutenzione straordinaria che comprende anche una serie di controlli sulla situazione dei ponti», che partirà a breve e che dovrebbe garantire per il futuro la stabilità dei manufatti. E anche Regione Lombardia è convinta che valga la pena aspettare, tanto che sul mancato pericolo ci ha messo la faccia persino il presidente, Attilio Fontana: «Un allarme intempestivo», ha tagliato corto il governatore qualche giorno fa, dopo che il tema cavalcavia era tornato in auge, sposando la linea dell'ente provinciale. «Un tema su cui, comunque, la nostra attenzione è massima e lo abbiamo dimostrato anche con lo stanziamento di fondi, visto che a causa della sciagurata legge Delrio le Province sono nell'impossibilità di svolgere i loro compiti», ha concluso Fontana.Sulla statale 36, altra statale che però conduce a Lecco, una sorta di «gemella» della Milano-Meda, il 28 ottobre 2016 alle 17 e 20 minuti un viadotto - di competenza provinciale - che collegava i Comuni di Oggiono e Suello cedette improvvisamente, abbattendosi sul traffico della statale causando un morto e cinque feriti, tra cui tre bambini. Sul ponte, per motivi di sicurezza, vigeva il divieto di accesso per i mezzi di peso superiore alle 108 tonnellate. Il crollo fu causato dal passaggio di un camion che trasportava 107,5 tonnellate di bobine d'acciaio.Alessia Pedrielli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ansia-da-crolli-sulla-milano-meda-quattro-cavalcavia-pericolanti-2603185961.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="con-renzi-al-governo-i-controllori-avvisarono-siamo-troppo-pochi" data-post-id="2603185961" data-published-at="1758109381" data-use-pagination="False"> Con Renzi al governo i controllori avvisarono: «Siamo troppo pochi» Il 7 settembre 2016, mentre Graziano Delrio, in quel momento ministro dei Trasporti, incontrava nel suo ufficio la sindaca di Torino, Chiara Appendino, per un vertice sullo sbandierato Piano metropolitane, e mentre Matteo Renzi a Bari polemizzava con Michele Emiliano sulla trovata mediatica del Patto per la Puglia, a Roma - in commissione Ambiente - l'allora direttore dell'ufficio vigilanza del ministero delle Infrastrutture sulle concessionarie autostradali, Mauro Coletta, architetto, tra i 20 indagati dalla Procura di Genova per il crollo del ponte Morandi, confidava al presidente Ermete Realacci i pesanti deficit del suo ufficio: «Basti pensare», ammetteva Coletta, «che siamo passati da 1.400 ispezioni all'anno nel 2011, a 850 ispezioni nel 2015». Il tecnico, diventato funzionario pubblico solo un anno dopo, spiegò che alla base del drastico calo dei controlli c'erano importanti carenze di personale: «Siamo circa 160 persone», esclamò. E completò la statistica svelando: «A regime dovremmo essere 250». In pratica, mancava una novantina di tecnici. Una legge del 2011 trasferì in tutta fretta al ministero dei Trasporti l'attività ispettiva dell'Anas, e con essa il personale che si occupava dei sopralluoghi per la manutenzione di ponti, gallerie, viadotti e segnaletica stradale. E nel biennio 2015-2016, nonostante le carenze di personale, gli ispettori della Vigilanza scoprirono che Autostrade aveva ridotto del 7,9% le spese per la manutenzione ordinaria, riscontrando 2.175 non conformità nel 2015 e 3.568 nel 2016. Ma l'aspetto inquietante è che in termini percentuali, stando alle attività di verifica, nessuno in quei 2 anni fece peggio della concessionaria che aveva la responsabilità del ponte Morandi. Oltre alla vigilanza e al controllo sulle concessioni autostradali, però, i 160 ispettori avrebbero dovuto tenere d'occhio anche l'esecuzione dei lavori, l'approvazione di progetti, le proposte di programmazione e anche l'attuazione delle leggi e dei regolamenti sulla tutela del patrimonio. E per fare tutto ciò, spiegò ancora Coletta, «dobbiamo dire un po' a malincuore e semplicisticamente che i collaboratori che si recano in missione per svolgere i sopralluoghi devono anticipare le spese». E siccome per i rimborsi bisognava attendere anche quattro o cinque mesi gli ispettori, per non sborsare i costi per alberghi e pasti, rientravano in sede. A risentirne «è tutto l'apparato», sentenziò Coletta. E per un momento Realacci si trasformò in Cassandra: «A me preoccupa un po' il dato, menzionato alla fine, sulla riduzione del numero delle ispezioni in un settore così delicato». La cosa, però, nonostante le preoccupazioni di Realacci cadde nel vuoto. Per tornare d'attualità solo dopo il crollo del ponte Morandi. E l'iscrizione nel registro degli indagati dell'architetto Coletta e di Carmine Testa, il manager che il ministero delle Infrastrutture ha mandato 3 anni fa a dirigere l'Ufficio ispettivo di Genova, del direttore generale Vincenzo Cinelli e del capo della divisione Vigilanza tecnica e operativa, Bruno Santoro, potrebbe essere l'accertamento per far luce sul momento in cui si sarebbe creata la falla nel sistema di vigilanza sulle concessioni. Fabio Amendolara
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)