2025-11-21
«Solo in Italia è strano pubblicare le notizie»
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)
La posizione del segretario non è più sostenibile. Padellaro: «Si trattava di uno scoop e, come tale, bisognava farlo uscire». Anche Travaglio, sulla stessa linea, rincara la dose con la richiesta di allontanamento. Cavalli: «C’è in mezzo un pezzo del Pd».Forse, dopotutto, la storia non è così ridicola, visto il putiferio che ha suscitato. E forse lo scoop della Verità sul consigliere del Quirinale Francesco Garofani non è nemmeno irrilevante dal punto di vista giornalistico. Almeno così sembrano pensarla in parecchi, di sicuro molti di più di quanto qualcuno vorrebbe far credere. Molti media si sono affannati nel tentativo di smontare le nostre ricostruzioni, hanno tentato di sminuire e di far torbide le acque. Ma ora cominciano a levarsi voci differenti. Un collega autorevole come Marcello Foa da giorni scrive che la squadra del presidente non è poi così super partes: «Questo è chiaro a tutti gli elettori di centrodestra e a quelli magari non schierati politicamente a cui la vicenda Garofani ha aperto gli occhi». Foa è stato lapidario: «Non potendo smentire, a Garofani non resta che una via. Quella delle dimissioni». A pensarla così è anche Marco Travaglio, che lo ha scritto chiaramente: «Garofani ha solo due strade: o smentisce, sperando di non essere sbugiardato da testimoni o registrazioni; o si dimette». Più articolato ma altrettanto netto è il ragionamento di Antonio Padellaro - fondatore e già direttore del Fatto, di certo non un uomo di destra - che parlando con la Verità inizia con ironia: «Sono molto amareggiato del fatto che a una riunione di romanisti non mi abbiano voluto», dice riferendosi al contesto in cui Garofani ha parlato dello «scossone» ai danni del governo Meloni. «A parte gli scherzi», continua, «sono abbastanza sorpreso, per non dire sbalordito, dalle reazioni che ci sono state su questa notizia, che è un fior di notizia. Qui non si tratta di esprimere opinioni. Qui c’è un fatto: La Verità, avendo ricevuto un documento e avendo probabilmente fatto tutte le verifiche, lo ha pubblicato. A me sembra una cosa di assoluta normalità, almeno in un normale mondo dell’informazione. Ma qui invece di guardare la luna si guarda il dito. La notizia è vera? Sì. È importante? Direi di sì, perché il clamore che ha suscitato dimostra che è di interesse pubblico. Quindi resto stupito - anche se fino a un certo punto, perché conosciamo i nostri polli - dalla reazione abbastanza stravagante che c’è stata».Secondo Padellaro, «la regola per un consigliere della portata di Garofani è che si eserciti un minimo di prudenza. Da quello che abbiamo letto, ha fatto delle analisi piuttosto approfondite. E attacca duramente l’attuale gruppo dirigente del centrosinistra, perché quando lui dice che ci vuole di più, che bisogna creare una grande lista, beh, quella non è una battuta, non è la risposta a una domanda: è un’analisi, per altro abbastanza condivisibile. Più opinabile certamente è l’idea dello scossone che andrebbe dato alla Meloni. Dico questo perché si tratta di una serie di affermazioni molto forti, che non nascono da una conversazione da “eravamo quattro amici al bar”. Mi sembra un’analisi interessante, che uno dei consiglieri principali di Mattarella dovrebbe evitare di fare in un luogo pubblico». Sulle dimissioni del consigliere, Padellaro appare più scettico: «Nelle interviste che Garofani ha dato al Corriere della Sera ha tenuto a precisare subito che Mattarella lo aveva confortato, lo aveva rasserenato, e da quello che si capisce non gli aveva chiesto le dimissioni. Questo mi fa pensare che magari Garofani sarebbe pure pronto a dare le dimissioni, ma forse chi sta sopra di lui non vede queste dimissioni di buon occhio, almeno in questo momento. Forse produrrebbero un effetto valanga. Già è nato un caso politico abbastanza forte, le dimissioni forse non farebbero altro che alimentare il tutto. Non dobbiamo dimenticare poi la prima reazione del Quirinale, che è stata quella di definire ridicola questa vicenda. Ebbene, nel momento in cui tu dici che è ridicola, poi non puoi imporre le dimissioni, perché significherebbe dimostrare che così ridicola non è». Da una prospettiva molto diversa da quella di Padellaro, nei giorni scorsi è stato Nicola Porro a sbriciolare il castello di mistificazioni costruito dalla presunta grande stampa attorno ai nostri articoli. Parlando del «mega scoop» della Verità, Porro ha notato come il Corriere della Sera e altri giornali abbiano cercato di demolire Galeazzo Bignami di Fdi, reo di essere stato il primo politico a chiedere spiegazioni sulle parole di Garofani. «Una cosa pazzesca», ha detto Porro nella sua Zuppa online. «Per questa richiesta di Bignami, il Colle dice che si tratta di ricostruzioni ridicole e si offende, l’opposizione attacca Bignami». Quanto all’intervista concessa da Garofani al Corriere, il conduttore di Quarta Repubblica va giù ancora più duro: «Ragazzi, è una cosa pazzesca! Mi spaventa, dice Garofani nella sua intervista, la violenza dell’attacco. Ma quale violenza dell’attacco? Se stavi zitto, tu uomo prudente, e non parlavi davanti a politici, funzionari sportivi e a un sacco di gente…se il funzionario schivo ed ermetico non avesse parlato dicendo che ci vuole uno scossone nei confronti di questo governo dal suo ruolo di uomo del Quirinale…Qua si riempiono la bocca di difesa della libertà di stampa», conclude Porro, «e se un giornale fa uno scoop in cui dice che all’interno del Quirinale c’è uno che trama contro questo governo, non c’è libertà di stampa per poterlo scrivere». Che la storia si dovesse raccontare lo pensa anche un uomo di sinistra come Dino Giarrusso. «Questa è una notizia, se non è questa una notizia, non so cos’è la notizia», ci dice. «E perché mai non avrebbe dovuto pubblicarla la Verità o chiunque altro? Quando si ha una notizia la si pubblica, soprattutto se è, come dire, verificata. Cos’è mai il problema? Se fosse stata una fake news sarebbe stato un problema, ma non lo è». Giarrusso tuttavia non crede che Garofani dovrebbe lasciare l’incarico. «Per me non si deve dimettere. Poi se vuole farlo, se lo ritiene, per carità», spiega. «Per me quel pensiero è specchio di un modo di ragionare, che peraltro riguarda persino più la Schlein, una parte della sinistra, che la destra. C’è una scuola di pensiero per cui il centro-sinistra può vincere se smette di fare la sinistra e fa il centro, cosa che secondo me è totalmente fuori dalla realtà. E la destra deve essere abbattuta in ogni caso, cosa che secondo me è altrettanto fuori dalla realtà. Nessuno ragiona sul perché vince la destra, perché gli italiani sono sedotti da questo modo di ragionare, perché la metà della gente non va a votare, quell’altra metà che va a votare predilige in questo momento Fratelli d’Italia. Questi ragionamenti non se li fa nessuno, però si pensa che si possa immaginare un futuro dove le elezioni vanno come vogliono determinati personaggi, che sono tutto sommato minoritari. Mi chiedo: perché non parliamo, anziché dare giudizi, della realtà che va da una parte e di questa scuola di pensiero che va da un’altra?». Non troppo distante è il pensiero di un’altra personalità che non potrebbe essere più distante dalla destra di governo come Giulio Cavalli, giornalista e uomo di teatro. Quando parla della notizia pubblicata dalla Verità commenta: «Le reazioni l’hanno fatta diventare molto più notizia di quello che avrebbe dovuto essere: quindi evidentemente sono parole che toccano nervi scoperti. Le opinioni politiche di un consigliere del Quirinale sono una notizia». Cavalli non è affatto tenero con la destra, anzi: «L’ossessione per il complotto di Meloni e soci ha trasformato la notizia in una roncola per seminare un po’ di vittimismo», dice. Ma ce n’è anche per la sinistra: “A me pare che il Pd sia la vera notizia: dopo i bisbigli di Prodi e di Gentiloni sappiamo che anche dalle parti di Mattarella una segretaria democraticamente eletta a capo di un partito viene giudicata non pronta da coloro che hanno perso le elezioni per la segreteria, dai loro amici e dai padri nobili amici degli amici», spiega Cavalli. «Penso che ci sia un pezzo del Pd (meglio: degli ex dc ora “riformisti”) che è veramente convinto che i buoni rapporti con Mattarella siano la chiave del raggiungimento del potere, come se le elezioni fossero solo un dato da sistemare brigando con le alleanze e quant’altro». Già, a quanto pare c’è ancora chi è convinto che i destini di una nazione si possano decidere con qualche trama di palazzo, e che il vero problema siano i giornali che pubblicano notizie. E questo qualcuno, quando viene scoperto, ha pure il coraggio di lamentarsi.
Sergio Mattarella (Getty Images)
L’amministratore delegato di Terna Giuseppina Di Foggia
Diego Della Valle (Getty Images)