
Per i giudici è reato commercializzare i derivati dalla canapa. La decisione fa chiarezza sul caos delle sentenze contrapposte.La cannabis legale (light) non si può vendere, i cannabis shop hanno merce illegale. È chiara la sentenza della corte di Cassazione. I nove supremi giudici, a sezione unite e a porte chiuse, hanno risolto così la questione sorta a causa di due distinte sezioni della stessa Corte che, sull'argomento, avevano dato pareri contrastanti. Come si legge nella soluzione adottata, «la commercializzazione di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, infiorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell'ambito nell'applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica unicamente l'attività di coltivazione di canapa» e i prodotti che possono essere commercializzati. Diventa quindi illegale la cessione, la vendita e «la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti» derivati dalla cannabis definita legale dalla legge del 2016 per la bassa concentrazione (0,2 - 0,6%) di tetraidrocannabinolo (Thc), il principio attivo responsabile degli effetti psicotropi e dello sballo. La sentenza segna quindi il destino dei cannabis shop, su cui si è consumata, qualche settimana fa, l'ennesima frattura nel governo. Ai pentastellati, che hanno una proposta di legge sulla liberalizzazione della cannabis già depositata, non è piaciuta la dichiarazione del ministro dell'interno Matteo Salvini che, definendo la droga «un'emergenza nazionale», ha annunciato «controlli a tappeto» e chiesto di «chiudere tutti i negozi che oggi vendono cannabis e di vietare ogni tipo di festa legata alla canapa». All'origine del problema, oggetto della sentenza della Cassazione, c'è la situazione paradossale di un commerciante a cui sono stati chiusi tre negozi: due a Macerata e uno ad Ancona. «Sono stati fatti due processi distinti con due percorsi diversi», spiega il suo legale, l'avvocato Carlo Alberto Zaina. In Cassazione gli esiti sono stati differenti. Il 31 gennaio 2019, la Sesta sezione ha dato ragione al commerciate. Il 27 febbraio, la Quarta ha evidenziando un «contrasto giurisprudenziale» e trasmesso gli atti alle sezioni unite. Il problema infatti è nella natura stessa della legge 242/2016 che, nata dal ministero dell'Agricoltura allora guidato da Maurizio Martina (Pd), doveva incentivare la filiera della canapa industriale. Di fatto, però, ha creato lo spazio, tanto caro a chi sostiene la liberalizzazione della cannabis, per aprire negozi (hemp shop), dove vendere infiorescenze e prodotti a basso contenuto di Thc con l'escamotage di essere «oggetto di collezione» o «pianta ornamentale». La legge del 2016, infatti, definisce i limiti di contenuto di Thc (non superiore allo 0,2% ed entro il limite dello 0,6%) e i termini per la coltivazione, ma non specifica modalità di commercializzazione e l'uso dei prodotti della cannabis legale. Così, per la Sesta sessione della suprema corte era risultato «del tutto ovvio» che la commercializzazione riguardasse «anche la vendita al dettaglio delle infiorescenze» provenienti da coltivazioni legali e il loro impiego a scopo alimentare, cosmetico e per essere anche fumate. I giudici della Quarta sezione penale, invece, hanno evidenziato il contrasto giurisprudenziale ponendo la questione alle Sezioni Unite. Come ha indicato la Cassazione ieri, in accordo con quanto sostenuto dalle procure che stanno chiudendo vari negozi a livello nazionale, i valori di tolleranza di Thc consentiti (0,2-0,6%) si riferiscono solo al principio attivo sulle piante in coltivazione e non al prodotto oggetto di commercio, per questo i derivati della coltivazione (infiorescenze e resina), sono da considerarsi stupefacenti. Proprio a questo aspetto la sentenza di ieri pone particolare attenzione, segnalando che la cessione dei derivati della cannabis è vietata, «salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante». A tale proposito, un anno fa, il Consiglio superiore di sanità, nella sua valutazione scientifica richiesta dal ministero della Salute, ha dichiarato che, in mancanza di dati scientifici certi e non potendo escludere la sua «pericolosità », nell'interesse «della salute individuale e pubblica e per il principio di precauzione», la vendita della cannabis light va vietata. Non è escluso che il dibattito possa riaccendersi su questa ultima riga della sentenza: ci sono 3.000 negozi e un business stimato intono ai 70-80 milioni di euro all'anno in un settore che in tutto il mondo sta crescendo a ritmi stupefacenti. Sempre che non sia tutto fumo.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





