2024-01-06
L’anatema contro il cinepanettone è il manifesto della vera volgarità
Christian De Sica e Nancy Brilli in «Natale in crociera» del 2007
«Repubblica» gongola per le stroncature del «New York Times» alla comicità pecoreccia dei Vanzina e si lancia in un attacco classista secondo cui a Cortina sono tutti «evasori con gli zigomi puntellati». La fatica di essere i Migliori, sempre. Alle feste come in vacanza, ai premi letterari come alla scrivania sulla quale ci si china pensosi in attesa del collegamento tv, con la Recherche di Proust in bella vista e la pila dei libri degli amici da recensire e citare in un interminabile rosario di favori incrociati. Ma sempre pienamente identificativi di quell’Italia migliore alla quale si appartiene. Perché l’Italia dei Migliori è riflessiva e non si distrae mai. Neppure sotto le feste che in fondo, ammettiamolo, sono così volgari, tra eccessi di cibo e transumanze nei luoghi di svago. E così non poteva passare sotto silenzio l’odioso anniversario del primo cinepanettone, che ha appena compiuto 40 anni e che il New York Times ha fatto a brandelli. Legittimamente, per carità. Solo che ieri sul fondamentale tema è intervenuto nelle pagine di Repubblica Francesco Merlo, per definire i film con i vari Massimo Boldi e Christian De Sica degli autentici «trionfi della volgarità». E al termine di un predicozzo ex cathedra, ecco la scomunica anche per Cortina d’Ampezzo, dipinta come la meta preferita di «riccastri nullatenenti perché evasori». Come se razzismo, generalizzazioni e conformismo non fossero a loro volta una forma di volgarità, intesa come assenza di finezza e spirito elevato. Sine nobilitate (snob), per dirla con i latini. L’esondazione del Merlo è stata innescata da una lettrice del quotidiano della famiglia Agnelli Elkann, che commentava un articolo di Gianni Riotta (altro campione del giornalismo con il cachecol) sulla stroncatura newyorchese dei cinepanettoni, definiti volgari e «sessisti». Sorvoliamo sulla critica del New York Times, perché neppure a noi piacciono le parolacce, le battute grevi, la glorificazione degli istinti animali e, in generale, qualunque forma di spettacolo rappresenti l’Italia come una nazione abitata da soli filistei. I gusti cinematografici sono per definizione soggettivi, come il senso dell’umorismo, e i singoli attori o personaggi possono risultare più o meno simpatici. Per esempio, a molti italiani non è mai risultato simpatico Alberto Sordi, accusato di impersonare spesso un italiano debole, arrivista, opportunista, piacione, piagnucolone, che si arrangia un po’ troppo e che fondamentalmente è un bieco conformista. Tuttavia, molti film di Sordi sono degli autentici capolavori, come Finché c’è guerra c’è speranza, o sono addirittura profetici, come Tutti dentro!. E lo stesso si potrebbe dire per Ugo Tognazzi e Paolo Villaggio. Ognuno rappresenta delle debolezze che ci possono ripugnare. Per questo, mettere sulla graticola i fratelli Vanzina, capaci di descrivere benissimo anche qualcosa che non ci piace, è un’operazione di puro snobismo. Nel rispondere alla lettrice, Merlo indica nella «cretinaggine la parola chiave per capire il cinepanettone» e confessa tutto il suo grande imbarazzo quando si trova all’estero e gli capita di toccare con mano il successo di un Vacanze di Natale. Si capisce che sarebbe meglio essere fermati per strada nel West End londinese ed essere identificati come connazionali di Michelangelo Antonioni e Umberto Mastroianni, anziché di Enrico Vanzina e Jerry Calà, però la vita non solo riserva svariate amarezze estetiche, ma è anche fatta di una continua alternanza di alto e basso. Il siciliano Merlo afferma di essere dispiaciuto dal fatto che «si creda che la vera identità italiana siano la maleducazione da cortile e il turpiloquio». Ma poi se la prende senza motivo con chi ha la possibilità di frequentare Cortina e spara: «Non l’ho molto frequentata, ma mi fa ribrezzo che Cortina sia diventata la città dei riccastri nullatenenti perché evasori, maschere comiche con le pellicce, il colbacco, gli zigomi puntellati e i labbroni di botulino. Penso che il cinepanettone sia per il cinema quel che il generale Vannacci è per la letteratura». Lasciando perdere l’inutile insulto al povero Vannacci, le cui idee potranno non piacere ma meritano comunque rispetto, colpisce che per l’editorialista di Repubblica la volgarità dei cinepanettoni coincida con quella dei ricchi, ovviamente evasori tout court, che vanno a Cortina. La volgarità che lamenta Merlo non è soltanto rappresentata da un rutto o da una ricchezza esibita. La volgarità è innanzitutto mancanza di cultura, di educazione, di finezza, di gusto, di signorilità, di nobiltà d’animo. E nella vera cultura, come nella vera eleganza, dovrebbero mancare i giudizi sprezzanti e le generalizzazioni classiste. Per altro, non è rifugiandosi in un borgo toscano (dove magari il costo al metro quadro non è di molto inferiore a Cortina e Porto Rotondo) o in un attico sull’Aventino che si combattono le buone battaglie della cultura, dello stile e del senso civico. Poi, non meno importante, ci sarebbe il tema della responsabilità degli intellettuali. Nel 1968, quando uscì Teorema, Pier Paolo Pasolini spiegò in un’intervista una sua certa condiscendenza con la borghesia ritratta nel suo film. E lo fece ribadendo le proprie idee: «Il mio odio per la borghesia è in realtà una specie di ripugnanza fisica verso la volgarità piccolo-borghese, la volgarità delle “buone maniere” ipocrite, e così via. Forse soprattutto perché trovo insopportabile la grettezza intellettuale di questa gente». Insomma, Pasolini misurava la volgarità in ben altro modo rispetto a Merlo. E concludeva: «La volgarità è il momento di pieno rigoglio del conformismo». Ognuno può giudicare anche oggi quanto conformismo vi sia in certi giudizi «colti».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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