
Con la scusa del decreto sul coronavirus il governo dice sì alla cassa integrazione per 4.451 piloti e hostess. Ma all'orizzonte non c'è alcuna strategia di salvataggio. Intanto Bruxelles valuta la procedura d'infrazione per la tranche di aiuti da 400 milioni.Giovedì pomeriggio i vertici di Alitalia fanno partire una lettera diretta a tutte le sigle sindacali, al ministero del Lavoro e a quello dello sviluppo economico. I commissari chiedono di mettere in cassaintegrazione straordinaria dal 24 marzo a fine ottobre 2020 addirittura 4.451 dipendenti. Si tratta di oltre 1.200 piloti e comandanti, e altri 3.200 e rotti assistenti di cabina nella varie declinazioni di ruolo. Un impegno economico per lo Stato che vale una cifra compresa tra i 13 e i 15 milioni al mese. In totale un centinaio di milioni di euro che si sommano ai 900 milioni del primo prestito ponte e ai 400 milioni del rabbocco di liquidità concesso dal governo giallorosso. Sul quale ieri è intervenuta pure Bruxelles. La Commissione Ue ha sottolineato che l'avvio dell'indagine approfondita «non pregiudica in alcun modo l'esito dell'indagine stessa», e ricorda che «sta lavorando a stretto contatto con le autorità italiane sulla questione». Si tratta per giunta della seconda indagine aperta dalla Commissione su un prestito del governo ad Alitalia. La prima era stata aperta nell'aprile 2018 per valutare se il primo prestito ponte, da 900 milioni di euro, fosse compatibile con le norme dell'Ue in materia di aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione. Tale indagine è ancora in corso «ed è condotta separatamente» da quella annunciata ieri.A fine 2019, le autorità italiane hanno giustificato il secondo prestito al fine di facilitare la razionalizzazione della compagnia nel tentativo di «cederne le attività», ha ricordato ieri la Commissione. Il decreto legge che autorizzava il prestito è stato approvato nel dicembre 2019 e convertito in legge dal Parlamento italiano nel gennaio 2020. Il decreto dispone anche che la procedura che consente la cessione dei complessi aziendali di Alitalia debba essere eseguita entro il 31 maggio 2020. Dovrebbe essere avviata a breve una nuova procedura di cessione, che sarà seguita dal commissario straordinario. Il filo rosso di tutte le disposizioni porta però alla medesima strategia: quella della dilazione. L'obiettivo è sempre quello di spostare in là il problema ed è esattamente quanto è accaduto con la nuova ondata di Cigs (che da sola copre più del 40% del personale di Alitalia). Dopo settimane di silenzio e inattività, la lettera dei commissari contenente una doccia fredda per i 4.451 dipendente ha una strana casualità. Segue le mosse del decreto anti coronavirus. Giovedì il fondo di solidarietà sottostante alla Cigs era incapiente e non sarebbe mai riuscito a permettere la copertura economica del pacchetto. Improvvisamente, il ministro dell'economia, Roberto Gualtieri, annuncia che dentro il decreto d'urgenza ci sarà anche il rifinanziamento della Cigs. Una mossa geniale, va riconosciuto. Le aziende lombarde e venete per via della quarantena andranno in crisi e dovranno chiedere gli ammortizzatori sociali. Anche la flessione dei biglietti aerei metterà in crisi Alitalia, quanto le altre compagnia aeree. Peccato che finanziando la cassa di Alitalia si voglia prendere in giro gli italiani facendo loro credere che la crisi del vettore sia legata al coronavirus. Tanto più organizzando un blitz occultato dalla ingombrante presenza mediatica delle mascherine e del numero dei decessi da influenza cinese. Un atteggiamento che ovviamente non è andato giù ai sindacati.«Non accetteremo», commenta Francesco Alfonsi, segretario nazionale Ugl trasporto aereo, «alcun prodotto preconfezionato e nessuna strumentalizzazione riferita alle criticità sanitarie in corso per giustificare incrementi numerici della Cigs. Peraltro ribadiamo che è oltremodo offensiva la richiesta stante il fatto che a oggi la stessa è per il personale navigante, sospesa e non retribuita». «Sono mesi che la Ugl denuncia l'abbandono politico, l'assenza di strategie, la miopia industriale e che sollecita risposte mai ricevute; è ormai ineluttabile, e lo pretendiamo, che il governo attivi immediatamente il tavolo di sistema per affrontare in termini strutturali, la grave crisi che investe i Vettori nazionali», sottolinea il sindacalista.Il riferimento è a Air Italy, su cui ieri si è mosso il Mise avviando la pratica per estendere la cassaintegrazione anche alla compagnia aerea mezza sarda e mezza qatarina. Altri 1.400 dipendenti che si aggiungono a quelli della Whrilpool e a decine di altri tavoli gestiti dal Mise. «Purtroppo», conclude Paolo Capone, segretario nazionale Ugl, «il governo passa da una emergenza all'altra. Trova 100 milioni per i cassaintegrati di Alitalia perché il Paese è travolto dal coronavirus. Altrimenti che cosa avrebbe fatto?».
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






