2022-10-24
Alberto Brambilla: «La Fornero è ingiusta. Il governo deve prorogare Quota 102»
Alberto Brambilla (Imagoeconomica)
L’esperto di previdenza: «Entro il 2023 la legge sulle pensioni va profondamente rivista. Più lavoro per avere più contributi».Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche Itinerari previdenziali, dopo le mirabolanti promesse della campagna elettorale il governo riuscirà a non tornare dal 1° gennaio alla legge Fornero senza sfasciare i conti?«Rispetto alle promesse elettorali non si potrà fare nulla. I 1.000 euro al mese per tutti per 13 mensilità di Berlusconi costano 30 miliardi strutturali all’anno; i 1.000 euro alle mamme, alle nonne, comprese le dentiere, altri 20 e passa miliardi; la quattordicesima mensilità di Enrico Letta costerebbe quasi 20 miliardi». La Lega ha proposto Quota 41.«Quota 41 esiste già per i precoci, quelli che hanno lavorato prima dei 19 anni, che possono andare tranquillamente in pensione; lo stesso vale per chi ha delle problematiche, come un’invalidità o un familiare diretto che non è autosufficiente rientrando nella 104, o per i disoccupati di lungo periodo e difficilmente ricollocabili. Questo esiste già. Invece il libera tutti proposto dalla Lega è impossibile: costa troppo e sfascia i conti pubblici. E Quota 41 solo per i casi particolari può essere tranquillamente prorogata». Cosa consiglierebbe al governo nascente? «Bisogna fare la legge di bilancio e mandare la bozza entro il 10-12 novembre alla Commissione europea. Prima di andare a immaginare Quota 62 o Opzione tutti oppure Opzione uomo 58, consiglio di prorogare di un anno Quota 102, cioè 64 anni di età e 38 di contributi; prorogare di un anno Opzione donna 58 anni per le lavoratrici dipendenti e 59 per le autonome, con 35 anni di contributi; prorogare Ape sociale e precoci 41 anni per un anno». Problemi per la tenuta dei conti previdenziali?«A queste condizioni sarebbe sostenibile dal punto di vista economico finanziario. La legge Fornero ha almeno tre punti che devono essere rivisti perché rigidi e ingiusti per chi ha cominciato a lavorare dal 1996. Il governo avrebbe poi tutto il 2023 per mettersi a ragionare e nella legge di bilancio del 2024 potrebbe inserire tutte le manovre. Questo è il mio punto, con un’aggiunta».Quale?«Il governo Draghi ha ripristinato il modello di indicizzazione delle pensioni che sta alla base del nostro sistema pensionistico, e cioè rivalutazione al 100% fino a 2.080 euro di pensione lorda, 90% da quattro a cinque volte il minimo e 75% per la quota eccedente. I governi che si sono succeduti dal 2008 in poi, soprattutto il governo Monti e il Conte I e II, hanno usato la rivalutazione delle pensioni come un bancomat a carico dei poveri pensionati. L’unica fortuna è che in questo periodo di 10 anni l’inflazione è stata molto modesta. Abbiamo avuto due anni -0,1, due anni +0,1, un anno zero, quindi in cinque anni l’inflazione è stata zero». E negli altri cinque anni?«È stata di 5,5, per cui alcuni pensionati hanno perso praticamente il 5%. Fortunatamente il governo Draghi con grande saggezza ha ripristinato la regola originaria disattesa ormai da quasi 15 anni e in legge di bilancio bisognerà prevenire la rivalutazione delle pensioni. Siccome quest’anno l’inflazione è alta, se fosse il 7% l’inflazione più lo 0,2% che è la differenza fra la rivalutazione accordata per il 2021 e l’inflazione vera del 2021, cioè l’1,9%, dobbiamo rivalutare del 7,2 i 317 miliardi di pensione al 100%, la Quota 90 e la Quota 75. Il totale costa circa 21 miliardi. È evidente che di fronte a una cifra così imponente che occupa più di metà legge di bilancio, altre manovre che possono buttare i conti fuori controllo è meglio non farli e limitarsi a quello che le ho detto».Quali sono i tre punti della Fornero da cambiare assolutamente?«Il nostro sistema è a ripartizione, cioè con i contributi di quelli che lavorano paghiamo le pensioni. Se quelli che prendono la pensione hanno determinate regole, è giusto che ce le abbiano anche coloro che versano i contributi, quindi la prima manovra da fare è equiparare tutti i lavoratori con le medesime regole. E qui viene il secondo punto di modifica della Fornero. La legge dice: puoi andare in pensione a 67 anni oppure con 42 anni e 10 mesi di contribuzione se uomo, o un anno in meno per le donne. Il problema è che la Fornero ha indicizzato questo periodo di contribuzione all’aspettativa di vita. Già oggi, se non ci fosse il blocco fino al 2026, saremmo già a 43 anni e cinque o sei mesi». Un paradosso...«Andando avanti, augurandoci che l’aspettativa di vita aumenti, si potrebbe arrivare a 45 anni, con l’assurdità che uno che ha 67 anni di età e 20 di contributi può andare in pensione. Il secondo punto è quindi lasciare i 42 anni di contributi, non più adeguati all’aspettativa di vita. Il terzo punto deve essere reintrodurre quello che abbiamo fatto quest’anno con il governo Draghi. Un canale di uscita che è stata chiamata Quota 102, cioè 64 anni di età e 38 di contributi, oppure 42 anni e mezzo indipendentemente dall’età anagrafica, oppure 67 anni. Queste sono le tre modifiche che si dovrebbero fare l’anno venturo. Così avremmo tutti i lavoratori con le medesime regole, molto semplici, ed evitiamo di adeguare all’aspettativa di vita gli anni di contribuzione che non ha nessuno». Cosa pensa della proposta di Fdi di Opzione donna e Opzione uomo?«È una follia. Come facciamo a mandare in pensione a 58 anni? Le lavoratrici autonome che sono andate in pensione a 58-59 anni hanno ricevuto la pensione media di 805 euro. Se la sua aspettativa di vita è 84, avrà 25 anni di pensione. Ma non posso versare 10 per 35 anni e poi prendere 30 per 25 anni. Il problema poi è che i salari e gli stipendi corrono più veloci della pensione, perché la pensione è adeguata solo all’inflazione; quindi il potere di acquisto di questa quota si deprime, ed è probabile che nell’arco degli anni questa pensione debba essere integrata. È probabile che la suddetta signora qui dopo 15 anni dica: “Prendo soltanto 805 euro al mese, come faccio a campare?”. Chi va a spiegarle che li prende perché ha anticipato di dieci anni la pensione? È evidente che è insostenibile».Sarebbe in controtendenza rispetto all’età media europea dei pensionamenti a 64 anni. «Se la media europea ha un rapporto debito pubblico-Pil sotto il 100%, noi che lo abbiamo al 150% possiamo permetterci di pensionare gente a 58 anni? Dove li prendiamo i soldi, a debito? Siamo ultimi nella classifica Ocse per la percentuale di persone fra 55 e 65 anni che lavorano. Lavorano solo il 55% delle persone con oltre 54 anni. È mai possibile? E poi, perché noi che siamo il Paese che invecchia di più ci possiamo permettere di mandare in pensione a 58 anni? La Francia ha la stessa popolazione nostra, ma sa quanti francesi lavorano regolarmente? Trentaquattro milioni. Da noi meno di 23 milioni. I pensionati in Francia sono meno di 13 milioni, noi siamo a 16,1 milioni. Abbiamo il record dei Neet, cioè dei giovani che non studiano e non lavorano: sono il 25,5% contro una media dei Paesi competitor inferiore al 10. C’è qualcosa che non va in questa Italia. Siamo arrivati al 150% di debito pubblico, se mettiamo su altri due punti di debito pubblico il nostro rating va a zero e facciamo la Grecia». Quanto inciderà sul futuro della previdenza la denatalità?«In realtà, noi abbiamo un sistema previdenziale che aggancia sia la quantità della pensione sia il requisito per poter andare in pensione con l’aspettativa di vita, perciò abbiamo un sistema che ha due stabilizzatori automatici. Il problema, dunque, non si pone molto. Si porrà per Germania, Svezia, Francia, perché lavorando il 70% della popolazione - in Svezia e Paesi Bassi è il 79% -, oltre quello non si può andare. Noi soffriremo molto meno per la denatalità perché abbiamo un esercito industriale di riserva». Da chi è rappresentato?«Abbiamo 36 milioni di persone in età da lavoro, ma quelle che lavorano sono 23 milioni. Prima di attingere all’immigrazione, come devono fare Germania e la Francia, abbiamo ampi margini. In dieci anni perderemmo circa 2 milioni di lavoratori, ma noi ne abbiamo 13 milioni inutilizzati. Non soltanto ci dobbiamo preoccupare della natalità, ma di una sana migrazione. A chi arriva si deve dare sanità, scuola, pensione sociale. Per noi l’immigrazione è un costo, per la Germania non è un costo, poiché la controllano attentamente. Cerchiamo di favorire agevolare la natalità, ma prima di preoccuparsi delle culle vuote dobbiamo preoccuparci di far lavorare i 13 milioni che non lavorano. Bisogna fare lavorare i Neet. Come facciamo ad avere 3,1 milioni di giovani che non studiano né lavorano pur essendo in età da lavoro? E non ci possiamo permettere un’immigrazione non controllata. Da noi il 70% dei migranti che arrivano hanno il diploma di scuola elementare, negli altri Paesi in media la laurea, e mal che vada sono periti tecnici».