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2022-04-25
Auito. Qui falliscono i Comuni
L’ultimo allarme è stato lanciato dal sindaco di Palermo. Leoluca Orlando, dopo la bocciatura del Consiglio comunale al raddoppio dell’Irpef, ha alzato il telefono e ha chiamato il premier Mario Draghi per chiedergli un intervento straordinario «simile a quello dato a Napoli, Torino e Roma che hanno avuto più di 1 miliardo» a fronte dei 180 milioni ricevuti dal capoluogo siciliano. La città è prossima al dissesto finanziario. Cosa significa? Lo sanno bene tutti coloro che operano con un ente locale, certi di trovarsi di fronte a soggetti che pagano le fatture in tempi accettabili, mentre si scontrano con lunghi tempi di attesa. Un Comune in dissesto finanziario non può garantire lo svolgimento delle funzioni e dei servizi indispensabili e deve approvare un nuovo bilancio basato principalmente sull’aumento delle proprie entrate, sino al massimo consentito dalla legge. Ciò vuol dire che tutte le imposte comunali saranno alzate il più possibile e, se fosse necessario anche un contenimento delle spese, saranno tagliati i servizi.
Nella situazione di dissesto si trovano 120 Comuni, mentre 266 sono in pre dissesto, cioè sull’orlo del baratro, come emerge dal rapporto della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali. Sono quindi 386 gli enti in gravissima crisi. Il che vuol dire che su circa 8.000 Comuni, il 4,88%, 1 su 20, se fossero stati aziende avrebbero già dovuto dichiarare il fallimento e avrebbero chiuso. Poi ci sono Comuni che sono in sofferenza finanziaria, ma non ancora così grave da essere in pre dissesto, e sono il 15% del totale, 1 su 8.
Queste realtà sono state aggravate dalla pandemia e ora si trovano alle prese con i rincari energetici, con costi che sono aumentati del 30-40% e con materie prime, schizzate, già prima della guerra, a livelli insostenibili. I dati elaborati dal Viminale confermano una concentrazione delle dichiarazioni di dissesto nelle regioni meridionali, in particolare, 30 enti in Sicilia, 37 in Calabria, 26 in Campania. Gli altri casi si riscontrano in Abruzzo (tre casi), in Basilicata (tre casi), nel Lazio (nove casi), in Liguria con un caso, come nelle Marche, in Molise, in Piemonte, in Toscana e in Umbria. In Lombardia si contano tre casi come in Puglia. Nel corso del 2021 sono stati istruiti 51 piani di riequilibrio finanziario pluriennale.
Gli interventi del governo per tamponare gli aumenti dei prezzi energetici (circa 200 milioni su 1 miliardo di euro necessari, secondo la stima dell’Anci, l’Associazione dei Comuni) paiono una goccia nel deserto. Il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, ha messo in guardia dal rischio che i servizi pubblici non possano più essere erogati con continuità. Potrebbero saltare anche i piani di assunzione. I Comuni da anni sono in sofferenza per il blocco del turnover e avevano programmato di ampliare l’organico per gestire i soldi del Pnrr. Ma senza personale i progetti non si possono realizzare.
L’Anci ha stimato un aggravio della bolletta energetica di almeno 550 milioni di euro su una spesa complessiva annua per l’elettricità che oscilla tra 1,6 e 1,8 miliardi di euro. «Non vorremmo ritrovarci», ha detto Decaro, «a dover scegliere tra salvaguardare gli equilibri di bilancio ed erogare i servizi».
I Comuni potrebbero essere costretti anche ad aumentare imposte come l’Imu, l’addizionale Irpef, il canone per l’occupazione delle aree pubbliche, la tassa sulle affissioni e quella sui rifiuti. In numerosi enti le aliquote sono già al livello massimo, ma quelle che hanno ancora margini di manovra potrebbero essere usate per far cassa.
Un’altra voce importante è l’imposta di soggiorno, che introdotta nel 2011, aveva l’obiettivo di essere riutilizzata a sostegno del turismo per aumentare i servizi, ma con il tempo si è trasformata in un veicolo per drenare risorse utili ad altre funzioni o tamponare i disavanzi di bilancio. Chi non ce l’ha, potrebbe introdurla.
A Roma, questa imposta che è tra le più alte d’Italia, frutta in un anno 130 milioni di euro per circa 100 posti letto regolari. Sono oltre 1.000 i Comuni che la applicano e sono in crescita. Nel 2019 erano 1.020 e nel 2020 sono saliti a 1.041, secondo il Centro studi enti locali.
Qualche città ha cominciato a tagliare i costi. A Torino, a marzo, è stato abbassato a 18 gradi il riscaldamento negli uffici comunali ma è anche vero che si sta andando verso l’estate e bisognerà vedere se analoghi interventi saranno presi per il condizionamento dell’aria. Nel Pavese, Voghera pensa già per l’autunno di spegnere i riscaldamenti al sabato nei locali non frequentati delle scuole, mentre Garlasco ha scritto alle associazioni che usano gli immobili pubblici chiedendo di usare «la mano leggera» con i telecomandi dei condizionatori. Nella provincia di Verona alcuni piccoli Comuni hanno deciso di spegnere i lampioni stradali un’ora prima del solito alla mattina e di prorogare l’accensione automatica serale di mezz’ora, in modo da sfruttare le ultime luci del tramonto o lasciare al buio monumenti e strade secondarie.
Ci sono poi le ricadute sulle opere pubbliche già appaltate che ora costano il 30-40% in più. Quando sono state fatte le gare, le materie prime avevano costi inferiori a quelli di oggi, così le ditte chiedono di rivedere le cifre degli appalti oppure fermano i cantieri. Scuole progettate per costare una decina di milioni, adesso presentano un conto raddoppiato. Sicché il Comune decide di aspettare per trovare nuovi finanziamenti. Ma così la ripresa legata ai soldi del Pnrr, deve attendere.
«Luci accese e assistenza per tutti anche con bollette salite del 50%»
«Al momento non siamo intervenuti con tagli ai servizi e all’illuminazione. Mi sono limitato a non prorogare l’accensione del riscaldamento dopo il 31 marzo nelle scuole e nelle abitazioni, per una questione anche morale. Con un maglioncino in più si contribuisce a non finanziare Putin. Di certo però non so se potremmo andare avanti a lungo». Claudio Scajola è sindaco di un Comune, Imperia, classificato in pre-dissesto. «Abbiamo un piano di riequilibrio delle finanze e i rincari energetici sul nostro bilancio incidono forse più che in altre realtà».
Avete fatto una stima dei maggiori costi?
«Le nostre previsioni sono simili a quelle di tutta la provincia, cioè per l’illuminazione, andremo a spendere tra il 30 e il 40% in più. Poi c’è il riscaldamento e il condizionamento delle scuole e degli uffici pubblici. La bolletta del Comune sarà più pesante del 50%».
C’è un piano di riduzione dei consumi?
«Non dobbiamo lasciarci andare a gesti estremi come spegnere o ridurre l’illuminazione pubblica. Le conseguenze sarebbero una maggiore insicurezza dei cittadini e il rischio di crescita della delinquenza».
Taglio ai servizi sociali?
«Continueremo ad assistere le persone meno abbienti. Su questo non cambierà nulla. È significativo che il governo abbia provveduto ad alleggerire le bollette dei bassi redditi, ma ci vuole di più. Al momento l’unica iniziativa di riduzione dei costi è non aver prorogato dal 31 marzo l’accensione dei riscaldamenti nelle scuole e nelle abitazioni».
Pensate di aumentare le tariffe?
«No, nessun cambiamento».
E l’imposta di soggiorno?
«Lasciamo tutto come è. Il flusso turistico si sta profilando positivo secondo quanto emerge dalle prenotazioni nelle strutture alberghiere. Risentiamo meno della crisi russa. Soffre la Costa Azzurra. Riteniamo che sarà una buona estate dal punto di vista delle presenze straniere».
Ma se si dovesse arrivare alla decisione estrema di bloccare gli acquisti di gas russo, avete un piano B?
«La politica ha dormito per anni sui temi della diversificazione e dell’efficientamento energetico, dimenticando che dipendere dai Paesi è sempre un rischio. Si dovrebbe semplificare l’accesso alle fonti alternative, investire di più nell’idroelettrico, intensificare la ricerca del gas sul territorio nazionale, investire di più sui rigassificatori fermi da 12 anni e riconsiderare il nucleare. So cosa significa avere i veti degli ambientalisti. L’ho sperimentato da ministro, nel 2008».
«In arrivo più multe e rincari di Imu e Irpef»
L’aumento dei costi energetici è stato al centro di una riunione dell’Ifel, l’Istituto della finanza degli enti locali, e degli assessori al bilancio delle varie città per fare il punto sulle diverse situazioni e su come affrontarle. Il rischio, confermato dal presidente dell’Ifel e sindaco di Novara, Alessandro Canelli, è che messi alle strette, con i bilanci che non quadrano, i Comuni siano costretti a tagliare i servizi e ad aumentare le tariffe.
Qual è la situazione dei Comuni?
«I rincari energetici impattano su una situazione già critica. In base al nostro monitoraggio il 15% dei Comuni, 1.400 città, è in difficoltà finanziaria. Sono per la maggior parte enti medio piccoli, ma troviamo anche Torino e Palermo. Ci sono inoltre 266 realtà in pre dissesto, tra cui Sesto San Giovanni, Imperia, Savona, Fiesole e Frosinone e 120 in dissesto. Ogni Comune ha la sua situazione particolare, c’è chi ha in atto contratti pluriennali e forme di approvvigionamento differenziate, altri più legati alle variazioni dei prezzi di mercato».
Quanto è rincarata la bolletta energetica?
«Con le differenze tra varie realtà, stimiamo un incremento medio di circa il 40%. L’impatto è differente in base allo stato di salute dei bilanci. Ma siccome le bollette si pagano sulla parte corrente, tutti avranno grossa difficoltà a chiudere i bilanci perché vengono da situazioni già critiche con la pandemia. Comuni come Milano, che traggono parte delle entrate dai dividendi delle partecipate e dai biglietti dei trasporti, con lo smart working e il calo dei trasferimenti hanno visto calare gli incassi da queste voci».
E altrove?
«Città turistiche come Firenze e Roma hanno registrato un minor gettito dall’imposta di soggiorno a causa del crollo del turismo. La mia città, Novara, aveva un costo dell’energia di 6 milioni di euro e abbiamo stimato un aumento di 1,8 milioni, il 30% in più. I sindaci vivono in una situazione di grande incertezza, nella necessità di aggiustare il bilancio durante l’anno per coprire i rincari. Per questo abbiamo chiesto al governo un intervento straordinario. Di 550 milioni di euro, ci sono stati riconosciuti per ora 200 milioni. Puntiamo ad avere qualcosa in più con la manovra da 5 miliardi legata al Def. Non pensiamo che si arrivi alla copertura integrale del fabbisogno, ma sarà una boccata di ossigeno per i bilanci previsionali».
I Comuni saranno costretti a rinviare gli incrementi di organico con nuove assunzioni?
«Questo è un bel problema. Dopo anni di blocco del turn over, tanti sindaci avevano pianificato nuove assunzioni. C’è anche il tema dell’adeguamento degli stipendi in base al contratto collettivo nazionale che peserà su tutti i Comuni per almeno 950 milioni».
Il taglio dei servizi, per abbattere i maggiori costi energetici, sarà inevitabile?
«Molti Comuni saranno costretti a trovare le coperture per i maggiori esborsi energetici. Significa rinunciare a servizi o alzare tariffe e imposte comunali».
Quali servizi rischiano il ridimensionamento?
«Tutti, in base alle difficoltà di ogni Comune. Dalla spesa sociale per i disabili, a quella per gli anziani. Poi ci sono le comunità famiglia per i minori, in particolari situazioni e i sostegni alle fasce deboli. Sarà difficile fare nuove assunzioni anche se i Comuni, negli ultimi dieci anni, hanno subito un taglio del personale del 25% con il conseguente impoverimento oltre che di numeri, di competenze. Gli organici sono all’osso, proprio ora che servirebbe più personale e con qualifiche precise, per gestire il Pnrr. Le fasce più basse saranno doppiamente penalizzate: dovranno pagare bollette più alte, avendo meno servizi».
Si profila l’aumento delle tariffe e delle imposte?
«Qualche sindaco potrebbe essere costretto ad aumentare il costo delle mense. Per le imposte ci sono i tetti. Quindi quei Comuni che hanno ancora un margine per alzare l’aliquota Imu e l’addizionale comunale Irpef, potrebbero sfruttare questa occasione per arrivare al livello massimo. I sindaci possono agire sulle entrate tributarie, sull’imposta di soggiorno, sul canone per l’occupazione del suolo pubblico e sulle affissioni pubblicitarie. Poi ci sono le entrate extra tributarie come le multe stradali, le sanzioni, i canoni di concessione. Basta mandare in giro più vigili e le entrate per questa voce aumentano».
I sindaci devono affrontare anche i costi dell’accoglienza dei profughi ucraini.
«Noi, qui a Novara, abbiamo sistemato più di mille ucraini nelle famiglie e non li abbiamo messi nei centri di accoglienza per stranieri. Tanti comuni hanno affrontato l’emergenza ma ancora non hanno visto riconosciuti i costi che hanno dovuto affrontare. L’Anci ha chiesto su questo l’attenzione del governo».
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Un’amministrazione su 20 in grave crisi finanziaria. Il 5%, se fosse un’azienda, avrebbe già dovuto dichiarare default. Gran parte dei casi è concentrata al Sud. I bilanci già malmessi si sono aggravati con pandemia e rincari. I municipi battono cassa al governo, i cui aiuti sono gocce nel deserto. Così i rimedi sono i soliti: tasse aumentate e servizi tagliati.«Luci accese e assistenza per tutti anche con bollette salite del 50%». Il primo cittadino di Imperia Claudio Scajola: «Gli aumenti si combattono diversificando le fonti».«In arrivo più multe e rincari di Imu e Irpef». Il presidente Ifel e sindaco di Novara Alessandro Canelli: «Per fare quadrare i conti la strada più facile è maggiorare le tariffe e sguinzagliare i vigili».Lo speciale comprende tre articoli. L’ultimo allarme è stato lanciato dal sindaco di Palermo. Leoluca Orlando, dopo la bocciatura del Consiglio comunale al raddoppio dell’Irpef, ha alzato il telefono e ha chiamato il premier Mario Draghi per chiedergli un intervento straordinario «simile a quello dato a Napoli, Torino e Roma che hanno avuto più di 1 miliardo» a fronte dei 180 milioni ricevuti dal capoluogo siciliano. La città è prossima al dissesto finanziario. Cosa significa? Lo sanno bene tutti coloro che operano con un ente locale, certi di trovarsi di fronte a soggetti che pagano le fatture in tempi accettabili, mentre si scontrano con lunghi tempi di attesa. Un Comune in dissesto finanziario non può garantire lo svolgimento delle funzioni e dei servizi indispensabili e deve approvare un nuovo bilancio basato principalmente sull’aumento delle proprie entrate, sino al massimo consentito dalla legge. Ciò vuol dire che tutte le imposte comunali saranno alzate il più possibile e, se fosse necessario anche un contenimento delle spese, saranno tagliati i servizi.Nella situazione di dissesto si trovano 120 Comuni, mentre 266 sono in pre dissesto, cioè sull’orlo del baratro, come emerge dal rapporto della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali. Sono quindi 386 gli enti in gravissima crisi. Il che vuol dire che su circa 8.000 Comuni, il 4,88%, 1 su 20, se fossero stati aziende avrebbero già dovuto dichiarare il fallimento e avrebbero chiuso. Poi ci sono Comuni che sono in sofferenza finanziaria, ma non ancora così grave da essere in pre dissesto, e sono il 15% del totale, 1 su 8. Queste realtà sono state aggravate dalla pandemia e ora si trovano alle prese con i rincari energetici, con costi che sono aumentati del 30-40% e con materie prime, schizzate, già prima della guerra, a livelli insostenibili. I dati elaborati dal Viminale confermano una concentrazione delle dichiarazioni di dissesto nelle regioni meridionali, in particolare, 30 enti in Sicilia, 37 in Calabria, 26 in Campania. Gli altri casi si riscontrano in Abruzzo (tre casi), in Basilicata (tre casi), nel Lazio (nove casi), in Liguria con un caso, come nelle Marche, in Molise, in Piemonte, in Toscana e in Umbria. In Lombardia si contano tre casi come in Puglia. Nel corso del 2021 sono stati istruiti 51 piani di riequilibrio finanziario pluriennale.Gli interventi del governo per tamponare gli aumenti dei prezzi energetici (circa 200 milioni su 1 miliardo di euro necessari, secondo la stima dell’Anci, l’Associazione dei Comuni) paiono una goccia nel deserto. Il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, ha messo in guardia dal rischio che i servizi pubblici non possano più essere erogati con continuità. Potrebbero saltare anche i piani di assunzione. I Comuni da anni sono in sofferenza per il blocco del turnover e avevano programmato di ampliare l’organico per gestire i soldi del Pnrr. Ma senza personale i progetti non si possono realizzare. L’Anci ha stimato un aggravio della bolletta energetica di almeno 550 milioni di euro su una spesa complessiva annua per l’elettricità che oscilla tra 1,6 e 1,8 miliardi di euro. «Non vorremmo ritrovarci», ha detto Decaro, «a dover scegliere tra salvaguardare gli equilibri di bilancio ed erogare i servizi». I Comuni potrebbero essere costretti anche ad aumentare imposte come l’Imu, l’addizionale Irpef, il canone per l’occupazione delle aree pubbliche, la tassa sulle affissioni e quella sui rifiuti. In numerosi enti le aliquote sono già al livello massimo, ma quelle che hanno ancora margini di manovra potrebbero essere usate per far cassa.Un’altra voce importante è l’imposta di soggiorno, che introdotta nel 2011, aveva l’obiettivo di essere riutilizzata a sostegno del turismo per aumentare i servizi, ma con il tempo si è trasformata in un veicolo per drenare risorse utili ad altre funzioni o tamponare i disavanzi di bilancio. Chi non ce l’ha, potrebbe introdurla. A Roma, questa imposta che è tra le più alte d’Italia, frutta in un anno 130 milioni di euro per circa 100 posti letto regolari. Sono oltre 1.000 i Comuni che la applicano e sono in crescita. Nel 2019 erano 1.020 e nel 2020 sono saliti a 1.041, secondo il Centro studi enti locali. Qualche città ha cominciato a tagliare i costi. A Torino, a marzo, è stato abbassato a 18 gradi il riscaldamento negli uffici comunali ma è anche vero che si sta andando verso l’estate e bisognerà vedere se analoghi interventi saranno presi per il condizionamento dell’aria. Nel Pavese, Voghera pensa già per l’autunno di spegnere i riscaldamenti al sabato nei locali non frequentati delle scuole, mentre Garlasco ha scritto alle associazioni che usano gli immobili pubblici chiedendo di usare «la mano leggera» con i telecomandi dei condizionatori. Nella provincia di Verona alcuni piccoli Comuni hanno deciso di spegnere i lampioni stradali un’ora prima del solito alla mattina e di prorogare l’accensione automatica serale di mezz’ora, in modo da sfruttare le ultime luci del tramonto o lasciare al buio monumenti e strade secondarie.Ci sono poi le ricadute sulle opere pubbliche già appaltate che ora costano il 30-40% in più. Quando sono state fatte le gare, le materie prime avevano costi inferiori a quelli di oggi, così le ditte chiedono di rivedere le cifre degli appalti oppure fermano i cantieri. Scuole progettate per costare una decina di milioni, adesso presentano un conto raddoppiato. Sicché il Comune decide di aspettare per trovare nuovi finanziamenti. Ma così la ripresa legata ai soldi del Pnrr, deve attendere. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/aiuto-qui-falliscono-i-comuni-2657205861.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="luci-accese-e-assistenza-per-tutti-anche-con-bollette-salite-del-50" data-post-id="2657205861" data-published-at="1650832151" data-use-pagination="False"> «Luci accese e assistenza per tutti anche con bollette salite del 50%» «Al momento non siamo intervenuti con tagli ai servizi e all’illuminazione. 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Le conseguenze sarebbero una maggiore insicurezza dei cittadini e il rischio di crescita della delinquenza». Taglio ai servizi sociali? «Continueremo ad assistere le persone meno abbienti. Su questo non cambierà nulla. È significativo che il governo abbia provveduto ad alleggerire le bollette dei bassi redditi, ma ci vuole di più. Al momento l’unica iniziativa di riduzione dei costi è non aver prorogato dal 31 marzo l’accensione dei riscaldamenti nelle scuole e nelle abitazioni». Pensate di aumentare le tariffe? «No, nessun cambiamento». E l’imposta di soggiorno? «Lasciamo tutto come è. Il flusso turistico si sta profilando positivo secondo quanto emerge dalle prenotazioni nelle strutture alberghiere. Risentiamo meno della crisi russa. Soffre la Costa Azzurra. Riteniamo che sarà una buona estate dal punto di vista delle presenze straniere». Ma se si dovesse arrivare alla decisione estrema di bloccare gli acquisti di gas russo, avete un piano B? «La politica ha dormito per anni sui temi della diversificazione e dell’efficientamento energetico, dimenticando che dipendere dai Paesi è sempre un rischio. Si dovrebbe semplificare l’accesso alle fonti alternative, investire di più nell’idroelettrico, intensificare la ricerca del gas sul territorio nazionale, investire di più sui rigassificatori fermi da 12 anni e riconsiderare il nucleare. So cosa significa avere i veti degli ambientalisti. 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Qual è la situazione dei Comuni? «I rincari energetici impattano su una situazione già critica. In base al nostro monitoraggio il 15% dei Comuni, 1.400 città, è in difficoltà finanziaria. Sono per la maggior parte enti medio piccoli, ma troviamo anche Torino e Palermo. Ci sono inoltre 266 realtà in pre dissesto, tra cui Sesto San Giovanni, Imperia, Savona, Fiesole e Frosinone e 120 in dissesto. Ogni Comune ha la sua situazione particolare, c’è chi ha in atto contratti pluriennali e forme di approvvigionamento differenziate, altri più legati alle variazioni dei prezzi di mercato». Quanto è rincarata la bolletta energetica? «Con le differenze tra varie realtà, stimiamo un incremento medio di circa il 40%. L’impatto è differente in base allo stato di salute dei bilanci. Ma siccome le bollette si pagano sulla parte corrente, tutti avranno grossa difficoltà a chiudere i bilanci perché vengono da situazioni già critiche con la pandemia. Comuni come Milano, che traggono parte delle entrate dai dividendi delle partecipate e dai biglietti dei trasporti, con lo smart working e il calo dei trasferimenti hanno visto calare gli incassi da queste voci». E altrove? «Città turistiche come Firenze e Roma hanno registrato un minor gettito dall’imposta di soggiorno a causa del crollo del turismo. La mia città, Novara, aveva un costo dell’energia di 6 milioni di euro e abbiamo stimato un aumento di 1,8 milioni, il 30% in più. I sindaci vivono in una situazione di grande incertezza, nella necessità di aggiustare il bilancio durante l’anno per coprire i rincari. Per questo abbiamo chiesto al governo un intervento straordinario. Di 550 milioni di euro, ci sono stati riconosciuti per ora 200 milioni. Puntiamo ad avere qualcosa in più con la manovra da 5 miliardi legata al Def. Non pensiamo che si arrivi alla copertura integrale del fabbisogno, ma sarà una boccata di ossigeno per i bilanci previsionali». I Comuni saranno costretti a rinviare gli incrementi di organico con nuove assunzioni? «Questo è un bel problema. Dopo anni di blocco del turn over, tanti sindaci avevano pianificato nuove assunzioni. C’è anche il tema dell’adeguamento degli stipendi in base al contratto collettivo nazionale che peserà su tutti i Comuni per almeno 950 milioni». Il taglio dei servizi, per abbattere i maggiori costi energetici, sarà inevitabile? «Molti Comuni saranno costretti a trovare le coperture per i maggiori esborsi energetici. Significa rinunciare a servizi o alzare tariffe e imposte comunali». Quali servizi rischiano il ridimensionamento? «Tutti, in base alle difficoltà di ogni Comune. Dalla spesa sociale per i disabili, a quella per gli anziani. Poi ci sono le comunità famiglia per i minori, in particolari situazioni e i sostegni alle fasce deboli. Sarà difficile fare nuove assunzioni anche se i Comuni, negli ultimi dieci anni, hanno subito un taglio del personale del 25% con il conseguente impoverimento oltre che di numeri, di competenze. Gli organici sono all’osso, proprio ora che servirebbe più personale e con qualifiche precise, per gestire il Pnrr. Le fasce più basse saranno doppiamente penalizzate: dovranno pagare bollette più alte, avendo meno servizi». Si profila l’aumento delle tariffe e delle imposte? «Qualche sindaco potrebbe essere costretto ad aumentare il costo delle mense. Per le imposte ci sono i tetti. Quindi quei Comuni che hanno ancora un margine per alzare l’aliquota Imu e l’addizionale comunale Irpef, potrebbero sfruttare questa occasione per arrivare al livello massimo. I sindaci possono agire sulle entrate tributarie, sull’imposta di soggiorno, sul canone per l’occupazione del suolo pubblico e sulle affissioni pubblicitarie. Poi ci sono le entrate extra tributarie come le multe stradali, le sanzioni, i canoni di concessione. Basta mandare in giro più vigili e le entrate per questa voce aumentano». I sindaci devono affrontare anche i costi dell’accoglienza dei profughi ucraini. «Noi, qui a Novara, abbiamo sistemato più di mille ucraini nelle famiglie e non li abbiamo messi nei centri di accoglienza per stranieri. Tanti comuni hanno affrontato l’emergenza ma ancora non hanno visto riconosciuti i costi che hanno dovuto affrontare. L’Anci ha chiesto su questo l’attenzione del governo».
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Di fronte a questa ondata di insicurezza, i labour propongono più telecamere nelle città più importanti del Paese, applicando così, in modo massiccio, il riconoscimento facciale dei criminali. Oltre 45 milioni di cittadini verranno riconosciuti attraverso la videosorveglianza. Secondo la proposta avanzata dai labour, la polizia potrà infatti utilizzare ogni tipo di videocamera. Non solo quelle pubbliche, ma anche quelle presenti sulle auto, le cosiddette dashcam, e pure quelle dei campanelli dei privati cittadini. Come riporta il Telegraph, «le proposte sono accompagnate da un’iniziativa volta a far sì che la polizia installi telecamere di riconoscimento facciale “live” che scansionino i sospetti ricercati nei punti caldi della criminalità in Inghilterra e in Galles. Anche altri enti pubblici, oltre alla polizia, e aziende private, come i rivenditori, potrebbero essere autorizzati a utilizzare la tecnologia di riconoscimento facciale nell’ambito del nuovo quadro giuridico».
Il motivo, almeno nelle intenzioni, è certamente nobile, come sempre in questi casi. E la paura è tanta. Eppure questa soluzione pone importanti interrogativi legati alla libertà della persone e, soprattutto, alla loro privacy. C’è infatti già un modello simile ed è quello applicato in Cina. Da tempo infatti Pechino utilizza le videocamere per controllare la popolazione in ogni suo minimo gesto. Dagli attraversamenti pedonali ai comportamenti più privati. E premia (oppure punisce) il singolo cittadino in base ad ogni sua singola azione. Si tratta del cosiddetto credito sociale, che non ha a che fare unicamente con la liquidità dei cittadini, ma anche con i loro comportamenti, le loro condanne giudiziarie, le violazioni amministrative gravi e i loro comportamenti più o meno affidabili.
Quella che sembrava una distopia lì è diventata una realtà. Del resto anche in Italia, durante il Covid, è stato applicato qualcosa di simile con il Green Pass. Eri un bravo cittadino - e quindi potevi accedere a tutti i servizi - solamente se ti vaccinavi, altrimenti venivi punito: non potevi mangiare al chiuso, anche se era inverno, oppure prendere i mezzi pubblici.
Per l’avvocato Silkie Carlo, a capo dell’organizzazione non governativa per i diritti civili Big Brother, «ogni ricerca in questa raccolta di nostre foto personali sottopone milioni di cittadini innocenti a un controllo di polizia senza la nostra conoscenza o il nostro consenso. Il governo di Sir Keir Starmer si sta impegnando in violazioni storiche della privacy dei britannici, che ci si aspetterebbe di vedere in Cina, ma non in una democrazia». Ed è proprio quello che sta accadendo nel Regno Unito e che può accadere anche da noi. Il sistema cinese, poi, sta potenziando ulteriormente le proprie capacità. Secondo uno studio pubblicato dall’Australian strategic policy institute, Pechino sta potenziando ulteriormente la sua rete di controllo sulla cittadinanza sfruttando l’intelligenza artificiale, soprattutto per quanto riguarda la censura online. Un pericolo non solo per i cinesi, ma anche per i Paesi occidentali visto che Pechino «è già il maggiore esportatore mondiale di tecnologie di sorveglianza basate sull’intelligenza artificiale». Come a dire: ciò che stanno sviluppando lì, arriverà anche da noi. E allora non saranno solamente i nostri Paesi a controllare le nostre azioni ma, in modo indiretto, anche Pechino.
C’è una frase di Benjamin Franklin che viene ripresa in Captain America e che racconta bene quest’ansia da controllo. Un’ansia che nasce dalla paura, spesso provocata da politiche fallaci. «Baratteranno la loro libertà per un po’ di sicurezza». Come sta succedendo nel Regno Unito, dopo anni di accoglienza indiscriminata. O come è successo anhe in Italia durante il Covid. Per anni, ci siamo lasciati intimorire, cedendo libertà e vita. Oggi lo scenario è peggiore, visto l’uso massiccio della tecnologia, che rende i Paesi occidentali sempre più simili alla Cina. E non è una bella notizia.
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Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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