
Papa Bergoglio spiazzato dalla decisione di adottare quindici migranti sbarcati a Malta, sfida i valdesi, vara il «redento di cittadinanza» e costringe i dem a seguirlo su atti concreti. Ma è una fake news.Spiazzato dalla Chiesa valdese che ha deciso di adottare quindici migranti sbarcati a Malta, cioè uno per ogni valdese, papa Bergoglio ha riunito il cerchio magico curiale e ha deciso: daremo noi, Chiesa cattolica, il reddito di cittadinanza ai migranti, visto che il governo tergiversa ed è piuttosto riluttante ad estenderlo pure a loro. Apriti cielo. Panico tra i preti e le suore, fuggi fuggi generale. Già quando lanciò l'idea di un'adozione a parrocchia, la risposta fu un mezzo fiasco. Ma ora la svolta è radicale, coinvolge direttamente la Santa Sede e stavolta è davvero impegnativa, non come accadde con i profughi della nave Diciotti che dal Vaticano finsero di prendersi in carico un centinaio di migranti, gran retorica sull'accoglienza e sul gesto umanitario, ma poi li lasciarono andar via dal centro di Ariccia. Stavolta toccherà migliaia di persone. Per ottenere il reddito di cittadinanza, che il Papa ha voluto cristianamente ribattezzare il «redento di cittadinanza», basterà presentare domanda alla Caritas, avere i requisiti, cioè non avere nulla e fuggire da tutto. Fa punteggio essere nero, venire da molto lontano, essere islamico. Sono esclusi i poveri nostrani e i barboni che stazionano nel colonnato vaticano, allontanati dai papa-vigilantes. I migranti beneficiati dovranno però frequentare, a scelta, una parrocchia, una moschea o un centro sociale. Al terzo rifiuto, come per il reddito governativo di cittadinanza, sarà loro revocato il sussidio.Finalmente il Papa ha deciso di passare dalle parole ai fatti e di investire i beni finanziari e immobiliari della Chiesa per i migranti, che sono oggi la prima ragione sociale della medesima. È anche un modo per ripopolare le chiese, ora frequentate dall'otto per mille dei fedeli.La decisione del Papa e l'esempio dei valdesi hanno creato una reazione a catena, spiazzando anche il Pd e i suoi paraggi. E noi che facciamo, si sono detti al partito, un tempo ci copriva il Papa, bastava fare una predica, un bel sermone pro migranti e stavamo a posto. Ma ora no, dobbiamo far qualcosa. E così dopo un tormentato congresso, in cui si sono divisi in sei correnti, tre comitive e nove gruppi d'ascolto, dopo aver decretato l'espulsione all'unanimità di Marco Minniti in quanto precursore di Matteo Salvini, hanno così deliberato l'operazione «Aiutiamoli a casa vostra»: ogni iscritto benestante, con una stanza vuota in casa e una seconda casa, adotterà un migrante dopo che Salvini ha sciolto i centri d'accoglienza. Una rivoluzione. Per la prima volta nella storia del socialismo, del comunismo, del progressismo umanitario, del sinistrismo, l'uguaglianza e la solidarietà non saranno predicate ma praticate davvero, direttamente con le proprie tasche, con la proprietà di lorsignori, coi propri conti in banca. Finalmente donatori di patrimoniale, come i donatori di sangue e di organi. Ognuno adotti un migrante. Il primo a cui è stato chiesto è alla famosa tessera n.1 del Pd, Carlo De Benedetti, ma si nega e la domestica dice di rivolgersi a La Repubblica, dove i centralini sono intasati e c'è la fila fuori dalla redazione perché si è sparsa la voce che pure loro, per non restare a loro volta spiazzati, hanno deciso di adottare un migrante per ogni redattore. Non risponde neppure il Quirinale, dove pure ci sono seicento stanze vuote e uno spreco che non vi dico. Roberto Fico, invece, ha adottato un migrante, ma poi ha scoperto che era un grillino del rione Sanità sotto falso nome. Volevano affibbiarne uno a Nicola Zingaretti per curare la sua immagine, visto che è il favorito nella gara a guidare il Pd, ma è stato impossibile convincere il maghrebino sorteggiato che Zingaretti si chiama così ma non è rom, anzi è il fratello del commissario Montalbano. Nessuno vuol essere adottato da Maurizio Martina perché i bambini nigeriani hanno paura di lui, lo vedono come una specie di Frankenstein. Anche di Piero Fassino credono che li riduca alla fame e poi li porti nel regno delle tenebre. Matteo Renzi, per prender tempo, ha detto che farà le primarie tra i migranti che vogliono andare a casa sua. Graziano Delrio è l'unico che si è detto disponibile ad adottare un nero, ma una famiglia bengalese, impietosita, si è detta disposta a sua volta ad adottare un figlio di Delrio, visto che ne ha una dozzina. Fregatura per Laura Boldrini che aveva adottato un somalo di nome Ben Alì, ma poi ha scoperto che all'anagrafe era registrato come Benito, è nero politicamente ed anche un po' sessista.Ma l'appello «Aiutiamoli a casa vostra», ha fatto crollare ulteriormente le iscrizioni al Pd a poche centinaia di iscritti: è stato un fuggi fuggi generale, molti hanno finto di avere già accolto migranti in casa, ma era la servitù di casa. Sono così rimasti i più generosi, i più fessi e i più furbi, che sperano di poter sfruttare i migranti come domestici e badanti senza pagarli. Possono stare da noi, anche in nero, perché noi non siamo razzisti...P.S. Come avrete capito, era una fake news. L'avevamo diffusa non per infangarli ma per incensarli. Volevamo che facessero una bella figura, che si mostrassero finalmente coerenti, all'altezza di quel che dicono. Ma la gente ha sgamato subito che era tutta una montatura. Ed anche loro, gli interessati, si sono tranquillizzati.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





