2025-08-13
«Dissero a Santini: fa’ sparire il pc»
L’avvocato Gioacchino Genchi sgancia un’accusa pesante: il «suggerimento» sarebbe arrivato dal Comune. Poi rincara: «E il suo contratto con l’amministrazione era truccato».Undici ore di interrogatorio per Massimiliano Santini, ex factotum del sindaco di Pesaro, oggi eurodeputato e candidato governatore delle Marche, Matteo Ricci, non sono bastate. Infatti, l’indagato verrà risentito, nonostante un verbale che il suo difensore, l’avvocato Gioacchino Genchi, non ricorda se sia lungo 40 o 50 pagine, e che ha un peso ben più ingombrante delle dimensioni fisiche, perché ha allargato il perimetro dell’inchiesta sull’Affidopoli di Pesaro, tirando dentro «oltre alle due associazioni già nel mirino», spiega Genchi alla Verità, «anche qualche altro privato che ha beneficiato». Eppure, a sentire il suo difensore, davanti alla pm Maria Letizia Fucci, «ha detto tutto quello che doveva dire, non c’è stata una sola domanda su cui si sia avvalso, né una a seguito della quale siano scattate contestazioni». Una maratona cominciata lunedì di buon’ora e chiusa a sera, con l’aggiunta di una memoria scritta di 17 pagine. Un interrogatorio che, a sentire la difesa, avrebbe toccato ogni punto dell’inchiesta: corruzione, falsi documentali, rapporti opachi con i privati, contratti taroccati e computer scomparsi. La notizia più tecnica arriva quasi subito: «Seguendo le indicazioni che io avevo dato», spiega il legale, «hanno recuperato tutta la chat cancellata dal secondo profilo WhatsApp (il cui numero di telefono differiva di una sola cifra da quello usato abitualmente e che non era stato acquisito dagli inquirenti, ndr)». La premessa: «Devo ammettere che il tecnico della Procura era bravo». Gianfranco Del Prete, il consulente informatico ingaggiato in passato da Matteo Renzi nella causa sulla nota vicenda dell’Autogrill, sarebbe riuscito a estrarre dall’iPhone 14 Pro max di Santini (con un tera di memoria che al momento dell’analisi tecnica risultava occupata solo per cento giga) il materiale cancellato che non era stato sovrascritto. Ma, colpo di scena, la difesa decide di usare le chat solo in parte. «Perché a mio avviso sono inutilizzabili», scandisce l’avvocato Genchi. La motivazione? «C’è di mezzo un parlamentare e serve un’autorizzazione, anche per le chat precedenti all’elezione». Il riferimento è a un principio già emerso in altri processi, con citazioni di sentenze (che riguardavano Matteo Renzi e un narcotrafficante, il leccese Vincenzo Amato) portate da Genchi a modello di «civiltà giuridica». Proprio la sentenza della Corte costituzionale sul fu Rottamatore, la numero 170 del 2023, però, è in fase di analisi. Gli inquirenti ne starebbero valutando i confini. Perché in un passaggio i giudici della Consulta affermano che la corrispondenza è coperta dalle guarentigie parlamentari se al momento dell’estrazione dei messaggi, il proprietario è un deputato, e se le comunicazioni non hanno perso «ogni carattere di attualità». In caso contrario vanno considerati documenti e non lettere. Giova ricordare che ci sono messaggi tra Santini e Ricci sicuramente risalenti nel tempo e che quelli d’interesse sono stati scambiati molti mesi fa, quando il secondo era ancora sindaco. La partita dell’utilizzo processuale del contenuto delle app di messaggistica, quindi, non è chiusa. Stando a Genchi, comunque, «gli illeciti contestati sono talmente evidenti che non c’è bisogno delle chat, che al massimo servirebbero per fare gossip». E qui, la difesa prova a smontare una notizia che Santini aveva rimarcato con la Verità («Ricci ha usufruito della mia casa»), ritenendola una possibile «utilità», ma che a sentire l’avvocato andrebbe catalogata alla voce «questioni private»: «Gli inquirenti non faranno mai una contestazione penale a Ricci perché Santini gli prestava l’abitazione. Non lo considerano un beneficio. C’era un rapporto di amicizia preesistente, non finalizzato a un atto amministrativo». Per rendere il concetto, l’avvocato usa un paragone da educazione sessuale da osteria: «Può essere incriminante se metti il preservativo per violentare qualcuno, ma se lo metti per andare in giro non possono contestarti la tentata violenza». Sul fronte documentale, invece, il racconto si fa pesante. Santini, spiega il suo difensore, avrebbe fornito la versione sul suo primo contratto da collaboratore «addetto alle attività di coordinamento della comunicazione social e delle iniziative ed eventi afferenti al gabinetto del sindaco», che sarebbe stato «occultato» (Genchi usa questo termine), con «contribuzione cambiata» e «marca da bollo falsa». Secondo la difesa esisterebbe un file che ricondurrebbe «allo studio legale» che l’avrebbe redatto. E anche alla «data» di produzione. Poi spiega il perché della sparizione del computer, in modo clamoroso. Infatti Santini, per quella appropriazione è accusato di peculato, ma secondo l’avvocato la decisione di portarlo via dal municipio non sarebbe stata del suo assistito: «Era del Comune, con privilegi da amministratore bloccati (sarebbe stato inutilizzabile per qualsiasi uso diverso da quello per il quale era stato programmato, ndr) e gli hanno suggerito di disfarsene». Santini quindi l’avrebbe «buttato nella spazzatura». L’indagato davanti ai pm, a sentire l’avvocato, si sarebbe, però, assunto molte altre responsabilità: «Aveva la carta di credito dell’associazione (Opera maestra, ndr) per spese personali e gli pagavano le tangenti con bonifici. Compravano mobili e scaricavano l’Iva». Fin qui tutto combacia con le contestazioni che gli muove la Procura. Tutto confermato: vacanze, arredi, benefit. «E», sottolinea Genchi, «era in servizio (Santini, ndr) con funzione di pubblico ufficiale mentre percepiva questi benefici». Il passaggio umano arriva in coda. Santini, dice l’avvocato, «è più tranquillo», ma resta provato: «Si è sentito usato prima, durante e dopo». Una frase che l’avvocato invita a virgolettare per intero. E che dimostra come il finale sia ancora tutto da scrivere.
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