2022-06-10
A Parigi sono finite tutte al cimitero le auto elettriche targate sinistra
Il car sharing Autolib' a Parigi. Nel riquadro le auto elettriche abbandonate (IStock)
I sindaci socialisti hanno speso 50 milioni di euro per 4.000 vetture a pila e 1.100 piazzole per le ricariche. Il progetto però è fallito. Ora le carcasse giacciono abbandonate e le batterie sono una bomba ecologica.A parole, anche in francese si fa presto a dire voiture électrique (auto elettrica) ma, nei fatti, anche al di là delle Alpi è più complicato economicamente ed ecologicamente sostenibile l’utilizzo di questi veicoli. Ne sanno qualcosa i parigini che hanno assistito al fallimento di Autolib’, un sistema di car sharing voluto dal Comune di Parigi per ridurre l’inquinamento e rendere l’auto elettrica più accessibile. A esso aderirono anche un centinaio di Comuni dell’immediata periferia parigina. Il lancio di Autolib’ è avvenuto nel 2011. Il sindaco di Parigi dell’epoca, il socialista Bertrand Délanoë, intendeva rispondere alle esigenze del suo elettorato bobò, tra cui c’è gente che mangia solo bio ma che ogni weekend prende un volo per andare a fare surf a Marrakech. La flotta di veicoli della rete di car sharing era composta esclusivamente da Bluecar prodotte in Francia dal gruppo di Vincent Bolloré. Il progetto è continuato anche dopo l’elezione di Anne Hidalgo - socialista come il suo predecessore - alla carica di primo cittadino della Ville Lumière. Durante i sette anni di vita della rete Autolib’, nelle vie della capitale vennero realizzate circa 1.100 piazzole dotate di colonnine di ricarica, destinate alle quasi 4.000 Bluecar circolanti. Quando venne lanciato, l’amministrazione comunale parigina eco-socialista si era spellata le mani per applaudire queste piccole auto che avrebbero dovuto ridurre lo smog e produrre benefici economici per circa 50 milioni di euro. Ma le cose non sono andate così. La rete di Autolib’ è diventata un pozzo senza fondo per le finanze comunali. Da un lato perché il numero di abbonati - circa 150.000 alla fine del settennio - e di corse non bastavano per coprire i costi del servizio. Poi l’incuria e il vandalismo cronici presenti a Parigi hanno fatto il resto, riuscendo a dissuadere molti potenziali clienti che non volevano usare auto sporche e scassate.E poi c’era la questione delle batterie. Ma - come spesso avviene al di là delle Alpi quando si tratta di progetti made in France - di questa se n’è parlato poco finché le macchinette elettriche erano in servizio. Le pile usate per far funzionare i veicoli non erano così ecologiche come volevano far credere Delanoë e Hidalgo. Le batterie Lmp (litio metallo polimero) potevano funzionare bene se mantenute a una temperatura di 60 gradi e iniziavano immediatamente a scaricarsi una volta staccate dalla corrente. Considerato che, anche d’estate, Parigi tocca raramente temperature tropicali, si capisce facilmente che per mantenere le batterie in caldo era necessario continuare a usare l’energia elettrica fornita dalle colonnine di ricarica. Un’energia che, non bisogna dimenticarlo, era prodotta prevalentemente dalle 18 centrali nucleari attive in Francia, che utilizzano combustibili radioattivi. Certo, uranio e plutonio producono molte meno emissioni di CO2 rispetto al carbone o al petrolio, ma le loro scorie restano una minaccia per l’ambiente per secoli.Dopo la morte di Autolib’, alcune Bluecar sono state rottamate, altre rivendute, altre ancora parcheggiate in cimiteri delle auto come quello scoperto, a maggio 2021, da alcuni cittadini nella zona di Blois. La loro presenza aveva suscitato timori per lo stato di conservazione delle batterie e per la possibilità che queste rilasciassero sostanze nocive per l’ambiente. Della questione si era occupata anche l’agenzia di stampa France Presse, che aveva contattato la locale Direzione regionale dell’ambiente (Dreal). Questo ente aveva precisato che «una volta tolte le batterie, il rischio di inquinamento resta molto limitato». La Dreal e il gruppo Bolloré avevano anche confermato che le auto dismesse e parcheggiate in questi spazi erano sprovviste di batterie. Sempre la France Presse aveva però rivelato che, in un’ordinanza del 27 luglio 2020, la prefettura locale segnalava «la presenza di quattro pallet di batterie poste all’esterno sul parcheggio con il suolo in catrame, senza protezioni contro le intemperie».Parlando di sicurezza delle batterie vanno ricordati tre episodi che, lo scorso aprile, hanno fatto molto parlare in Francia. Il 4 e il 29 aprile, due bus urbani dotati di batterie prodotte dal gruppo Bolloré sono andati in fumo nel giro di pochi minuti. Il 30 aprile, un altro bus cittadino è bruciato a Carcassonne. Fortunatamente non ci sono stati feriti, ma in tutte queste occasioni il fuoco è partito dalle batterie. Per questo, la compagnia di trasporti pubblici parigini Ratp ha aperto un’indagine e ritirato, a titolo precauzionale, la flotta di 149 bus elettrici. A Carcassonne invece, Michel Proust - vicepresidente dell’agglomerazione urbana - ha spiegato alla stampa locale che le batterie al litio «prendono fuoco piuttosto rapidamente non appena sono maltrattate! Con l’elettrico al 100% ci sono effettivamente dei problemi». Questi episodi rimangono fortunatamente isolati, ma mostrano che nel mondo delle batterie elettriche non è tutto oro quello che luccica.
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)