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2021-07-08
Roma alza la grande muraglia a difesa del 5G
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il governo Draghi conferma la linea guardinga sulla tecnologia cinese. Stando a quanto risulta alla Verità, il Consiglio dei ministri – su input del ministero dello Sviluppo economico – ha fatto ricorso il 30 giugno in occasione dell'ultimo cdm al golden power per imporre delle «prescrizioni» all'acquisizione, da parte di Fastweb, di un aggiornamento software del colosso cinese Huawei. Per quanto l'intesa non contempli l'acquisto di strutture fisiche o materiale hardware, il dicastero guidato da Giancarlo Giorgetti ha ritenuto che tale acquisizione vada a riguardare un settore – quello delle reti 5G – particolarmente delicato in termini di sicurezza nazionale. In questo senso, il ministero – in accordo con il Dis – ha raccomandato dei paletti per «ridurre a livelli accettabili il rischio residuo derivante dall'utilizzo dei componenti oggetto di notifica secondo modalità che possono avere rilevanza per il sistema di difesa e sicurezza nazionale». Si tratta, a ben vedere, di una via non nuova: tra marzo e aprile, delle «prescrizioni» erano infatti già state imposte su forniture di 5G cinese alla stessa Fastweb.
Il trend, insomma, si sta consolidando. E si tratta di un processo che parte da lontano. Un momento di svolta può, per esempio, essere considerato la visita romana di Mike Pompeo lo scorso ottobre. In quell'occasione, l'allora segretario di Stato americano mise in guardia l'esecutivo giallorosso da un'eccessiva vicinanza a Pechino, concentrando inoltre la sua attenzione proprio sulla spinosa questione del 5G. Se il governo Conte bis si mosse quindi in alcune occasioni (soprattutto tra ottobre e dicembre dello scorso anno), è con l'avvento di Mario Draghi a Palazzo Chigi che l'allerta sulla Cina si è particolarmente rafforzata. In tal senso, la scelta di Giorgetti a capo del Mise non è forse stata casuale: il ministro leghista è una figura di comprovata fede atlantista e aveva non a caso mostrato una sensibilità per il tema del 5G cinese già ai tempi del governo gialloblù. Tra l'altro, l'attenzione che Draghi riserva a Pechino si muove in ambiti piuttosto estesi. A fine marzo, l'esecutivo ha usato il golden power per bloccare l'acquisizione dell'azienda italiana di semiconduttori Lpe da parte della società cinese Shenzen investment holdings. Tutto questo, mentre – ad aprile – un'azione di moral suasion, condotta dallo stesso Giorgetti, ha portato all'interruzione delle trattative per l'acquisto di Iveco da parte della cinese Faw Jiefang. Insomma, la linea del governo Draghi è chiara. È può essere letta da tre punti di vista complementari. In primis, è evidente che questa condotta rientri nel più generale quadro di un allineamento italiano agli Stati Uniti: allineamento su cui il premier ha sempre puntato molto in politica estera. Sotto questo aspetto, va quindi ricordato che, nonostante il cambio della guardia alla Casa Bianca, Washington continui a nutrire preoccupazione nei confronti del 5G cinese. In tal senso, Huawei compare nella blacklist delle 59 aziende cinesi stilata, a giugno, dal presidente americano, Joe Biden: aziende che, secondo l'inquilino della Casa Bianca, promuovono «l'uso della tecnologia di sorveglianza cinese per facilitare la repressione o gravi violazioni dei diritti umani» e che, proprio per questo, non potranno essere sostenute da investimenti statunitensi. Il secondo elemento da considerare è che, con questa linea, il governo Draghi punta forse indirettamente a spingere le società italiane, impegnate in settori strategici (o comunque delicati), ad evitare di intrattenere legami troppo stretti con le aziende cinesi. Realtà, queste ultime, che risultano notoriamente subordinate ai diretti interessi del governo di Pechino.
Esiste, infine, un tema di spionaggio. Gli Stati Uniti ritengono infatti da tempo che il Dragone utilizzi la tecnologia 5G per attività di natura spionistica. Un problema, questo, che certo non sfugge al governo Draghi. Un problema reso tanto più urgente dal recente arresto di un politologo tedesco, accusato – insieme a sua moglie – di aver lavorato per l'intelligence cinese. La questione è finita al centro dell'attenzione in Italia, dopo che si è scoperto che la fondazione di cui costui era direttore avesse una sede nei pressi di Bolzano. Il che aveva portato a sospettare che la sua attività fosse stata condotta anche contro il nostro Paese: un'ipotesi tuttavia smentita dal sottosegretario con delega ai servizi segreti, Franco Gabrielli. «La vicenda della coppia di cittadini tedeschi, accusati in Germania di spionaggio a favore dell'intelligence cinese, si riferisce ad un'operazione condotta nel 2018 in collaborazione con l'Aisi», ha detto, definendo l'attività spionistica dei due come «non riguardante in alcun modo il nostro Paese, ma focalizzata sul quadrante indo-pacifico». Oggi sarà comunque ascoltato al Copasir il direttore dell'Aisi, Mario Parente. Nonostante si tratti di un'audizione programmata da tempo, Parente – secondo quanto risulta alla Verità – affronterà anche la questione del politologo tedesco. Segno che le preoccupazioni su eventuali condotte spionistiche cinesi in Italia restano elevate.
Arriva un’altra mazzata sull’acciaio. Da Pechino disco rosso all’export
Sull'economia globale incombe lo spettro dell'aumento dei prezzi delle materie prime, una tendenza già in atto da tempo e che non sembra destinata a invertirsi. Anzi: ieri si è appreso che la Cina avrebbe intenzione di introdurre a breve una tassa del 15% sulle esportazioni di acciaio, in linea con l'analoga decisione adottata di recente dalla Russia. Due settimane fa Mosca aveva annunciato di prepararsi ad applicare nuove tasse tra agosto e dicembre sull'export di prodotti metallici – acciaio, ma anche nickel, alluminio e rame – che costeranno all'industria, secondo Reuters, un totale di 2,3 miliardi di dollari. A giorni dovrebbe arrivare anche la conferma della nuova tassa cinese, come hanno rivelato all'agenzia Ansa alcuni trader del settore siderurgico. «Già a fine aprile Pechino aveva avviato politiche di disincentivo alle esportazioni di acciaio, togliendo le sovvenzioni sull'Iva per il materiale siderurgico in uscita dal Paese», ha spiegato un operatore. L'ulteriore mossa cinese, secondo gli analisti, non farà altro che aggravare la situazione, già molto tesa, del mercato dell'acciaio in Europa, dove da tempo i prezzi delle materie prime sono in costante ascesa. Il prezzo dei coils, cioè i rotoli laminati a caldo, secondo gli operatori del settore «attualmente veleggia sui 1100 euro alla tonnellata» – 1142,06, secondo l'ultima rilevazione di Siderweb - ma il vero problema è la carenza di materiale, «che sta spingendo le aziende del settore a ridurre i turni di lavoro». Le decisioni di Russia e Cina, come ha spiegato a Siderweb Emanuele Norsa, editor della pubblicazione specializzata Kallanish, sono state dettate dall'esigenza di «mantenere il materiale in patria. L'Europa, invece, pare andare nella direzione opposta. L'impressione è che il mondo si stia dividendo in due, con Europa e Stati Uniti a prezzi galoppanti mentre da Oriente arriva la volontà centralizzata di controllare le quotazioni». Bruxelles ha infatti recentemente prorogato di altri tre anni, fino al 2024, le restrizioni alle importazioni di acciaio nell'Ue, introdotte nel 2018 per far fronte all'analoga misura adottata dagli Usa. Una decisione che non è piaciuta all'Acea, l'associazione dei costruttori automobilistici, che ha evidenziato come la proroga delle restrizioni sia stata decisa in un momento particolare, in cui si sono già verificate «gravi carenze nella catena di approvvigionamento siderurgica europea delle case automobilistiche». I costruttori di auto europei prendono infatti «quasi tutto il loro acciaio – oltre il 90% - nell'Ue», un mercato in cui «i prezzi continuano a salire. Da quando la produzione è ricominciata nell'estate 2020 c'è stata una grave carenza di materia prima sul mercato europeo», ha sottolineato l'associazione, secondo cui le restrizioni limitano «il potenziale dei produttori di equilibrare l'approvvigionamento attraverso le importazioni, fungendo da coperchio su un mercato già surriscaldato». La penuria di materie prime è solo uno dei fattori che stanno minacciando la ripresa dell'industria automobilistica, con ripercussioni sull'andamento dell'intera economia. Il settore è penalizzato in particolare dalla carenza di semiconduttori, che secondo la società di consulenza AlixPartners nel 2021 costerà 60,6 miliardi di dollari in mancati ricavi per l'industria globale dell'automotive. La frenata dell'auto rallenta anche l'industria del suo complesso: in Germania, ad esempio, a maggio la produzione industriale è calata a sorpresa dello 0,3% su aprile anche a causa delle difficoltà del settore automobilistico. Per il 2021 la locale associazione dei costruttori, la Vda, ha tagliato le stime di crescita della produzione al 3%, dal 13% previsto in precedenza: le nuove auto realizzate in Germania saranno 400.000 in meno. E la crescita dei prezzi dell'acciaio è destinata a peggiorare ulteriormente la situazione.
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L' esecutivo nell'ultimo cdm fa ricorso al golden power per imporre a Fastweb limitazioni all'acquisto di software fatti da Huawei.Palazzo Chigi prosegue nella linea della fermezza nei confronti della tecnologia cinese per rischi collegati a difesa e sicurezza.Pronta l'ennesima tassa del 15%. Così boccheggia l'industria automobilistica Ue.Lo speciale contiene due articoli.Il governo Draghi conferma la linea guardinga sulla tecnologia cinese. Stando a quanto risulta alla Verità, il Consiglio dei ministri – su input del ministero dello Sviluppo economico – ha fatto ricorso il 30 giugno in occasione dell'ultimo cdm al golden power per imporre delle «prescrizioni» all'acquisizione, da parte di Fastweb, di un aggiornamento software del colosso cinese Huawei. Per quanto l'intesa non contempli l'acquisto di strutture fisiche o materiale hardware, il dicastero guidato da Giancarlo Giorgetti ha ritenuto che tale acquisizione vada a riguardare un settore – quello delle reti 5G – particolarmente delicato in termini di sicurezza nazionale. In questo senso, il ministero – in accordo con il Dis – ha raccomandato dei paletti per «ridurre a livelli accettabili il rischio residuo derivante dall'utilizzo dei componenti oggetto di notifica secondo modalità che possono avere rilevanza per il sistema di difesa e sicurezza nazionale». Si tratta, a ben vedere, di una via non nuova: tra marzo e aprile, delle «prescrizioni» erano infatti già state imposte su forniture di 5G cinese alla stessa Fastweb. Il trend, insomma, si sta consolidando. E si tratta di un processo che parte da lontano. Un momento di svolta può, per esempio, essere considerato la visita romana di Mike Pompeo lo scorso ottobre. In quell'occasione, l'allora segretario di Stato americano mise in guardia l'esecutivo giallorosso da un'eccessiva vicinanza a Pechino, concentrando inoltre la sua attenzione proprio sulla spinosa questione del 5G. Se il governo Conte bis si mosse quindi in alcune occasioni (soprattutto tra ottobre e dicembre dello scorso anno), è con l'avvento di Mario Draghi a Palazzo Chigi che l'allerta sulla Cina si è particolarmente rafforzata. In tal senso, la scelta di Giorgetti a capo del Mise non è forse stata casuale: il ministro leghista è una figura di comprovata fede atlantista e aveva non a caso mostrato una sensibilità per il tema del 5G cinese già ai tempi del governo gialloblù. Tra l'altro, l'attenzione che Draghi riserva a Pechino si muove in ambiti piuttosto estesi. A fine marzo, l'esecutivo ha usato il golden power per bloccare l'acquisizione dell'azienda italiana di semiconduttori Lpe da parte della società cinese Shenzen investment holdings. Tutto questo, mentre – ad aprile – un'azione di moral suasion, condotta dallo stesso Giorgetti, ha portato all'interruzione delle trattative per l'acquisto di Iveco da parte della cinese Faw Jiefang. Insomma, la linea del governo Draghi è chiara. È può essere letta da tre punti di vista complementari. In primis, è evidente che questa condotta rientri nel più generale quadro di un allineamento italiano agli Stati Uniti: allineamento su cui il premier ha sempre puntato molto in politica estera. Sotto questo aspetto, va quindi ricordato che, nonostante il cambio della guardia alla Casa Bianca, Washington continui a nutrire preoccupazione nei confronti del 5G cinese. In tal senso, Huawei compare nella blacklist delle 59 aziende cinesi stilata, a giugno, dal presidente americano, Joe Biden: aziende che, secondo l'inquilino della Casa Bianca, promuovono «l'uso della tecnologia di sorveglianza cinese per facilitare la repressione o gravi violazioni dei diritti umani» e che, proprio per questo, non potranno essere sostenute da investimenti statunitensi. Il secondo elemento da considerare è che, con questa linea, il governo Draghi punta forse indirettamente a spingere le società italiane, impegnate in settori strategici (o comunque delicati), ad evitare di intrattenere legami troppo stretti con le aziende cinesi. Realtà, queste ultime, che risultano notoriamente subordinate ai diretti interessi del governo di Pechino. Esiste, infine, un tema di spionaggio. Gli Stati Uniti ritengono infatti da tempo che il Dragone utilizzi la tecnologia 5G per attività di natura spionistica. Un problema, questo, che certo non sfugge al governo Draghi. Un problema reso tanto più urgente dal recente arresto di un politologo tedesco, accusato – insieme a sua moglie – di aver lavorato per l'intelligence cinese. La questione è finita al centro dell'attenzione in Italia, dopo che si è scoperto che la fondazione di cui costui era direttore avesse una sede nei pressi di Bolzano. Il che aveva portato a sospettare che la sua attività fosse stata condotta anche contro il nostro Paese: un'ipotesi tuttavia smentita dal sottosegretario con delega ai servizi segreti, Franco Gabrielli. «La vicenda della coppia di cittadini tedeschi, accusati in Germania di spionaggio a favore dell'intelligence cinese, si riferisce ad un'operazione condotta nel 2018 in collaborazione con l'Aisi», ha detto, definendo l'attività spionistica dei due come «non riguardante in alcun modo il nostro Paese, ma focalizzata sul quadrante indo-pacifico». Oggi sarà comunque ascoltato al Copasir il direttore dell'Aisi, Mario Parente. Nonostante si tratti di un'audizione programmata da tempo, Parente – secondo quanto risulta alla Verità – affronterà anche la questione del politologo tedesco. Segno che le preoccupazioni su eventuali condotte spionistiche cinesi in Italia restano elevate.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/5g-roma-governo-2653712801.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="arriva-unaltra-mazzata-sullacciaio-da-pechino-disco-rosso-allexport" data-post-id="2653712801" data-published-at="1625737667" data-use-pagination="False"> Arriva un’altra mazzata sull’acciaio. Da Pechino disco rosso all’export Sull'economia globale incombe lo spettro dell'aumento dei prezzi delle materie prime, una tendenza già in atto da tempo e che non sembra destinata a invertirsi. Anzi: ieri si è appreso che la Cina avrebbe intenzione di introdurre a breve una tassa del 15% sulle esportazioni di acciaio, in linea con l'analoga decisione adottata di recente dalla Russia. Due settimane fa Mosca aveva annunciato di prepararsi ad applicare nuove tasse tra agosto e dicembre sull'export di prodotti metallici – acciaio, ma anche nickel, alluminio e rame – che costeranno all'industria, secondo Reuters, un totale di 2,3 miliardi di dollari. A giorni dovrebbe arrivare anche la conferma della nuova tassa cinese, come hanno rivelato all'agenzia Ansa alcuni trader del settore siderurgico. «Già a fine aprile Pechino aveva avviato politiche di disincentivo alle esportazioni di acciaio, togliendo le sovvenzioni sull'Iva per il materiale siderurgico in uscita dal Paese», ha spiegato un operatore. L'ulteriore mossa cinese, secondo gli analisti, non farà altro che aggravare la situazione, già molto tesa, del mercato dell'acciaio in Europa, dove da tempo i prezzi delle materie prime sono in costante ascesa. Il prezzo dei coils, cioè i rotoli laminati a caldo, secondo gli operatori del settore «attualmente veleggia sui 1100 euro alla tonnellata» – 1142,06, secondo l'ultima rilevazione di Siderweb - ma il vero problema è la carenza di materiale, «che sta spingendo le aziende del settore a ridurre i turni di lavoro». Le decisioni di Russia e Cina, come ha spiegato a Siderweb Emanuele Norsa, editor della pubblicazione specializzata Kallanish, sono state dettate dall'esigenza di «mantenere il materiale in patria. L'Europa, invece, pare andare nella direzione opposta. L'impressione è che il mondo si stia dividendo in due, con Europa e Stati Uniti a prezzi galoppanti mentre da Oriente arriva la volontà centralizzata di controllare le quotazioni». Bruxelles ha infatti recentemente prorogato di altri tre anni, fino al 2024, le restrizioni alle importazioni di acciaio nell'Ue, introdotte nel 2018 per far fronte all'analoga misura adottata dagli Usa. Una decisione che non è piaciuta all'Acea, l'associazione dei costruttori automobilistici, che ha evidenziato come la proroga delle restrizioni sia stata decisa in un momento particolare, in cui si sono già verificate «gravi carenze nella catena di approvvigionamento siderurgica europea delle case automobilistiche». I costruttori di auto europei prendono infatti «quasi tutto il loro acciaio – oltre il 90% - nell'Ue», un mercato in cui «i prezzi continuano a salire. Da quando la produzione è ricominciata nell'estate 2020 c'è stata una grave carenza di materia prima sul mercato europeo», ha sottolineato l'associazione, secondo cui le restrizioni limitano «il potenziale dei produttori di equilibrare l'approvvigionamento attraverso le importazioni, fungendo da coperchio su un mercato già surriscaldato». La penuria di materie prime è solo uno dei fattori che stanno minacciando la ripresa dell'industria automobilistica, con ripercussioni sull'andamento dell'intera economia. Il settore è penalizzato in particolare dalla carenza di semiconduttori, che secondo la società di consulenza AlixPartners nel 2021 costerà 60,6 miliardi di dollari in mancati ricavi per l'industria globale dell'automotive. La frenata dell'auto rallenta anche l'industria del suo complesso: in Germania, ad esempio, a maggio la produzione industriale è calata a sorpresa dello 0,3% su aprile anche a causa delle difficoltà del settore automobilistico. Per il 2021 la locale associazione dei costruttori, la Vda, ha tagliato le stime di crescita della produzione al 3%, dal 13% previsto in precedenza: le nuove auto realizzate in Germania saranno 400.000 in meno. E la crescita dei prezzi dell'acciaio è destinata a peggiorare ulteriormente la situazione.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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