2019-11-07
Zingaretti lancia l’ennesimo penultimatum
Il segretario del Pd è ostaggio di Italia viva, che ogni giorno cannoneggia la maggioranza. Matteo Renzi gli scarica addosso il costo politico della stretta fiscale e lui minaccia: «Se si tira troppo la corda, si spezza». Ma l'ha fatto così tante volte che non gli crede più nessuno.«Toc toc, c'è qualcuno che difende questo governo?». Da alcuni giorni Nicola Zingaretti si sveglia in un bagno di sudore, terrorizzato da ciò che ha appena sognato dentro un incubo da Stephen King: il tracollo del Conte bis e del Pd che ne è l'architrave. E allora moltiplica i toc toc, vorrebbe trasformarli in esplicite minacce del tipo: o si fa come dico io oppure andiamo a casa tutti. Ma non ci riesce, ha un deficit di personalità che risale ai tempi del liceo, quindi si ferma un passo prima dell'ingiunzione, sulla soglia di un nuovo genere letterario che gli analisti parlamentari hanno definito il «penultimatum del segretario». Nel senso che lui intima, gli altri (Matteo Renzi e Luigi Di Maio) non se lo filano e lui si adegua in silenzio pur di galleggiare.L'ultima polemica è illuminante. Valutato il crollo di popolarità del governo per la manovra sgangherata, il padrone di Italia viva si smarca surfando sulle fake news che tanto aborre: «Voglio evitare che si aumentino le tasse. Abbiamo fatto la battaglia sull'Iva, ci hanno preso per matti, e l'abbiamo vinta. Abbiamo fatto la battaglia sulla tassa ai cellulari e l'abbiamo tolta, adesso sulle auto aziendali e la tirano via. Ora la priorità è fare un partito no tax». Renzi parla come se non fosse al governo né dentro le commissioni, e non fosse la levatrice dell'esecutivo più a sinistra della storia d'Italia. Allora Zingaretti prende cappello e a Dimartedì su La7 replica: «Aprire una polemica su una manovra sottoscritta da tutti è un'operazione di basso livello che gli italiani giudicheranno. O si governa per cambiare le cose e non per occupare le poltrone, oppure il Pd non ci sta ad andare avanti». Poi alza il dito e aggrottando la fronte ammonisce: «Se si tira troppo la corda, questa si spezza».Ecco, questo è tecnicamente un penultimatum, qualcosa di solo apparentemente minaccioso del cui effetto nessuno tiene conto. Neppure il ministro Teresa Bellanova, che sta studiando da pasdaran renziana e commenta immediatamente: «I penultimatum di Zingaretti tolgono credibilità alla politica». Per la verità tolgono credibilità allo Zingaretti medesimo che, a differenza del fratello Montalbano, non riesce ad ammanettare uno straccio di colpevole. Sono mesi difficili per il segretario, costretto dalla realpolitik del suo partito (e del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella) a trasformarsi in un signorsì, vaso di vetro fra i vasi di coccio, personaggio privo di profondità, simile all'Ercolino sempreinpiedi, gadget plastificato con le sembianze di Paolo Panelli che la Galbani regalava con i punti dei formaggini negli anni Sessanta, la base riempita d'acqua per non cadere mai. Dev'essere dura pronunciare un diktat e doverselo rimangiare il giorno dopo.La collezione di penultimatum zingarettiani è lunga, ormai fa statistica. Per trovare il primo basta tornare ad agosto quando, un minuto dopo lo strappo di Matteo Salvini, il segretario dal Pd dice con aria napoleonica: «Voto subito e senza primarie, no a governi tecnici e a un Conte bis, anche se ce lo chiede Mattarella». Nei giorni successivi matura la Waterloo: Renzi lancia la coalizione antisovranista, i postdemocristiani di Dario Franceschini ed Enrico Letta la benedicono e Zinga si ritrova con i glutei all'aria condizionata. Non è un bel vedere. Secondo penultimatum: «Serve discontinuità, il governo sia nuovo anche nei profili. Non accetteremo Giuseppe Conte premier», s'impunta. Sapete tutti com'è andata a finire, con il varo del «nuovo umanesimo italiano». Il terzo penultimatum è diretto a Di Maio durante il suq per la spartizione delle poltrone: «Basta con i ricatti sul programma, il balletto dei 5 stelle è inaccettabile, così non si va da nessuna parte». E invece si va tutti in gita al Quirinale a giurare davanti al capo dello Stato.La faccenda sconfina nella psicanalisi anche perché Renzi è ingestibile e il segretario rischia lo sdoppiamento di personalità. Il canovaccio narrativo è lo stesso da due mesi. Al mattino i renziani votano una legge terribile -mediamente pauperista e postmarxista - con il Movimento 5 stelle e il Pd; al pomeriggio dicono di averlo fatto dopo essersi turati il naso; verso sera (di solito nella dacia tv di Lilli Gruber) asseriscono con gravità che quella legge fa schifo e bisogna cambiarla «sennò qui crolla tutto». Allora Zingaretti urla di «abbassare i toni oppure si va al voto». Ma l'ultimatum diventa penultimatum, si trova un imbecille che fa il saluto romano per cambiare argomento e si ricomincia con un'altra legge terribile. Schizofrenia politica.Povero Zingaretti, non lo ascolta nessuno. Il destino è gramo; è sufficiente che lui abbia un'idea perché questa venga sciolta nell'acido da compagni, alleati e semplici conoscenti (Renzi). Alla vigilia delle elezioni regionali in Umbria decide di far sua una pensata di Franceschini - che quando ha il quarto d'ora da Willy Brandt è pericoloso - e annuncia: «Serve un'alleanza strutturale con i grillini sul territorio per sconfiggere le destre». Le destre stravincono, Di Maio gli risponde «andiamo meglio quando corriamo da soli». Lui abbozza, di nuovo sconfitto: «Sulle future alleanze decideremo caso per caso». E via così fino al prossimo toc toc. Fino al prossimo penultimatum dell'uomo invisibile dal futuro impalpabile. Per la precisione, l'Ercolino sempreinpiedi era alto 80 centimetri.
Jose Mourinho (Getty Images)