
Il settimanale certifica il fallimento della «campagna di Russia». In Europa cresce la stanchezza per il conflitto: serve una tregua.Presi come siamo da ciò che sta succedendo in Libano (a proposito: non mi pare di aver letto commenti da parte di Massimo D’Alema, ex ministro degli Esteri che con gli hezbollah andava a braccetto prima di trasformarsi in mediatore di forniture militari per la Colombia), ci siamo dimenticati di un’altra guerra, che pure ci riguarda molto da vicino. Nei giorni scorsi, sui giornali ha avuto molta eco la visita di Volodymyr Zelensky negli Stati Uniti, dove ha avuto modo di parlare all’Onu e di presentare il suo piano per la vittoria contro la Russia.Da quel che si capisce, il programma in cinque punti non ha riscosso un grande entusiasmo nello staff della Casa Bianca, che pare abbia commentato con un «siamo alle solite», intendendo che le proposte ma, soprattutto, le richieste sono quelle già sentite, vale a dire soldi e armi. Tuttavia, se i cronisti hanno seguito con attenzione la visita del presidente ucraino e anche l’incontro con Donald Trump, altrettanto non si può dire di ciò che sta accadendo al fronte, teatro di guerra da cui arrivano pochi e scarni reportage. Come abbiamo riportato, in un inciso del Corriere della Sera qualche giorno fa si dava conto della situazione di stallo delle truppe di Kiev nella zona di Kursk, dove 15.000 uomini sarebbero fronteggiati da 40.000 soldati di Mosca. L’incursione in territorio nemico delle forze ucraine avrebbe dovuto rappresentare la riscossa di Kiev e, soprattutto, avrebbe dovuto essere la moneta di scambio per trattare conVladimir Putin il quale, sguarnito su un lato dell’immensa frontiera russa, sarebbe stato costretto a dirottare una parte delle sue divisioni dal Donbass alle zone oggetto di invasione.Purtroppo, nulla di tutto ciò è accaduto e l’offensiva nella regione russa rischia di trasformarsi in una missione suicida, nonostante gran parte della stampa ai primi di agosto l’avesse presentata come una mossa geniale. Ma se su ciò che accade a Nord qualche notizia filtra, sulla situazione in Donbass e, più in generale, nelle zone invase dai russi si sa poco o nulla. A colmare la lacuna in questi giorni ha provveduto l’Economist che, nell’ultimo numero, ha spiegato il punto di vista in maniera a dir poco brutale: «Se l’Ucraina e i suoi sostenitori occidentali vogliono vincere, devono prima avere il coraggio di ammettere che stanno perdendo». Secondo l’analisi del settimanale britannico, la prosecuzione della guerra in corso da oltre due anni è «insostenibile». E ha aggiunto: «C’è un divario crescente tra la vittoria totale che molti ucraini dicono di volere e la loro volontà e capacità di lottare per essa». Insomma, per l’Economist è necessario dirsi le cose come stanno e come si vorrebbe che stessero: «Se Zelensky continuerà a sfidare la realtà insistendo sul fatto che l’esercito ucraino può riprendersi tutta la terra che la Russia ha rubato dal 2014 scoraggerà i sostenitori dell’Ucraina». Per il settimanale, in Europa sta crescendo una forte stanchezza nei confronti di Kiev e la vittoria dei partiti di destra in Germania, in Francia e ora anche in Austria non farà che accentuare tutto ciò. La soluzione a questo punto potrebbe consistere in una tregua, senza accettazione della perdita dei territori occupati, ma che almeno potrebbe mettere fine ai combattimenti, consentendo poi all’Ucraina l’ingresso nella Nato. Riusciranno giornali e partiti che fino a ieri hanno giurato che avrebbero sostenuto Zelensky fino alla vittoria a guardare in faccia la realtà?
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.