2024-09-16
«Zelensky è pronto a trattare. A Putin il Donbass non basta»
L’analista di Limes Mirko Mussetti: «Approvare il lancio di missili in Russia ci renderebbe parte del conflitto, l’Italia fa bene a essere prudente. Con Trump la guerra non sarebbe scoppiata».Mirko Mussetti, analista di geopolitica e geostrategia, collaboratore di Limes, la settimana scorsa l’Ucraina ha condotto un attacco con i droni sul territorio russo, colpendo anche Mosca. Tali azioni possono essere lette come la necessità di Kiev di convincere l’Occidente che la guerra può proseguire e che continuare a foraggiarla non è inutile?«Bisogna precisare fin da subito che l’attacco in questione non cambia il corso del conflitto, ma si tratta più che altro di un’azione dimostrativa. Non è uccidendo una donna civile in un’area residenziale e facendo fermare i voli degli aeroporti di Mosca per poche ore che si cambia il corso della guerra. Ma è un’azione dimostrativa importante, seppur effimera, perché Kiev ha un fortissimo bisogno di reiterare il sostegno occidentale dimostrando che la Russia può essere colpita in profondità. Sappiamo che la stanchezza di questa guerra inizia a farsi sentire, sia all’interno dell’Ucraina, tra la popolazione, sia all’esterno, tra i partner occidentali. Sul profilo bellico cambia poco o nulla, anzi potrebbe persino avere un effetto contrario, ovvero una popolazione russa che inizia a vedere questa guerra, che i vertici russi continuano a chiamare “operazione militare speciale”, come un qualcosa di esistenziale per la Russia. In quest’ottica, sia lo sconfinamento nel Kursk, sia gli attacchi in profondità con l’uccisione di una civile, potrebbero spingere molti russi ad arruolarsi».Sul campo, l’Ucraina è in affanno?«Sì, è messa male. I russi hanno addirittura iniziato a riguadagnare villaggi nel saliente del Kursk. Ma Kiev è messa molto male anche nel Donbass, dove i russi continuano ad avanzare principalmente nella direzione di Pokrovsk, ma anche in altre località. Gli ucraini faticano a fermare questa avanzata, per carenza di munizioni, materiale bellico e soprattutto uomini. Va sottolineato che anche dal lato della mobilitazione non sta andando molto bene. Malgrado la legge emessa mesi fa che obbliga gli uomini tra i 18 e i 60 anni a registrarsi presso i centri di reclutamento regionale, i cittadini non si presentano». La sfiducia nella popolazione ucraina sta aumentando, quindi?«Sì, basti pensare alla messa al bando della principale chiesa ortodossa d’Ucraina, la principale chiesa a dire il vero, cioè quella che sottostà al patriarcato di Mosca. Il bando è fonte di malcontento tra la popolazione. Basti pensare ai fedeli che fanno fatica a fare i funerali ai loro figli, magari morti al fronte. Pensate a queste famiglie, cosa possono pensare? Ma come, mandiamo i nostri figli a morire e in cambio cosa otteniamo? Il fatto di non potere neanche pregare nella nostra chiesa? Il malcontento sta facendo crescere il tasso di diserzione e addirittura di fuga dall’Ucraina. Sono molti i giovani che muoiono nelle acque del fiume Tibisco che separa l’Ucraina dalla Romania, e i giovani che cercano di evitare di ritrovarsi al fronte, anche perché nessuno ha una gran voglia di combattere una guerra di trincea. Non stiamo parlando di gente codarda, perché quando cerchi la fuga rischi di essere fermato dalle guardie di frontiera o addirittura di trovare la morte, ma di istinto di sopravvivenza». Quali potranno essere le conseguenze dell’eventuale autorizzazione all’Ucraina di utilizzare i missili a lungo raggio per colpire il territorio russo in profondità?«È un problema molto serio, verso il quale l’Italia sta adottando saggiamente un approccio prudente. È un problema perché finora l’Occidente non aveva mai dato l’autorizzazione a utilizzare armi occidentali per colpire la Russia. L’Ucraina colpiva lo stesso la Russia con le nostre armi, ma potevamo salvarci in corner dicendo “è una decisione assunta autonomamente da Kiev, noi non c’entriamo niente”. Invece, colpire in profondità la Russia con i missili ad alta precisione occidentali significa usare i sistemi a lungo raggio satellitari dell’Occidente, e dietro a questi sistemi satellitari ci sono operatori occidentali, non operatori ucraini, quindi i Paesi occidentali darebbero le coordinate all’Ucraina degli obiettivi strategici da colpire. Di fatto, così il Paese che autorizza a colpire in profondità la Russia diventa parte cobelligerante, quindi chi decide di sostenere questa opzione decide ipso facto che il suo Paese è parte del conflitto. La questione è grave, anche perché non sappiamo come potrebbe rispondere la Russia, la quale di sicuro non ha intenzione di allargare il conflitto, tuttavia è un azzardo».L’utilizzo di armi nucleari da parte di Mosca è da escludere? «Sì, lo escludo, però ricordiamoci che tecnicamente è possibile. Esistono bombe atomiche dal basso potenziale, se la bomba su Hiroshima era di 15 kilotoni, oggi ne esistono anche solo di 5 kilotoni, tecnicamente si possono usare, anche in Ucraina. L’arma nucleare può essere usata anche per non colpire una città, ma per colpire un campo aperto, puoi decidere di usarla con deflagrazione non a mezz’aria ma a contatto con il terreno, dove il cratere stesso assorbe gran parte dei danni. Ma la Russia non ha intenzione di arrivare a tanto, anche perché diventerebbe un paria internazionale. Ricordiamoci che la bomba atomica è stata sganciata nella storia solo da una nazione, gli Stati Uniti. I russi si sono sempre vantati di non averne mai fatto uso. Se accadesse, l’immagine della Federazione russa sarebbe deteriorata in modo irreversibile». Kamala Harris, durante il dibattito con Donald Trump, ha detto che se il repubblicano fosse presidente, Putin sarebbe già seduto a Kiev. È davvero così? «No, probabilmente se Trump fosse stato presidente al posto di Biden questa guerra non sarebbe nemmeno scoppiata. Ricordiamoci che i problemi sono iniziati nel 2014 con la cosiddetta “Rivoluzione della dignità”, che di dignitoso non ha mai avuto molto essendo stata un colpo di Stato foraggiato dall’Occidente, con un presidente legittimamente eletto, filorusso, che è stato costretto a fuggire. All’epoca alla Casa Bianca sedeva Obama, con Biden come vice. In seguito, con l’amministrazione Trump, si era andati verso un congelamento del conflitto nel Donbass». Che scenari intravedi dopo le elezioni statunitensi di novembre? «In ogni caso, sia che vincano i democratici, sia che vincano i repubblicani, qualcosa cambierà nell’approccio nei confronti di Kiev. Parliamoci chiaro, già qualcosa sta cambiando, si tende a parlare sempre meno di Ucraina e ci sono divisioni interne agli apparati americani, l’abbiamo visto con le dimissioni di Victoria Nuland in favore di Kurt Campbell, soprannominato lo zar dell’Indo-Pacifico. Ciò che conta davvero per gli Usa infatti è l’Indo-Pacifico, non l’Ucraina. Se la Russia si prende la Crimea cambia poco per lo status di potenza americana, ma se la Cina si prende Taiwan cambia tutto. L’Indo-Pacifico per gli americani è strategico, l’Ucraina no, l’Ucraina serve a far sanguinare la Russia». E per Mosca?«Il grande obiettivo strategico, per ora ottenuto dai russi, è il corridoio terrestre che collega la Federazione alla Crimea. Non è un caso che le operazioni si concentrino nel Sud dell’Ucraina, anche perché se si riesce a privarla dell’accesso alle infrastrutture portuali e all’accesso al Mar Nero, se ne demolisce l’economia, che si basa su esportazioni di derrate alimentari e di prodotti siderurgici». L’ultimo rimpasto di governo operato da Zelensky, che ha sostituito anche il ministro degli Esteri, il falco Kuleba, è sintomo di maggiore predisposizione di Kiev a eventuali negoziati?«Secondo me sì, può essere letto così. A Kiev sanno che qualcosa cambierà nei prossimi mesi, soprattutto dopo l’insediamento di un nuovo presidente in America. Sanno che devono in qualche modo prepararsi a inevitabili negoziati, già il fatto che circa il saliente di Kursk Zelensky abbia parlato di “exchange fund”, cioè di fondo di scambio, lascia intendere che ci saranno dei negoziati e che a Kiev serve qualcosa da scambiare, in questo caso territori russi occupati dall’Ucraina, oltre che prigionieri russi. Stesso dicasi per l’annuncio di Zelensky del prossimo vertice globale sulla pace a cui anche la Russia è stata invitata. Se già si ragiona in questi termini, significa che il vero obiettivo non è la sconfitta strategica della Russia e la riconquista di tutti i territori perduti. Nel governo ucraino però ci sono stati molti cambi, più di metà dell’esecutivo è stato rimosso e sostituito, ma non il ministro della Difesa. Questo per dimostrare che, fin tanto che non si raggiungerà il cessate il fuoco, il Paese è disposto a continuare a combattere». Putin è ancora convinto di poter vincere?«Sì, ma bisogna dare una definizione al concetto di vittoria. Significa prendersi tutta l’Ucraina? No, naturalmente no. Vincere significa prendersi territori attualmente occupati? Se così fosse, allora sì. Putin tende a essere sempre più fiducioso nella vittoria della Russia, ovvero di sedersi al tavolo dei negoziati e concordare un cessate il fuoco sull’attuale linea di contatto, che di fatto consegnerebbe territori occupati alla Russia, sia che vengano riconosciuti internazionalmente, sia che non vengano riconosciuti. Il problema strategico di fondo però per Putin è un altro, ovvero evitare che l’Ucraina entri nella Nato e faccia accordi militari con l’America e con i Paesi europei per il trasferimento di tecnologia militare o per l’insediamento di basi militari sul suo territorio. Se non passasse il concetto di neutralità dell’Ucraina, i problemi che c’erano nel 2021 potrebbero riproporsi, magari dopo qualche anno dal raggiungimento del cessate il fuoco. Questo è il problema di fondo, non è tanto questione di territori o meno, anche perché la Russia è il Paese più grande del mondo, ha una vastità territoriale di undici fusi orari, non sono quei pochi territori che ha conquistato in Ucraina che fanno la differenza per la Russia, sebbene stia occupando le porzioni più ricche in termini di risorse naturali e minerali. Il problema per Mosca è fare in modo che gli occidentali accettino il fatto che devono stare lontani dai confini russi».
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)