2023-05-21
Zelensky vola in Giappone per farsi armare
Hiroshima, il leader indiano Narendra Modi con Volodymyr Zelensky (Getty Images)
Il presidente dell’Ucraina arriva al G7 dopo il via libera degli Usa all’invio di F-16. Gli invasori: «Rischi colossali per l’Occidente». Giorgia Meloni: «Non abbiamo i caccia, valuteremo l’addestramento dei piloti». Anche l’indiano Modi si candida come mediatore.Kiev nega la caduta della città di Bakhmut. Mosca vieta l’ingresso a 500 americani, tra cui Barack Obama.Lo speciale contiene due articoli.Alla fine, Volodymyr Zelensky è volato a Hiroshima. Con un aereo francese, partito da Gedda, dove il presidente ucraino aveva partecipato al vertice della Lega Araba. L’obiettivo della tappa in Giappone è il medesimo: chiedere ancora armi agli alleati. Così, mentre il Papa torna, inascoltato, a chiedere l’avvio di negoziati e il termine della guerra, contro lo spettro delle armi nucleari, Zelensky incassa ulteriore appoggio e la promessa di nuovi armamenti. Il balletto è sempre il solito: gli Usa e gli altri Paesi alleati ascoltano le richieste, dapprima negano la disponibilità a esaudire i desiderata ucraini, per scongiurare l’escalation, per poi invece fornire quanto richiesto da Kiev. È successo con i missili, coi sistemi anti aerei, i droni e i carri armati. Ora è la volta dei jet F-16. Dopo il via libera agli alleati del presidente americano, Joe Biden, alla fornitura dei caccia, e la disponibilità ad addestrare i piloti ucraini, Zelensky può esultare. E, sebbene il presidente ucraino parli di una «pace oggi (ieri, ndr) più vicina», il rischio di un’ulteriore escalation è tangibile. «I Paesi occidentali incorreranno in rischi colossali se forniranno all’Ucraina caccia F-16», ha avvertito il vice ministro degli Esteri russo, Alexander Grushko. «Di che ha paura la Russia? Del consolidamento degli alleati pro-Ucraina. Di una difesa anti missile di alta qualità. Della controffensiva. Degli aerei. Bisogna fare in fretta e di più», la risposta di Mykhailo Podolyak, consigliere presidenziale ucraino. Intanto, il ministro della Difesa Oleksiy Reznikov ha sottolineato che i piloti ucraini «non vedono l’ora di iniziare» l’addestramento sui caccia F-16 per sostenere i loro fratelli e sorelle d’armi per vincere questa guerra. Gli F-16 sono stati costruiti per abbattere i nemici. Il loro momento è arrivato». Se non è ancora chiaro chi fornirà i jet (di sicuro, non gli Usa, pronti a fornire solo quelli altrui), la Francia ha già fatto sapere di essere interessata ad addestrare i piloti ucraini, ma di essere preoccupata per le possibili barriere linguistiche poiché, emerge dall’Eliseo, i corsi (dalla durata tra i quattro e i nove mesi) sarebbero in francese. Anche l’Italia valuta l’addestramento, non disponendo dei jet promessi: «Faremo una valutazione insieme con gli alleati. È una decisione che non abbiamo ancora preso e che discuteremo», ha dichiarato ieri il premier Giorgia Meloni, ribadendo che «L’Ucraina sa di poter contare sul sostegno italiano a 360%. Zelensky ha compreso il motivo per cui ho deciso di tornare in Italia», riferendosi alla sua partenza anticipata dal Giappone causa alluvioni. «È importante continuare il dialogo tra Ucraina e Italia sulle relazioni bilaterali. Le parti hanno discusso del sostegno politico e di difesa dell’Italia all’Ucraina e dei primi risultati della visita in Italia del 13 maggio. Dobbiamo migliorare le nostre capacità di difesa aerea, compresa la formazione dei nostri piloti», ha scritto sui social Zelensky, commentando il bilaterale con Meloni. Sulla stessa onda, ovviamente, anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che ha sottolineato il suo «forte sostegno alla preparazione di un nuovo pacchetto economico macrofinanziario pluriennale per il periodo successivo al 2023, che testimonierebbe l’impegno a lungo termine dell’Ue nella lotta dell’Ucraina contro la guerra illegale della Russia. Anche il sostegno militare si sta intensificando con la consegna di munizioni e la creazione di una coalizione per i jet da combattimento». Intanto, dopo il Pontefice, il Brasile, la Turchia e la Cina, a proporsi come mediatore tra Mosca e Kiev arriva l’India. «Faremo tutto il possibile per la soluzione della guerra», ha dichiarato il presidente Narendra Modi al primo incontro con Zelensky dallo scoppio del conflitto. Modi ha poi espresso su Twitter «il nostro chiaro sostegno al dialogo e alla diplomazia in modo che si possa trovare una strada da seguire per risolvere la crisi in Ucraina. Continueremo a fornire assistenza umanitaria al popolo». A sforzarsi per la via delle trattative, però, pare essere ancora una volta solo papa Francesco. Come anticipato dalla Verità, il pontefice ha ufficialmente affidato al Cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, l’incarico di condurre una missione, in accordo con la Segreteria di Stato, «che contribuisca ad allentare le tensioni nel conflitto in Ucraina, nella speranza, mai dimessa dal Santo Padre, che questo possa avviare percorsi di pace», ha confermato ieri il direttore della Sala stampa vaticana. Tornando in Giappone, oggi, nella terza giornata del G7, dopo i colloqui di ieri con Meloni, Modi, Michel, Macron e Scholz, Zelensky avrà un bilaterale con Biden. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/zelensky-armi-g7-hiroshima-2660392534.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-wagner-bakhmut-e-nostra-giovedi-la-consegneremo-ai-russi" data-post-id="2660392534" data-published-at="1684656655" data-use-pagination="False"> La Wagner: «Bakhmut è nostra Giovedì la consegneremo ai russi» Dopo l’ennesima notte di bombardamenti su Kiev, ieri pomeriggio il proprietario della compagnia militare privata Wagner, Yevgeny Prigozhin, ha annunciato sui canali Telegram della milizia che i combattimenti durati sette mesi a Bakhmut sono finiti: «Oggi Bakhmut è stata completamente presa». Successivamente Prigozhin, in un video nel quale appare attorniato da dieci suoi soldati con le bandiere della milizia e della Russia, ha aggiunto che «le forze russe hanno preso il controllo della città e noi lasceremo Bakhmut sotto il controllo del ministero della Difesa russo per poi lasciare la città il 25 maggio per riposarci». Vero o falso? Gli ucraini hanno smentito la circostanza negando che i mercenari della Wagner abbiano preso Bakhmut e il portavoce delle truppe ucraine impegnate nell’est del Paese, Serhiy Cherevatyi, ha dichiarato al Guardian che «quanto affermato non è vero, le nostre unità stanno combattendo a Bakhmut». Successivamente su Telegram il viceministro della Difesa ucraina Hanna Malyar ha parlato di «pesanti combattimenti a Bakhmut. La situazione è critica. Allo stesso tempo, le nostre truppe mantengono la difesa nell’area (del distretto, ndr) di Litak. A partire da ora, i nostri difensori controllano alcune strutture industriali e infrastrutturali di quest’area e del settore privato». In precedenza il think tank statunitense Institute for the Study of War (Isw) nel suo aggiornamento quotidiano aveva scritto che «i contrattacchi ucraini vicino a Bakhmut hanno probabilmente eliminato la minaccia di un accerchiamento russo delle forze ucraine a Bakhmut e costretto le truppe russe ad allocare le scarse risorse militari per difendersi da uno sforzo offensivo limitato e localizzato, come probabilmente nelle intenzioni del comando ucraino». Nel report dell’Isw si descrive come quanto riferito dalla viceministra della Difesa, Hanna Malyar, le forze russe hanno effettivamente concentrato la maggior parte delle loro riserve nella direzione di Bakhmut, un fatto che ha rallentato l’avanzata ucraina. Malyar ha anche aggiunto che «le forze ucraine continuano a contrattaccare nella periferia settentrionale e meridionale di Bakhmut e sono avanzate di 500 metri su un fianco e di 1.000 metri sull’altro». Ieri c’è stata una potentissima esplosione nella città di Mariupol a seguito della quale sarebbero morti 24 soldati russi e su Telegram Petro Andriushchenko, consigliere del sindaco della città occupata, ha scritto che «nell’esplosione sono rimasti feriti 37 russi e sono stati distrutto molti tank Tiger e altro equipaggiamento militare. Ieri, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha affermato che la Russia «ha risposto a una guerra dichiarata dall’Occidente. Bisogna capire che noi non promuoviamo ostilità contro nessuno. Dobbiamo dare una risposta ferma e coerente a chi ci ha dichiarato guerra». Nella dichiarazione rilanciata della Tass non viene menzionata l’Ucraina invasa dai russi da ormai più di un anno. Lavrov, in un comunicato, ha reso noto di aver vietato l’ingresso a 500 americani in risposta alle sanzioni imposte dall’amministrazione degli Stati Uniti. Tra di loro non ci sono solo figure significative come l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, ma anche senatori, deputati, esperti e dipendenti dei think tank che si occupano del conflitto. Come accade quasi ogni giorno dalla data dell’invasione dell’Ucraina c’è da registrare un mistero: il media indipendente russo Baza sul suo canale Telegram ha rivelato che un drone non identificato è stato ritrovato ieri mattina nel centro di Mosca. Secondo le autorità russe, il drone, dotato di telecamera, è stato rinvenuto da un addetto alla sicurezza dell’Accademia del Trasporto Acquatico all’esterno dell’istituto, sull’argine Novodanilovskaya. Non essendo il primo caso di droni che appaiono indisturbati su Mosca si direbbe che «qualcuno» stia facendo le prove per qualcosa di grosso.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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