Lo zafferano è un antiossidante prezioso, tanto che nel Medioevo veniva giustiziato chi lo adulterava. Oggi il 90% della produzione mondiale proviene dall’Iran, ma l’Italia può vantare prestigiosi Dop.Il formaggio Bagòss, tipico del paese di Bagolino nel Bresciano, nacque nel XVI secolo in seguito a un accordo con gli ambasciatori della Serenissima. Che per l’occasione fornì la sostanza aromatica, molto diffusa a Venezia.Lo speciale contiene due articoli.Lo zafferano si ricava dal fiore del Crocus sativus, pianta della famiglia delle Iridacee anche nota come zafferano vero. La pianta si eleva fino a circa 30 cm dal terreno in cerca del bacio del sole e poi sboccia in autunno in quattro bei grandi fiori, ognuno con tre stigmi che poi si raccolgono insieme agli steli, il tutto si secca e si usa come condimento e anche colorante. La pianta coltivata è l’addomesticazione di una selvatica che forse - non vi è certezza - è il Crocus cartwrightianus di Creta sottoposto a intensa selezione per ottenere stigmi più lunghi, forse il Crocus thomasii o il Crocus pallasii. Essa si espande dalla Grecia nel resto del mondo, diventando ben presto la spezia più pregiata e, in Occidente e nel Medioevo, l’unica spezia commerciata di provenienza indigena. Dalla fine del Medioevo iniziamo a coltivare lo zafferano anche noi e oggi ne produciamo tra i 450 e i 600 kg annui. Abbiamo i Dop, Zafferano dell’Aquila Dop, Zafferano di San Gimignano Dop e Zafferano di Sardegna Dop, ma lo produciamo, altrettanto magnifico, anche in Umbria, Toscana, Marche, Emilia Romagna, Sicilia, Campania, Piemonte e Lombardia. Oggi la produzione iraniana di zafferano rappresenta il 90% di quella mondiale, quindi aiutiamo la nostra economia e compriamolo italiano. Il caratteristico sapore dello zafferano è dovuto alla picrocrocina, il tipico odore al safranale, il leggendario colore alla crocina che, molecola simil Re Mida, trasforma non in oro, ma nel colore dell’oro tutto ciò che tocca. In base al contenuto di queste molecole, lo standard internazionale Iso 3632 stabilisce la categoria qualitativa di zafferano valutando anche la percentuale del contenuto che non proviene dagli stigmi («contenuto in scarti floreali») e di altre sostanze estranee come materiali inorganici (le «ceneri» residue dopo la combustione del campione).Lo zafferano è una pianta sterile e si riproduce per mano umana: il cormo viene diviso in quattro e ripiantato, dando così luogo a un massimo di una decina di piccoli cormi che nella stagione successiva diventeranno nuove piante. I fiori, da cui gli stigmi, fioriscono in autunno e vanno raccolti velocemente perché appassiscono al tramonto della stessa giornata di fioritura: con 150 fiori otteniamo 1 g di pistilli secchi, con 1 kg di fiori 72 g di zafferano umido e poi 12 secco, poiché da 1 fiore si ricavano circa 30 mg di zafferano fresco o 7 mg secco. Lo zafferano secco è molto sensibile alla luce e ai mutamenti di ph, perciò va conservato in contenitori ermetici e al buio, resiste invece bene al calore. Non datevi alla raccolta amatoriale di presunti fiori di zafferano se non siete esperti, incorrete nel rischio di intossicarvi col cosiddetto zafferano falso, il Colchicum, un veleno assoluto per il quale non esiste antidoto. La storia dello zafferano è antica e lo è anche quella della sua adulterazione: chi in Europa vendeva curcuma, paprica, barbabietola e stami di croco da soli spacciandoli per zafferano o li usava per allungare lo zafferano vero nel Medioevo veniva giustiziato ai sensi del codice Safranschou. Allo zafferano si attribuiscono poteri antisettici, antidepressivi e anticonvulsivanti, certo è l’effetto digestivo, nonché quello antiossidante.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/zafferano-salute-benessere-2659899301.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="un-formaggio-per-omaggiare-i-dogi-cosi-la-spezia-diede-origine-al-bagoss" data-post-id="2659899301" data-published-at="1682327674" data-use-pagination="False"> Un formaggio per omaggiare i Dogi. Così la spezia diede origine al Bagòss Una caratteristica cromatica della cucina lombarda è il giallo: è giallo il pan meino o pan de mej, un tempo fatto con la farina di miglio, oggi con quella di mais, è giallo il ben più noto risotto alla milanese per via dello zafferano ed è giallo per lo stesso motivo anche il bresciano Bagòss, un formaggio lucente come se fosse fatto d’oro. Il Bagòss è un Pat, un prodotto agroalimentare tradizionale della Lombardia, è un presidio Slowfood ed è stato chiesto il riconoscimento del Dop, una prima volta negli anni Novanta e di nuovo nel 2017 ai sensi dei nuovi regolamenti europei 28/4/2016. Lombardo, sì (e giallo), ma di un preciso punto della Lombardia. Il Bagòss è il formaggio tipico di Bagolino, delizioso paese montano al centro delle Alpi italiane. Bagòss è il nome del cittadino di Bagolino, «bagòssi» al plurale, e vien da dire senza retorica che sia il nome del formaggio poiché cittadino del territorio anch’esso, perché come, per esempio, la fontina in Valle d’Aosta, il territorio, con le sue caratteristiche, sembra letteralmente consustaziarsi nel prodotto. L’area di produzione e stagionatura è quella del Comune di Bagolino, con l’aggiunta di alcune zone confinanti: Malga Gera (Comune censuario di Prestine), Malghe Baremone e Spina con i prati e le Tese sottostanti (Comune censuario di Anfo), Rondenino Alto e Rondenino di Mezzo (Comune censuario di Bienno), Malghe Tonolo, Capre, Marzetta ed i prati in località Prespedè (Comune censuario di Storo-Lodrone). Seppure formalmente fuori dal comune, queste malghe e i loro pascoli, con erbatici simili a quelli di valle, erano (e sono) tappa fissa della monticazione, cioè la salita degli animali e dei pastori e casari a inizio estate in alpeggio, tanto da divenire «malghe da Bagòss»: perciò sono incluse nel territorio di produzione del Bagòss. Si tratta di uno squisito formaggio semigrasso a lunga stagionatura (minimo 6 mesi) da latte crudo, che si produce tutto l’anno. Ha forma cilindrica, scalzo (il profilo) dritto da 10 a 12 cm, facce piane, diametro tra 40 e 50 cm e peso da 14 a 22 kg, un po’ più grande di una toma di montagna. Il suo sapore è sapido, importante, quasi piccante, l’odore è di zafferano, farina di castagne e fieno, intenso nel Bagòss invernale e ancor più intenso nel Bagòss estivo, fatto col latte delle mucche ai pascoli in quota che trattiene in sé profumi e sapori talvolta più concentrati di quella flora. Il Bagòss invernale, fatto col latte delle mucche che mangiano anche foraggio - sempre locale - è anche detto «invernengo». E il colore? Anche il colore così giallo del Bagòss deriva da... la storia. Onaf, l’Organizzazione Nazionale degli Assaggiatori di Formaggio dedicata anche alla divulgazione della conoscenza di formaggi italiani e stranieri, spiega: «Bisogna risalire, con ogni probabilità, al XVI secolo per collocare le origini del formaggio Bagòss di Bagolino. All’epoca il grazioso comune incorniciato dalle Alpi bresciane si trovava proprio al confine con la Repubblica di Venezia che ne influenzò tanto la cultura quanto le tradizioni. In seguito a un accordo tra gli ambasciatori della Repubblica di Venezia e i Consoli di Bagolino, intenzionati a fornire ai Dogi un formaggio prezioso, dal colore simile all’oro, nella produzione di questo formaggio introdussero lo zafferano, particolarmente diffuso sui mercati veneziani presso i quali si commerciavano prodotti provenienti da ogni parte del mondo. Preparato ancora oggi seguendo la ricetta secolare, è l’unico formaggio dell’arco alpino cui viene aggiunto lo zafferano durante la lavorazione». Un altro formaggio italiano, non alpino, con lo zafferano è il siciliano Piacentinu Ennese Dop, con zafferano coltivato localmente (oltre che grani di pepe). Come si fa il Bagòss? Dopo una o più munte di vacche di razze tipiche della montagna come Bruna, Grigio Alpina, Rendena e Pezzata Rossa, entro massimo due ore si versa il latte nelle ramine, si attende da 10 a 48 ore l’affioramento della panna, la si rimuove con la spannarola e poi questo latte parzialmente scremato viene trasferito in caldéra (la caldaia di rame) e scaldato - a legna o gas - fino a massimo 37-40°C. Poi si interviene con l’innesto (lattoinnesto, sieroinnesto e fermenti selezionati da solo latte, cagliata o siero del territorio), poi si aggiunge il caglio, poi si taglia la cagliata, prima con la spada, poi con spannarola e spino fino a ottenere granuli grandi come chicchi di riso. Proprio al quarto taglio, si aggiunge lo zafferano e la magia della doratura della pasta si compie. Dopo la rottura della cagliata, si cuoce da 47 a 52 °C per circa 10 minuti e dopo la sosta sotto siero e la compressione manuale si estrae la forma di Bagòss dalla caldaia e si pone in fascera di legno, aiutandosi col telo (mastella), poi ci si preme sopra il tondello, disco di legno su cui si pone il peso di una ventina di chili che aiuta il formaggio a spurgare il siero. L’applicazione della fascetta in plastica intorno allo scalzo è la fase successiva, marchia la forma e la contiene mentre la si gira e rigira, salando, per circa un mese, poi via la fascera e parte la stagionatura di almeno 6 mesi durante i quali la forma si raschia (solo all’inizio), si olia con olio di lino e si volta e rivolta. La crosta del Bagòss non è edibile e il Bagòss è anche detto Grana di Brescia: ha varie stagionature, più è stagionato, più è concentrato e duro e perciò in loco è usato anche come formaggio da grattugia. Fresco, si mangia crudo, a tocchi, oppure a fetta grigliato oppure, ancora, nelle note mericonde (o mariconde o mereconde), sorta di canederli di Lombardia o in polenta (vedi box). Il Bagòss, col suo zafferano e quella manciata di malghe «diffuse» poco oltre confine comunale dimostra che il concetto di ingredienti e prodotti del territorio può vantare inclusioni che solo all’apparenza contraddicono il preciso perimetro del territorio: il normale acquisto o uso di un ingrediente proveniente da un altro luogo dà a quell’ingrediente una nuova vita locale. Ciò succede allo zafferano quando incontra il Bagòss (e il riso): non è certamente una spezia nata in Lombardia eppure in Lombardia ha trovato e ha conferito, al Bagòss e non soltanto, pensiamo appunto al risotto alla milanese, una consacrazione iconica senza pari.
(Totaleu)
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