2022-10-16
Xi sempre più leader assoluto in Cina. Ma la testa calda Kim è un problema
Il congresso del Partito comunista dovrebbe confermare l’attuale leader per il terzo mandato: non accadeva dai tempi di Mao. Tra i grattacapi per lui, Taiwan, l’Ucraina e l’inquietante attivismo missilistico di Pyongyang.Ci siamo. Si aprirà oggi a Pechino il ventesimo congresso del Partito comunista cinese: un evento che si preannuncia ricco di implicazioni per la politica interna cinese e per lo scacchiere internazionale. Saranno circa 2.300 i delegati che prenderanno parte al consesso, per selezionare gli oltre 200 componenti del Comitato centrale del partito, il quale sceglierà poi i 25 membri del Politburo. La chiusura del congresso è prevista per il 22 ottobre. Salvo sorprese eclatanti, Xi Jinping dovrebbe ottenere un terzo mandato come segretario generale del partito: se ciò si verificasse, sarebbe la prima volta di un leader cinese che, dopo Mao Zedong, resta in carica per più di due mandati. Secondo Voice of America, non è inoltre escluso che a Xi possa essere formalmente conferito il titolo di «leader del popolo»: anche in questo caso, si tratterebbe della prima volta dai tempi del Grande Timoniere. Un ulteriore elemento atteso dalla maggior parte degli analisti consiste in un significativo rimescolamento dei vertici del partito. Ci si aspetta, in altre parole, che Xi consolidi maggiormente il suo (già notevole) potere interno (soprattutto in seno al Comitato permanente, che -ricordiamolo- risulta il massimo organo decisionale del Pcc). È quindi molto improbabile che al congresso si affronterà (almeno esplicitamente) la spinosa questione di una futura successione all’attuale segretario generale. Attenzione: questo non deve far credere tuttavia che il potere di Xi si stia rafforzando senza crepe e ostacoli. Il presidente ha infatti più di un motivo di preoccupazione. Innanzitutto, da quando è alla guida del Paese dal 2012, l’economia cinese ha registrato risultati meno positivi rispetto alle precedenti presidenze di Hu Jintao e di Jiang Zemin. In secondo luogo, va anche sottolineato che la linea zero Covid, imposta dall’attuale capo dello Stato, ha suscitato un notevole malcontento tra la popolazione e tra alcuni settori del partito (non dimentichiamo che, lo scorso 13 ottobre, si è verificata una rara protesta a Pechino contro il presidente). In terzo luogo, si registra un’attenzione internazionale crescente sulla violazione dei diritti umani in Cina: pensiamo solo alla persecuzione degli uiguri nello Xinjiang o al metodico smantellamento del principio «un Paese, due sistemi» a Hong Kong. Insomma, le criticità non mancano nella rete di potere costruita da Xi. In tutto questo, fioccano i dilemmi internazionali. In primis, troviamo il delicato dossier taiwanese. La tensione tra Washington e Pechino è notevolmente aumentata dopo il viaggio a Taipei effettuato in agosto dalla speaker della Camera statunitense, Nancy Pelosi. Xi ha ordinato le più grandi esercitazioni militari mai condotte nelle acque dell’isola, mentre Joe Biden ha chiesto al Congresso l’ok per fornire ulteriori armamenti a Taiwan. Sulla situazione aleggia inoltre la questione dei microchip, di cui l’isola è tra i principali produttori al mondo: un fattore che fa ovviamente gola tanto a Washington quanto a Pechino. Ora, da una parte l’irresolutezza di Biden e la sua incapacità di esercitare adeguatamente la deterrenza stanno rendendo il Dragone più baldanzoso; dall’altra, Xi teme che un’eventuale invasione dell’isola possa trasformarsi in un pantano militare (con relativi rischi di guerriglia). Nel frattempo, Politico ha riferito l’altro ieri che, in vista dell’apertura del congresso, i funzionari cinesi starebbero cercando di ostacolare l’incontro che dovrebbe teoricamente tenersi tra Biden e Xi al G20 di Bali il mese prossimo. Un secondo dilemma riguarda l’Ucraina. Finora Xi ha mantenuto una posizione ufficialmente ambigua, pur strizzando di fatto l’occhio a Mosca. Il presidente cinese ha d’altronde visto l’invasione russa come uno strumento per scardinare l’ordine internazionale occidentale. Il punto è che, nell’ultimo mese, Xi ha iniziato a mostrare segnali di insofferenza e preoccupazione (si pensi solo al vertice di Samarcanda): è probabile che il leader cinese sia impensierito dalle crescenti difficoltà militari incontrate dalla Russia sul campo. Un elemento che potrebbe portarlo a riconsiderare (almeno in parte) il suo appoggio al Cremlino. Il terzo dilemma riguarda infine la Corea del Nord. Secondo l’intelligence di Seul, è probabile che Pyongyang - dopo il suo recente iperattivismo balistico - condurrà un settimo test nucleare tra oggi e il prossimo 8 novembre (data in cui si terranno le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti). Ora, per Xi si configura un enorme problema all’orizzonte. Se appoggia Kim Jong-un, il presidente cinese rischia di peggiorare ulteriormente le relazioni con Washington e, soprattutto, di ritrovarsi in imbarazzo in sede Onu. Se al contrario si dissociasse dal leader nordcoreano, rischierebbe di indebolire il fronte antiamericano in Estremo oriente, finendo col garantire indirettamente un involontario assist alla Casa Bianca. Per Xi, la strada del prossimo (probabile) mandato è quindi destinata a rivelarsi tutt’altro che in discesa.