
Molti di noi non sanno nemmeno che sia una pianta. Vedono solo la pallina cremosa di colore verde sul piattino al ristorante giapponese, da mescolare con la salsa di soia, e forse credono che sia una specie di maionese o chissà cosa.Nel bel film Il male non esiste del regista giapponese Ryûsuke Hamaguchi, film vincitore del Leone d’Argento a Venezia 2023, il protagonista, boscaiolo, rintraccia del wasabi selvatico mentre prende l’acqua dal ruscello. Il film francese del 2001 sulla yakuza giapponese di Gérard Krawczyk col fascinoso Jean Reno si intitola proprio Wasabi. Tra le tante conoscenze che la diffusione della cultura alimentare giapponese entro i nostri confini ci ha portato non c’è tanto quella del pesce crudo, che già nelle zone di mare italiane si mangiava minoritariamente ma abitualmente: il vero alimento ignoto che abbiamo conosciuto con la globalizzazione alimentare è proprio il wasabi. Molti di noi non sanno nemmeno che sia una pianta. Vedono solo la pallina cremosa di colore verde sul piattino al ristorante giapponese, pallina da cui prelevare una piccola quantità da mescolare con la salsa di soia, e forse credono che sia una specie di maionese o chissà cosa. In realtà, il wasabi è una pianta, per la precisione la Eutrema japonicum della famiglia delle Brassicaceae, la stessa di cavolo cappuccio, cavolfiore, cavolino di Bruxelles, verza, broccolo, però diversamente da questi, che sono del genere Brassica oleracea, il nostro wasabi appartiene al genere Eutrema. La nostra Eutrema japonicum ha anche un nome botanico sinonimo, Wasabia japonica, e un nome popolare, ravanello giapponese. In Giappone, la pianta del wasabi cresce spontaneamente vicino ai fiumi nelle zone fredde, come montagne e valli in quota, infatti il film Il male non esiste, che racconta la storia di un boscaiolo, è ambientato proprio in montagna. Della pianta del wasabi, un po’ come succede con lo zenzero, si grattugia il rizoma, cioè la parte radicale della pianta. Gli usi della pianta sono molteplici. Le foglie fresche e vigorose si usano in insalata, se invece sono vecchiotte stanno bene in una minestra. Tornando alla radice, si grattugia innanzitutto fresca sui piatti. La pasta wasabi vera e propria sarebbe così, grattugiata, compattata e portata subito in tavola, da consumare velocemente perché il wasabi esposto all’aria e alla luce (o cotto) perde la sua piccantezza e anche il suo aroma. Generalmente, si grattugia per essere consumanto al massimo entro uno o due quarti d’ora, tempo dopo il quale comincia la degenerazione gustativa e aromatica. Il wasabi fresco si lavora anche tramite essiccazione, grazie alla quale si ottiene la polvere di wasabi, che si usa per rivestire frutta secca e crackers di riso o per insaporire pani. Con la polvere di wasabi, pura o in aggiunta al wasabi fresco grattugiato, si realizza anche la pasta di wasabi, sia in casa, sia a livello industriale. La polvere di wasabi perde in breve tempo il suo aroma e spesso si usa «rafforzare» la pasta wasabi fatta soltanto con polvere di wasabi con il rafano, una radice molto simile al wasabi, perché gli conferisca l’odore perduto, oppure con l’alga spirulina. Per realizzare la pasta wasabi si usano in particolare due cultivar di Eutrema japonicum, la Daruma e la Mazuma, talvolta si ricorre anche ad altre cultivar. La pasta Daruma Wasabi è di colore verde intenso e di gusto di piccantezza media, la pasta più chiara e di estrema piccantezza è la Mazuma Wasabi, abbastanza rara in Italia e molto diffusa in patria, invece, in Giappone. Inoltre, si possono usare anche i rizomi di specie diverse che somigliano a quella del wasabi, a volte talmente tanto da contenere questa similitudine anche nel nome botanico, come accade alla Cardamine pseudowasabi. Il wasabi, prodotto suscettibile alle sofisticazioni, da questo punto di vista somiglia più allo zafferano, spezia costosissima e perciò spesso contraffatta, che al peperoncino. Spesso, infatti, il wasabi viene falsificato: il vero wasabi in Giappone è detto hon-wasabi. Sentirete chiamare questa pasta di wasabi, color verde fluo, sempre col solo nome della pianta, wasabi. Della pasta wasabi (chiamamola come si deve) basta e avanza letteralmente un cincinin, come si dice: il wasabi è un po’ il peperoncino del Giappone, sta al Giappone come il peperoncino sta alla nostra nazione, in particolare il Sud. Come tutti in Italia sanno che non si deve esagerare con l’assunzione di peperoncino, tutti i giapponesi posseggono la stessa consapevolezza. Un sinonimo di wasabi è infatti anche la parola namida, lacrima, perché se si mangia troppo wasabi si irritano bocca e naso e lacrimano gli occhi. Per lo stesso motivo, non bisogna toccarsi gli occhi con le mani fatte di wasabi. Un po’ come avviene con un eccesso di peperoncino, il nostro organismo reagisce subito al contatto troppo abbonante col wasabi. Di converso, un pochino di wasabi è di aiuto quando si hanno l’influenza, il mal di gola, il raffreddore e la sinusite, anche con catarro, dal quale sgombra le narici. L’effetto guaritore di piccole malattie da raffreddamento è attribuito alle sue capacità antinfiammatorie e antibatteriche. A quest’ultimo proposito, pensate che il wasabi è anche un coadiuvante dell’eliminazione dell’Helicobacter pylori, batterio causa di gastrite e ulcera gastrica. L’effetto antibatterico esercitato dal wasabi, insieme alle sue proprietà digestive, è la ragione per cui esso viene trasformato in pasta che poi si usa per mangiare sushi e sashimi. Nel sushi, che è la pallina di riso sul quale viene poggiato il filetto di pesce crudo, troverete una puntina di wasabi tra riso e pesce, a fare anche da «collante». Nel sashimi, che è il solo filetto di pesce crudo, il wasabi si aggiunge a tavola. Come? Si aggiunge la pasta di wasabi alla salsa di soia e si mescola ottenendo una salsa di soia e wasabi nella quale poi si intingeranno il sushi e il sashimi, perché il wasabi aiuta a digerire il pesce crudo e lo «disinfetta». Gli effetti digestivi del wasabi sono sfruttati anche attraverso il cioccolato: due tocchetti di cioccolato al wasabi a fine pasto rappresentano un dolcetto semplice, meno calorico di una bella fettona di torta di pasticceria, che in più aiuta la digestione. Lo stesso principio si applica agli snack da aperitivo ricoperti da una glassatura al wasabi, come le arachidi al wasabi, i piselli secchi al wasabi o i crackers di riso al wasabi già nominati che si trovano facilmente anche nei nostri supermercati. Oltre a questa capacità, al wasabi sono riconosciute quelle di depurare il fegato e di contrastare la ritenzione idrica, i calcoli renali e le infezioni urinarie. Il wasabi è quindi anche utile per prevenire ritenzione idrica e cellulite. Altro potere del wasabi è quello di potenziare la circolazione sanguigna, con un effetto termogenico la cui conseguenza è quella di aumentare la sudorazione e favorire il dimagrimento oltre a, per esempio, abbassare eventuali febbri. Il wasabi è anche un antidolorifico e sul dolore ha anche un altro effetto molto particolare: pare aumentarne la soglia di resistenza, ecco perché fa bene a chi soffre di patologie con un’importante quota di dolore fisico, da alcune malattie autoimmuni ai dolori reumatici, passando per dolori occasionali di varia origine. Abbassa i livelli di glicemia alti e anche quelli di colesterolo «cattivo» Ldl.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.