2024-02-24
Ursula «stravede» per le aziende tedesche
Ursula von der Leyen (Ansa)
Il 20% delle imprese incontrate dal presidente della Commissione è del suo Paese. Seguono gruppi Usa, francesi e svedesi. A Bruxelles negli ultimi 5 anni i vertici con lobbisti e imprenditori sono triplicati. E ora che vuole la rielezione accelera ancora.In Polonia la presidente della Commissione Ue sblocca 134 miliardi di fondi per il governo «amico» di Donald Tusk.Lo speciale contiene due articoli.Ursula von der Leyen una ne pensa e cento ne incontra (di aziende): ora che è ufficialmente in campagna elettorale per il secondo mandato alla guida della Commissione europea, la presidente uscente sta moltiplicando i colloqui con i boss delle grandi imprese del continente e lobbisti. Lo rivela Politico.eu, con un’inchiesta che squarcia il velo dei soliti discorsi demagogici di qualunque esponente politico in campagna elettorale e va direttamente al sodo, snocciolando i dati delle riunioni alla quali la Von der Leyen ha presenziato, e paragonandole con quelle del suo predecessore. «Le informazioni sulle lobby», scrive Politico, «suggeriscono che la porta della Von der Leyen a Bruxelles è stata più aperta alle aziende tedesche durante il suo primo mandato». Tra il 2019 e il 2024, in particolare, Ursula von der Leyen e il suo governo hanno incontrato gruppi e compagnie di varie nazionalità. Al primo posto con il 18,4% ci sono imprese della Germania, patria di Ursula; seguono gli Stati Uniti con il 13,9% di riunioni; al terzo posto aziende e compagnie francesi, con il 13,1% delle riunioni; al quarto gli svedesi con il 9,3%; a seguire belgi (5,9%), olandesi (5,9%), danesi (4,8%), britannici (4,5%), italiani (4%), finlandesi (3,7%), spagnoli (3,7%), e via così. Il lussemburghese Jean-Claude Juncker, predecessore della von der Leyen al vertice della Commissione, nel corso del suo mandato, tra il 2014 e il 2019, ha incontrato solo 61 organizzazioni rispetto alle 163 della von der Leyen. Se il primo posto in termini di tempo riservato dalla von der Leyen e dal suo governo alle imprese tedesche non sorprende, considerato che la Germania è la più grande economia europea, fa impressione che al secondo posto ci siano gli Stati Uniti. «Non per niente Washington è una grande fan della Von der Leyen», commenta non senza ironia Politico, sottolineando quello che gli osservatori sanno molto bene: Ursula, come abbiamo avuto modo di constatare in questi due anni di guerra tra Russia e Ucraina, è stata molto attenta agli ordini che arrivavano dalla Casa Bianca, portando l’Europa a sostenere militarmente Kiev con investimenti di miliardi e miliardi di euro. Del resto, inutile essere ipocriti, in Occidente funziona così: se un governo vuole durare, deve seguire agli Stati Uniti, e evidentemente la Von der Leyen ha intenzione di durare altri cinque anni al vertice dell’Europa, e così, oltre ad allinearsi sulle strategie geopolitiche, non fa attendere troppo i lobbisti e gli industriali Usa che la vogliono incontrare. Come potete facilmente intuire, anche le giravolte sul green sono accompagnate da sostanziosi meeting con gli affari al centro dei colloqui: «La Von der Leyen», scrive Politico, «si sta facendo in quattro per ridurre i piani di regolamentazione, sia per il clima che per la salute umana che erano una parte fondamentale del suo programma. Martedì scorso, ad Anversa, si è intrattenuta con gli amministratori delegati delle grandi imprese che hanno presentato il loro piano per una nuova politica industriale guidato dal Cefic. Le informazioni dall’interno della sala erano scarse, ma dalle dichiarazioni della Von der Leyen sappiamo che la presidente sembra preferire la compagnia del settore privato: il 72% delle organizzazioni con cui si è incontrata erano aziende o associazioni di categoria». Il Cefic, acronimo del francese Conseil européen des fédérations de l’industrie chimique, è il Consiglio europeo delle industrie chimiche, e rappresenta 29.000 grandi, medie e piccole compagnie chimiche in Europa. «La Von der Leyen tiene incontri con una vasta gamma di associazioni imprenditoriali e rappresentanti dell’industria», ha dichiarato la portavoce della Commissione Arianna Podesta, che ha citato i regolari colloqui della presidente con i sindacati e l’associazione Business europe durante i vertici sociali tripartiti, nonché i dialoghi sulla transizione pulita. La portavoce, riferisce Politico, ha tuttavia sottolineato che gli incontri con la Von der Leyen e il suo gabinetto «non sono fissati in considerazione del Paese in cui si trovano. Le riunioni della Presidente e del suo Gabinetto riflettono pienamente le priorità politiche della Commissione», ha dichiarato. La transizione tecnologica della Ue è una di queste priorità, ha aggiunto la Podesta, evidenziando come molti degli incontri della Von der Leyen si sono svolti anche durante l’epidemia di Covid, quando la «nazionalità dei partecipanti non ha giocato alcun ruolo, ma solo la loro rilevanza per le azioni che la Commissione deve intraprendere». E il resto della Commissione? Il commissario per il Mercato unico Thierry Breton, francese, «si incontra in modo sproporzionato con altri dirigenti francesi», rivela Politico, che pubblica un grafico nel quale si vede che Breton ha riservato la maggior parte dei suoi incontri ai compatrioti, poi ai tedeschi e molto meno agli americani. In sostanza, siamo di fronte a una attività frenetica, che non ha certamente nulla di illegale, ma che dice molto di come Ursula von der Leyen e il suo governo abbiano agende piene zeppe di incontri e riunioni con gruppi industriali e lobbisti. È la politica, bellezza, e non possiamo farci niente. O quasi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/von-der-leyen-elezioni-candidatura-2667353572.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-in-polonia-aiuta-il-governo-amico-sbloccati-134-miliardi-di-fondi-ue" data-post-id="2667353572" data-published-at="1708722828" data-use-pagination="False"> E in Polonia aiuta il governo amico: sbloccati 134 miliardi di fondi Ue La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato ieri che la Commissione sbloccherà i 134 miliardi di euro destinati alla Polonia, la cui erogazione era bloccata da tempo per le presunte violazioni delle regole europee sullo stato di diritto da parte del precedente governo. Da Varsavia, dove ha parlato in conferenza stampa assieme al nuovo premier polacco Donald Tusk e al presidente di turno dell’Ue, il belga Alexander De Croo, von der Leyen ha detto che «La prossima settimana il Collegio presenterà due decisioni sui fondi europei attualmente bloccati per la Polonia». I fondi in via di sblocco sono relativi a due tipi di finanziamento, quello per le politiche di coesione, per 74 miliardi, e quello relativo al Recovery & resilience Fund per altri 60 miliardi. Si tratta di cifre che sinora non hanno influito sulle finanze pubbliche della Polonia, poiché si tratta di impegni di spese future su un arco temporale che arriva al 2030. Per quanto riguarda il programma Rrf, si tratta del Pnrr polacco, per il quale già a dicembre, pochi giorni dopo la formazione del nuovo governo, il premier Donald Tusk si era affrettato a chiedere l’erogazione della prima tranche di 6,3 dei 60 miliardi complessivi a disposizione di Varsavia, tra sovvenzioni e prestiti. «Questa è una grande notizia per il popolo polacco e per l’Europa, e questo è il vostro risultato», ha detto von der Leyen, rivolgendosi a Tusk. I fondi diretti alla Polonia erano stati bloccati negli anni scorsi in relazione alla riforma del sistema giudiziario attuata dal precedente governo, guidato dal partito Diritto e Giustizia (PiS). La Commissione aveva chiesto al governo polacco di ritirare le riforme per ripristinare l’indipendenza della magistratura. Ma sinora Varsavia non aveva convinto la Commissione sbloccare i fondi. Il miracolo è riuscito al neo-premier Tusk, che a dicembre ha presentato un piano d’azione, ancora non attuato, con ben nove provvedimenti che modificheranno sostanzialmente, quando saranno attuati, il sistema giudiziario polacco secondo i dettami di Bruxelles. I rapporti tra Varsavia e Bruxelles dunque sembrano avviati alla distensione, dopo anni di confronti aspri tra il governo del partito conservatore PiS, durato otto anni, e la Commissione a guida von der Leyen. Il nuovo governo di centro-sinistra sembra certo più affine al corso politico dell’Unione. La mossa della Presidente della Commissione, dal punto di vista politico, è perfettamente comprensibile. Con lo sblocco dei fondi, von der Leyen aiuta a rafforzare internamente un governo gradito a Bruxelles, quello di Donald Tusk, da poco al potere sulla base di una maggioranza politica fragile nel paese. Niente di meglio di una iniezione di spesa pubblica per tenere a galla l’economia e generare consenso (la Polonia è un percettore netto di fondi dall’Unione europea). Allo stesso tempo, von der Leyen si assicura il supporto della Polonia nella sua corsa per ottenere un secondo mandato come presidente della Commissione. Già lunedì scorso, infatti, Tusk aveva annunciato che il suo partito, Piattaforma Civica (che al Parlamento europeo è nel gruppo del Ppe) sosterrà la candidatura di von der Leyen come presidente della prossima Commissione, dopo le elezioni del prossimo giugno. Manovre di reciproca sponda, insomma, che sollevano più di qualche dubbio sulle tanto celebrate «regole» europee e sulla discrezionalità di cui palazzo Berlaymont fa ampio uso. Proprio due giorni fa la Corte dei conti europea aveva sottolineato come il blocco dei fondi alla Polonia non sia stato deciso sulla base del regolamento sullo stato di diritto, sollevando dubbi sulla trasparenza delle decisioni della Commissione. Oltre alla personale campagna elettorale di Ursula von der Leyen, sulla decisione di sbloccare i fondi alla Polonia ha pesato certamente anche la guerra tra Russia e Ucraina. La Polonia è a ridosso della prima linea del conflitto e all’Unione europea (e alla Nato) serve che Varsavia non defletta dal sostegno alla difesa ucraina.
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Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
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