2025-11-26
Volkswagen in Cina: un’auto ci costa la metà
Il colosso tedesco sta licenziando in Germania ma è pronto a produrre le vetture elettriche a Pechino per risparmiare su operai, batterie e materie prime. Solito Elkann: spinge sull’Ue per cambiare le regole green che ha sostenuto e sul governo per gli incentivi.È la resa totale, definitiva, ufficiale, certificata con timbro digitale e firma elettronica avanzata. La Volkswagen – la stessa Volkswagen che per decenni ha dettato legge nell’industria dell’automobile europea, quella che faceva tremare i concorrenti solo annunciando un nuovo modello – oggi dichiara candidamente che intende spostare buona parte della produzione di auto elettriche in Cina. Motivo? Elementare: in Cina costa tutto la metà. La manodopera costa la metà. Le batterie costano la metà. Le materie prime costano la metà. Persino le illusioni costano la metà.A Wolfsburg devono essersi guardati allo specchio e aver capito che la rivoluzione elettrica, così come l’ha disegnata Bruxelles, è come una dieta a base di nulla. Siamo all’assurdo: si licenzia in Germania per produrre in Cina un’auto che in Europa non vuole nessuno.Volkswagen licenzia in Germania perché conviene produrre in Cina un’auto elettrica destinata a un mercato europeo che si è già stufato dell’auto elettrica. L’elettrica in Europa tira come un trattore in tangenziale: ingombrante e fuori posto. Il presidente Oliver Blume in una nota annuncia tagli per 6 miliardi: «I costi di un nuovo modello, in alcuni progetti chiave, possono essere ridotti fino al 50%» rispetto a quelli europei, grazie ai fornitori locali e alle infrastrutture cinesi. Le nuove strutture di Hefei contribuiscono inoltre a ridurre del 30% i tempi di sviluppo dei veicoli elettrici.È il punto più basso dell’industria continentale da ottant’anni a questa parte. Il campione tedesco, simbolo del miracolo produttivo, che scappa dall’Europa come uno stagista che non sa me funziona la fotocopiatrice.E il bello è che ce lo raccontano come una scelta inevitabile, razionale, «necessaria per la competitività globale». La realtà è semplice: l’Europa ha imposto l’elettrico come una religione, mentre il resto del mondo produce e compra ciò che serve davvero, a Bruxelles hanno deciso che l’elettrico era il nuovo Vangelo. Peccato che fuori dalla cattedrale europea il mondo continui a muoversi con ben altre liturgie.Gli Stati Uniti controllano tecnologia e semiconduttori. L’Europa controlla i comunicati stampa. Ed eccoci qui: Volkswagen prepara i biglietti di sola andata per Shanghai. I manager studiano mandarino più velocemente di quanto i loro operai imparino a leggere la lettera di licenziamento. È la prima volta nella storia della Volkswagen che i veicoli possono essere costruiti interamente al di fuori della Germania. Blume spiega che l’intenzione è quindi «consolidare in modo duraturo» la posizione di Volkswagen nel più grande mercato automobilistico al mondo nonostante i dazi americani e la lentezza del mercato europeo. In Italia si consuma la liturgia parallela: John Elkann, il presidente «globale e minimalista», come lo definisce chi ha fantasia, spunta davanti alle telecamere e chiede ancora aiuti e una cambio delle regole Ue che lui aveva spinto.L’industria automobilistica italiana sembra il Telethon permanente: ogni due mesi c’è una nuova raccolta fondi.Ieri a Mirafiori presentano la nuova 500 ibrida, la foglia di fico di un gruppo che con l’elettrico cerca di salvare la faccia, ma con il termico non sa come salvare i conti. È la tattica da mezzala stanca: buttare la palla avanti e sperare che succeda qualcosa.L’Europa dell’auto è finita. È finita quando ha deciso che l’innovazione si fa con il moralismo. È finita quando ha lasciato ai cinesi tutto ciò che conta davvero: batterie, litio, terre rare, produzione di massa. È finita quando il suo campione tedesco – Volkswagen – ha dichiarato fallimento culturale, industriale e simbolico. Il quadro è tragicomico: l’Europa non produce più batterie; non controlla materie prime; non ha costosissime gigafactory ma solo costosi annunci; e ora non ha nemmeno più gli stabilimenti, perché le aziende se li portano dove conviene. È come guardare un chirurgo che, a forza di austerità, decide di operare senza bisturi. Poi si lamenta del risultato.Volkswagen scappa in Cina. Elkann chiede soldi pubblici. L’Europa promette incentivi. Gli acquirenti vogliono ibride. Le case automobilistiche vogliono Cina. La Commissione vuole elettrico. I tedeschi vogliono lavoro. Gli italiani vogliono modelli, non editoria finanziata. E i cinesi... vogliono tutto il mercato.
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Federico Cafiero De Raho (Ansa)