2024-07-16
Le vittime sono tali solo se di sinistra
Gli omaggi floreali lasciati in memoria vicino a una fotografia della parlamentare britannica Jo Cox assassinata il 16 giugno 2016 (Ansa)
Da Jo Cox, deputata inglese assassinata «invano» secondo Gianni Riotta per il «sì» alla Brexit, al sindaco di Danzica che ha reso la città un paradiso Lgbt: i migliori che se ne vanno, stanno sempre da una parte. Mentre quelli di destra sono sistematicamente i «cattivi».Il corrispondente (cieco) della Bbc becca il supporter che ha visto tutto. Gary O’Donoghue prima racconta da sdraiato le fucilate e poi intervista il testimone oculare.Lo speciale contiene due articoli.Ancora una volta, ci frega quel barlume di buon senso. Una pallottola resta una pallottola. Attentare alla vita di un politico è abominevole. Destra o sinistra non importa. Giusto? Invece, pare che sparare a un leader non sia sempre così esecrabile. Anche nei momenti più oscuri, l’impero del bene progressista riesce a dare patenti di eroismo solo ai meritevoli. I buoni dalla parte giusta. E i cattivi da quella sbagliata. Ci sono feriti e feriti, vittime e vittime… Vedi l’audace commento vergato su X da Gianni Riotta, già pluridirettore e ora editorialista della Stampa. Un post laconico ed esemplificativo in memoria di Jo Cox, la deputata laburista uccisa il 16 giugno del 2016 durante la campagna elettorale. Morì «invano», ricorda il giornalista, e riposi in pace. Riotta, dunque, incautamente teorizza: il sacrificio della fiera europeista sarebbe stato inutile, visto il voto favorevole del paese alla Brexit una settimana dopo l’omicidio. Se avesse vinto il «Remain», è l’audace tesi, sarebbe almeno morta per un buona causa. A differenza di Trump, sembra. Tentiamo allora di indovinare il taciuto e spericolato contrappasso: l’ex presidente americano, al contrario, è stato ferito perché sostiene la causa sbagliata.Ecco, ci risiamo. Il solito, trito e ritrito, doppiopesismo dei benpensantoni. Un manicheismo che omette l’avvilente evidenza: sparare alla gente è comunque sbagliato. Jo Cox è diventata, giustamente, un’eroina della democrazia. Persino la Camera dei deputati italiana, guidata in quella legislatura da Laura Boldrini, nel 2016 intitola alla politica inglese la Commissione parlamentare su intolleranza, xenofobia, razzismo e fenomeni di odio. E le dedicano, ancora oggi, borse di studio universitarie. O premi di laurea alla memoria, come quello della fondazione Astrid, guidata dall’ex ministro diessino, Franco Bassanini. Senza dimenticare i sentiti panegirici, all’epoca, della stampa italiana.Costretta a ripetersi, due anni e mezzo dopo, quando l’Europa viene scossa da un altro omicidio politico: Pawel Adamowicz, sindaco di Danzica, città polacca, viene accoltellato da un oppositore a gennaio del 2019. Adamowicz è un uomo di simpatie progressiste e liberali, molto critico nei confronti del governo di centrodestra al potere in Polonia. Ma è, soprattutto, un sostenitore di migranti, rifugiati e comunità Lgbtq+. «Era il volto della Polonia aperta sul Baltico e al mondo, la Polonia che ha combattuto per la libertà e che a quella libertà non rinuncia», ricorda Il Corriere della sera. «Un omone simpatico e preparato, politico moderno e molto popolare», aggiunge Il Foglio. Ha trasformato Danzica «in un luogo aperto, ricco di cultura, tollerante, vicino all’Europa».Un trattamento, ovviamente, mai riservato ai mefitici puzzoni di destra, che altri svalvolati hanno tentato di far fuori negli ultimi anni. Lo scorso maggio il premier slovacco, Robert Fico, viene colpito da quattro pallottole sparate da un pensionato di idee progressiste. Ricoverato in gravi condizioni, è operato d’urgenza. Dopo l’attentato, arriva comunque l’inclemente ritrattone di Repubblica, eloquente già dal titolo: «Chi è Robert Fico, il premier slovacco accusato di ‘ndrangheta tra l’amicizia con Putin e la guerra ai giornalisti». Già, chi è? «Il primo ex comunista ad aver (ri)conquistato il potere scippando le bandiere della destra, diventando ferocemente nazionalista, xenofobo, complottista, omofobo e no vax». Grande ammiratore di Vladimir Putin, per giunta. Ma c’è un «altro primato triste», aggiunge il quotidiano. «Sei anni fa è stato costretto a dimettersi a furor di popolo dopo l’omicidio di un giovane giornalista d’inchiesta, Ján Kuciak, che indagava sui legami tra l’entourage del primo ministro e le ‘ndrine». Insomma: sarebbe un Viktor Orbán, spietato collega magiaro, in sedicesimi. Anzi, peggio: «È forse il più opportunista e il più sanguigno degli autocrati dell’Est che hanno sfidato in questi anni l’Europa». Mentre Fico rischia la pellaccia, Repubblica ricorda pure il suo soprannome: «Red Bullo, per i modi spicci e l’insulto facile». Nessun commento sull’attentatore, invece. Ai giudici spiegherà: non voleva uccidere il primo ministro, ci mancherebbe, ma solo «danneggiare la sua salute» per evitare l’invio di aiuti militari all’Ucraina.L’altro «impresentabile» vivo per miracolo è Jair Bolsonaro. A settembre 2018, un mese prima di diventare presidente del Brasile, viene accoltellato all’addome mentre saluta la folla. Il sito del Corriere della sera ripubblica, dunque, il suo spietato ritratto: «Sostiene ed esalta, quasi fosse una parodia dell’ultrà di destra, l’intero armamentario dell’impresentabile: armi libere per tutti i cittadini, pena di morte, cure mediche ai gay, voglia di militari al potere, donne zitte e al loro posto, torture agli spacciatori e quanto d’altro gli passa per la testa».Viene identificato l’aggressore. È un quarantenne che assicura di aver agito «per ordine di Dio». Il Corriere, in un articolo a corredo, però informa: «Non mancano i dubbi, sulla possibilità che questa aggressione possa diventare oggetto di propaganda da parte dei sostenitori di Bolsonaro. In rete viene fatto notare come avesse partecipato, nei giorni scorsi, a una riunione con i proprietari di O Globo, uno dei maggiori quotidiani brasiliani. Inoltre, suscita perplessità il fatto che, inizialmente, fonti vicine al candidato abbiano parlato di ferite lievi». Ricorda qualcuno?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vittime-tali-solo-di-sinistra-2668751473.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-il-corrispondente-cieco-della-bbc-becca-il-supporter-che-ha-visto-tutto" data-post-id="2668751473" data-published-at="1721081841" data-use-pagination="False"> E il corrispondente (cieco) della Bbc becca il supporter che ha visto tutto Nella cascata americana di notizie, smentite, immagini, dichiarazioni relative all’attentato ai danni di Donald Trump che negli ultimi due giorni si sono rincorse ribollendo tra giornali, social e televisioni, lo scoop più grande lo ha messo a segno il cronista britannico della Bbc, Gary O’Donoghue, con un’intervista a un testimone oculare: lattina in mano, cappellino da baseball rosso dei repubblicani, già usato per la scorsa campagna elettorale (la scritta «Trump 2020» è stata corretta col pennarello nero a cancellare l’ultimo zero per trasformato in quattro). Durante il comizio di Butler, altrimenti ignota cittadina di neanche 14.000 abitanti nella Pennsylvania occidentale, 50 km a Nord di Pittsburg, l’uomo (nel servizio, viene chiamato Greg) aveva denunciato al servizio d’ordine preposto alla tutela dell’ex presidente la presenza di un losco figuro. «Strisciava come un orso sul tetto dell’edificio accanto, a pochi metri di distanza», ha poi ammesso al microfono di O’Donoghue, trafelato e scompigliato anch’esso per le fucilate. Esclusiva incassata: la voragine nel sistema di sicurezza e sorveglianza del tycoon candidato alla Casa Bianca è stata documentata. Unico, piccolo dettaglio di tutta la vicenda: Gary O’Donoghue è cieco. Omone alto e dal volto simpatico, un po’ corpulento, Gary O’Donoghue ha alle spalle un passato non sempre facile, ma, a suo dire, anche avvincente e stimolante. Cinquantacinque anni, è ipovedente sin dalla nascita e, all’età di 8 anni, perde completamente la vista. Proviene da una famiglia come tante di quel ceto medio non particolarmente facoltoso: padre giocatore semiprofessiniosita di calcio, madre insegnate di ballo da sala. Quando la sua condizione peggiora, viene mandato a frequentare una scuola per ciechi a Worchester (nel cuore dell’Inghilterra), dove riesce anche a giocare nella squadra di calcio inglese per non vedenti; poi frequenta l’università di Oxford, dove studia filosofia e lingue moderne. In una recente intervista O’Donoghue ha ammesso: «Quando ero giovane mia madre ha avuto delle difficoltà perché, a quei tempi, non c’era molto sostegno per i genitori con figli disabili o ciechi. Un paio di anni fa mi ha detto che, quando le cose si erano messe male, aveva pensato seriamente di farla finita. Penso che sia una cosa molto coraggiosa da dire al proprio figlio. Dev’essere stato un periodo piuttosto buio». Oggi, molto tempo dopo i suoi esordi giornalistici, O’Donoghue è un brillante e affermato corrispondente per il Nord America della Bbc News da ormai dieci anni. Da allora ha coperto la politica statunitense e la presidenza di Donald Trump e quella di Joe Biden. Nel corso della sua pluriennale carriera non ha mai smesso di diffondere consapevolezza sulle opportunità di lavoro fra le persone disabili, dimostrando con la sua stessa attività che il coraggio e l’impegno possono arginare anche i più grandi impedimenti fisici. «Le persone disabili possono essere vittime della nostra cultura avversa al rischio. Quando sono entrato alla Bbc, sono andato in Macedonia durante la guerra del Kosovo. Anche se c’era ogni tipo di addestramento, non sono sicuro che oggi sarebbe così facile». La Bbc è orgogliosa delle sue politiche «inclusive e antidiscriminatorie». Ma O’Donoghue resta l’unico giornalista non vedente della Gran Bretagna.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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