2025-02-04
Dopo aver distrutto tradizione e autorità la sinistra rimpiange la virtù dell’obbedire
Vito Mancuso, teologo (Getty Images)
Vito Mancuso «corregge» don Milani ed elogia la disciplina. Ma non capisce che il ribellismo ha prodotto conformismo.Ogni tanto qualcuno si desta dal sonno e si accorge con sgomento di ciò che non va nel mondo. È il caso del teologo Vito Mancuso il quale, dopo anni passati a celebrare i pensatori eterodossi e a contestare la gerarchia ecclesiastica, ha deciso un bel giorno di lanciarsi in un elogio della disciplina e dell’obbedienza, virtù di cui a suo dire la nostra società oggi difetta. Un tentativo acrobatico ma tutto sommato riuscito, benché completamente privo di una analisi delle cause del disastro odierno. Egli sostiene, sulla Stampa, che ai tempi di don Milani fosse sacrosanto sostenere che «l’obbedienza non è più una virtù». Ma oggi, dopo che il Sessantotto ha confuso mortalmente disobbedienza e libertà, occorre fare un passo indietro.«Nel mondo della scuola e nella maggioranza delle famiglie, e in genere nei rapporti sociali non necessitati dalla logica economica, l’obbedienza stenta a essere rispettata e la disciplina latita», lamenta Mancuso. «Ce ne accorgiamo anche solo camminando per strada o guidando nel traffico. E quanto più scende l’età delle persone, tanto più sale l’indisciplina. Lo manifesta già il linguaggio, dove è sempre più raro trovare giovani che diano del lei a chi ha più anni di loro». Certo l’effetto di queste parole è un po’ quello ottenuto dal nonno nevrotico che rotea il bastone, ma c’è ovviamente molta verità in ciò che Mancuso sentenzia.«È importante per un essere umano saper rispettare la disciplina?», si chiede il teologo. «È meglio essere disciplinati o indisciplinati? Il termine disciplina deriva da uno dei verbi più nobili dell’attività umana, discere, in latino imparare. Da qui viene anche il termine discepolo e il significato di disciplina in quanto materia di studio, quando per esempio diciamo di un fisico che la meccanica quantistica è la sua disciplina. Evidente a livello filologico, il legame tra imparare e disciplina lo è ancora di più a livello esperienziale: tutti noi sappiamo bene infatti che senza disciplina non esiste studio fruttuoso, non si impara a suonare a dovere uno strumento, non si fa carriera nello sport, non si procede in genere nella vita in modo stabile e duraturo».Di nuovo, tutto giusto. Mancuso coglie nel segno quando attribuisce alla mancanza di disciplina il fatto che in Occidente diminuisca «progressivamente il numero di coloro che leggono e che leggendo capiscono, e che si assiste al cosiddetto analfabetismo di ritorno. La cultura non è gratis, non è fatta di emozioni e di chiacchiere, ma di dati, concetti, metodi e argomentazioni, e senza lo studio e la relativa disciplina per attuarlo, la cultura non c’è. Il legame etimologico tra disciplina e discere attesta che l’obbedienza è condizione sine qua non per imparare». Dovremmo aggiungere a questo ragionamento per lo meno un pensiero sulla fatica, e sulla generalizzata indisponibilità ad affrontarla, atteggiamento parecchio agevolato dalla rivoluzione tecnologica. Ma il punto chiave è un altro. Esso, dice giustamente Mancuso, «concerne la domanda “a chi” vada prestata obbedienza. La mia risposta al riguardo», spiega il teologo, «è abbastanza prevedibile e consiste nel sostenere che va prestata alla legittima autorità, sostenendo altresì che a un’autorità che abbia perso la sua legittimazione non va più prestata alcuna obbedienza. L’obbedienza, cioè, non è una virtù assoluta, perinde ac cadaver come sant’Ignazio di Loyola voleva l’esercitassero i suoi gesuiti; no, l’obbedienza è relativa, in relazione cioè a una persona o a un’istituzione, e se questa persona o questa istituzione non sono più fedeli al loro compito, se cioè non obbediscono a loro volta, non meritano più la nostra obbedienza. Un’autorità perde la sua legittimazione quando non serve più lo scopo per il quale è stata costituita, ovvero quando non è essa stessa in prima persona a obbedire al suo compito». La grande questione dei nostri tempi è tutta qui. Già è abbastanza curioso che dal fronte progressista - al quale senz’altro Mancuso appartiene - arrivino oggi lagnanze sulla mancanza di disciplina, dopo che per decenni quell’universo culturale ha provveduto a demolire ogni forma di autorità, soprattutto spirituale. Ma è decisamente irritante che arrivino inviti all’obbedienza a corrente alternata. Il sistema in cui ci troviamo immersi - anche grazie alla patina sinistrorsa di cui si è ammantato negli anni - ha fatto della ribellione una sorta di comandamento. Le regole, ci viene ripetuto, vanno infrante. A patto che l’ordine infranto sia quello naturale o quello disegnato dalle «grandi narrazioni». Quando invece si tratta di sfuggire alle imposizioni delle autorità politiche dominanti, beh, la faccenda si fa più complicata.A ben vedere, siamo ormai in una fase successiva a quella descritta da Mancuso, il quale confonde disciplina e obbedienza. Se è vero che siamo tendenzialmente indisciplinati e disordinati, pigri e caotici, ciò non significa che siamo disobbedienti, anzi. La ribellione è divenuta di massa, e dunque di fatto non esiste, o comunque è essa stessa una forma di condizionamento. Ci è concesso di ribellarci a un passato che comunque non ritornerà, a una tradizione che è già stata colpita a morte, a leggi e regole che il sistema ha già intenzione di cancellare. Per il resto si obbedisce fin troppo. La maleducazione diffusa di cui Mancuso si lamenta si accompagna a una remissività pressoché totale: a scendere in piazza e ribellarsi sono minoranze sempre più sparute e marginali, per il resto prevalgono inerzia e sconforto. Non esiste più un potere paterno a cui contrapporsi con slancio e giovanile ebbrezza: c’è un caldo ventre di madre perversa che anestetizza, seda e elimina il conflitto. L’insubordinazione a tutto ciò sarebbe più che auspicabile, ma non si verifica perché, appunto, non esiste più un quadro metafisico di ideali, senza il quale rifiutare le imposizioni è impossibile. Disobbedire significa disconoscere il quadro prevalente e tentare di trascenderlo in nome di qualcosa di più forte e significativo. Ma questo significato oggi ci sfugge. Siamo quindi indisciplinati ma in fondo (e forse proprio per questo) molto obbedienti. Don Milani ha vinto, e ora sappiamo che mentiva: non voleva renderci meno sottomessi, voleva semplicemente che cambiassimo padrone.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.