2022-07-31
Vince il centrodestra? Con Nato e Ue l’Italia non sarà più una Cenerentola
Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Ansa)
Le posizioni passive degli ultimi governi nei confronti di Francia, Germania e Alleanza atlantica spariranno. Curerà i nostri interessi con politiche di convergenza. E impedirà che le nazioni si pieghino ai diktat di altre.La propaganda elettorale delle sinistre sta sventolando il pericolo che un centrodestra vittorioso sposti la collocazione internazionale dell’Italia in divergenza con l’Ue e con la Nato. Pur comprendendo il ricorso a tattiche di demonizzazione come strumento di consenso, va annotato che l’enfasi su questo tema da parte della sinistra interna, che sta sollecitando la complicità di quella estera, sia un «alza la palla» per quei governi che hanno l’interesse a tenere l’Italia sotto scacco e caricarla di handicap nel momento in cui un eventuale nuovo governo di centrodestra inizi a lavorare sulle relazioni intraeuropee, sia potrebbe creare un «rischio Italia» del tutto artificiale agli occhi degli investitori internazionali, cioè di future instabilità e divergenza dall’ordine fiscale. Pertanto le sinistre e i media di area dovrebbero riflettere sul danno che stanno provocando all’Italia (tutta) usando un linguaggio che induce gli osservatori esteri a valutarla come zona non sicura per il capitale di investimento, esposta al fascismo e a divergenze di tipo argentino dall’ordine finanziario europeo e chissà a quale altra turpitudine. Ma qual è il profilo più probabile di politica estera di un’Italia eventualmente governata dal centrodestra? Secondo chi scrive sarà, in caso, quello di far contare di più l’Italia nelle sue due alleanze principali (Ue e Nato) per renderle migliori moltiplicatori della forza nazionale. Pertanto l’eventuale nuovo governo non divergerà, ma cercherà di rafforzare la posizione dell’Italia nell’alleanza euroatalantica entro uno schema di convergenza consolidata. Questo è il punto: i governi di sinistra hanno sempre tenuto l’Italia in una posizione «ascara» nei confronti di Francia e Germania e in una troppo passiva nella Nato. Sintetizzando, la sinistra ha accettato l’idea che l’Italia sia governata dall’esterno e tenga una posizione nella Nato adeguata ad un profilo demilitarizzato, senza negoziare maggiori investimenti per la sicurezza del Mediterraneo. Probabilmente un governo di centrodestra, orientato a definire l’interesse nazionale, cercherà più vantaggi per l’Italia nel ciclo di scambio con le alleanze. Ma lo farà - qui il punto - entro un’azione di convergenza e non di divergenza. Da dove, chi scrive, ricava questa sensazione? Conversazioni personali a parte, dalla logica: l’Italia ad alto debito e senza sovranità monetaria non può divergere da Ue ed Eurozona perché la sua economia pagherebbe un prezzo depressivo insostenibile. Così come non esiste la possibilità di divergenza con gli Stati Uniti essendo questi i protettori dell’Italia anche nei confronti di Francia e Germania ed essendo Roma il cuneo atlantista entro l’Ue. Appare molto improbabile che un governo di centrodestra non operi entro tale quadro di realismo: quindi l’idea che possa divergere è veramente forzata. Andiamo però al punto dove la sinistra si sente forte e percepisce la destra vulnerabile: il sovranismo. Questo termine ha un significato artificiale perché vorrebbe distinguere gli europeisti confederalisti da chi non lo è, i secondi con una connotazione retrograda e poco istruita. Ma il contrario di «sovranismo» è «cessionismo», anzi in Italia «autoannessionismo» alla diarchia franco-tedesca. La posizione del centrodestra, facendone una media, è quella di un’Europa dove le nazioni si sentano comode. Inoltre la realtà mostra come tutte le nazioni dell’Ue siano estremamente puntute nel difendere i loro interessi nazionali e molto riluttanti nel concedere a un agente europeo cessioni di sovranità. In tale ambiente, la giusta (perché realistica) architettura, prima di tentare una confederalizzazione, è quella basata sul principio di «sovranità nazionali reciprocamente contributive». La moneta unica richiederà una confederalizzazione che crei una politica fiscale comune senza la quale la moneta stessa resterebbe zoppa e a rischio di dissoluzione. Ma per arrivarci è necessario un passaggio intermedio dove ogni nazione possa adattarsi all’europeizzazione senza percepire danni al proprio interesse nazionale. E infatti, guardando le prassi dell’Unione, questo è il modello tendenziale corrente che ripristina per necessità (compromessi) il «funzionalismo» che caratterizzò il metodo della costruzione iniziale della Comunità europea, fino al 1992 (Maastricht) ed al 1999 (euro) che imposero quello verticale «unionista». Ora c’è una correzione della verticalità eccessiva, ma questa è pasticciata dalla coesistenza di un’Europa comunitaria (Parlamento e Commissione) e delle nazioni (Consiglio) dove la seconda, però, non riesce a soddisfare pienamente le nazioni stesse così come la sovranazionalità troppo ideologizzata della prima. In sintesi, il centrodestra vorrà certamente mettere ordine in questa confusione, perché danneggia soprattutto l’Italia, enfatizzando la collaborazione funzionalista tra nazioni e non la dipendenza di alcune dai diktat di altre. Questa ricerca di una Ue comoda per tutti per educarla ad una futura confederalizzazione graduale e senza traumi divisivi è secondo voi, lettori, un sovranismo distruttivo o un’estensione della rappresentanza degli interessi di un territorio entro un principio di interesse nazionale composto con tutti quelli delle altre nazioni partner? In conclusione, sarebbe desiderabile che sinistra e destra italiane convergessero su una posizione attiva dell’Italia nell’alleanza europea ed atlantica per dare un segnale di solidità all’estero ed è un vero rammarico osservare che nella sinistra stessa non si esiti a creare un inesistente «rischio Italia». Ne tengano conto gli elettori.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
Continua a leggereRiduci