
Nuova testimonianza dell'ex nunzio negli Stati Uniti, che risponde alla lettera del cardinale canadese Marc Ouellet. E non compie passi indietro. Anzi, rilancia.Il cardinale Marc Ouellet, prefetto della congregazione dei vescovi, aveva risposto con una lettera aperta all'ex nunzio Carlo Maria Viganò accusandolo di prestarsi ad una macchinazione politica, volta soltanto a screditare papa Francesco nell'ambito di guerre intestine alla chiesa. Ora l'ex nunzio negli Stati Uniti risponde al cardinale, dando seguito a quanto esploso con il suo primo memoriale pubblicato sulla Verità lo scorso 26 agosto. Non reitera la richiesta di dimissioni al Papa, ma non arretra di un millimetro dalle sue posizioni. Anche perché bisogna riconoscere che lo stesso Ouellet nella sua lettera non aveva di certo smentito le accuse di Viganò, ma in qualche modo le aveva addirittura confermate.Ci sono due elementi della nuova testimonianza di Viganò che devono essere considerati con attenzione. Il primo riguarda la «confusione e divisione» nella Chiesa, per cui l'ex nunzio rimanda al mittente le accuse di chi pensa che sia stato il suo memoriale a crearle. C'erano prima dell'agosto 2018, al punto, dice, che «qualsiasi osservatore spassionato avrebbe già potuto ben vedere la prolungata e significativa presenza di entrambe». Sembra di sentire l'eco delle parole che il defunto cardinale Carlo Caffarra, una volta conclusa la stagione del doppio sinodo sulla famiglia, disse in una celebre intervista al Foglio, quando affermò che «solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia grande confusione». Le radici di questa confusione e divisione sembrano quindi più profonde rispetto a quelle che potrebbero generarsi da operazioni squisitamente politiche e conseguenti polarizzazioni. Secondo Viganò ciò è inevitabile «quando il successore di Pietro rinuncia ad esercitare la sua missione principale, che è quella di confermare i fratelli nella fede e nella sana dottrina morale».Ma forse il problema è ancora più remoto e non si può pensare sia sorto con papa Francesco. La battaglia interna al doppio sinodo sulla famiglia (2014 – 2015), culminata poi con i dubia presentati al Papa da quattro cardinali sulle interpretazioni del capitolo 8 dell'esortazione Amoris laetitia, per chiunque l'abbia vissuta dentro e fuori dall'Aula, dice chiaramente di una polarizzazione che non viene da fuori, ma è interna alla Chiesa e ha radici teologiche e filosofiche. Peraltro, anche l'attuale sinodo sui giovani in corso fino al 28 ottobre in Vaticano, sebbene in tono minore, ripropone lo scontro, ancora sul tema dell'omosessualità e, più in generale, dell'approccio pastorale alla sessualità. A questo proposito già leggendo il primo memoriale di Viganò emergeva, al di là delle singole circostanze, un sistema di connivenze ai più alti livelli della gerarchia ecclesiastica che avrebbe al centro gruppi di prelati omosessuali. Una corruzione dei costumi del clero di portata enorme e che rimanda a quella famigerata lobby gay che sarebbe già emersa nelle pieghe dell'inchiesta che Benedetto XVI commissionò a tre fidati cardinali nel 2012 (e di cui non si è mai saputo nulla perché ufficialmente secretata). Se così fosse, allora bisogna pensare che nelle diverse posizioni teologiche alla base della polarizzazione della Chiesa vi sia una parte che è interessata per questioni personali a portare avanti una certa agenda. Viganò lo scrive apertamente: «Non è un'esagerazione dire che l'omosessualità è diventata una piaga nel clero». E dice anche che la crisi degli abusi va risolta chiamando le cose con il loro nome e affrontando il tema della corruzione omosessuale tra gli ecclesiastici.
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