Maurizio Leo lancia il concordato e prospetta la riduzione dell’aliquota marginale del 43% per venire incontro al ceto medio. Poi annuncia controlli sul tenore di vita attraverso i social. Lega perplessa: «Niente caccia alle streghe».
Maurizio Leo lancia il concordato e prospetta la riduzione dell’aliquota marginale del 43% per venire incontro al ceto medio. Poi annuncia controlli sul tenore di vita attraverso i social. Lega perplessa: «Niente caccia alle streghe».La lotta all’evasione fiscale passerà dal concordato preventivo biennale e dai dati dei social network. Il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, in audizione in commissione parlamentare di vigilanza all’anagrafe tributaria, ha infatti spiegato che chi non aderirà al concordato biennale entrerà «in liste selettive, dove si andrà a vedere se ci sono le condizioni per poter dire che i contribuenti non hanno potuto realizzare questi compensi, e allora non accadrà nulla, ma se si vede che ci sono delle anomalie e delle patologie, là si deve intervenire». Concordato biennale che è stato esteso anche a chi ha un punteggio Isa inferiore all’8, ricorda il viceministro, perché «solo l’1% delle partite Iva sottoposte agli Isa e con un voto sotto l’8 è oggetto di accertamento. Quindi la nostra logica è di portare tutti gradualmente verso l’8». La misura ha un obiettivo di incasso per il biennio 2024-2025 di 1,8 miliardi di euro e le risorse verranno usate per ridurre l’Irpef: «Anche l’aliquota marginale del 43% è molto pesante e induce l’evasione. Bisogna scendere e venire incontro alle classi medie e le risorse dobbiamo trovarle in questo modo». Altro strumento che il governo vuole mettere in campo per scovare gli evasori sono i social. Leo ha infatti dichiarato di non essere contrario al «data scraping», cioè all’uso, di altre informazioni, oltre a quelle economiche, che riguardano il tenore di vita del contribuente, per combattere l’evasione. Non si tratta di un’idea ma di un vero e proprio progetto a cui il governo sta già lavorando coinvolgendo l’Agenzia delle entrate, Sogei e il Garante della privacy. «Professionisti e imprenditori vanno su Internet e sui social e dicono dove sono stati in vacanza o in quale ristorante. Questi sono elementi che devono corroborare le proposte che vengono fatte. Se l’amministrazione finanziaria acquisisce elementi che sono messi a supporto dell’attività d’indagine questo fa fare un passo avanti al sistema. Altrimenti, se ragioniamo solo su dati economici, non basta». Per dare accesso all’Agenzia delle entrate a questo genere di dati, «serve un accordo con l’Autorità della privacy», spiega Leo che ha aggiunto di aver «iniziato a ragionare con il Garante e da parte loro c’è assoluta disponibilità, fermo restando la tutela dei dati personali». Aspetto non secondario quando si parla di social network e delle informazioni che vengono costantemente pubblicate. Sulla questione il viceministro ha però sottolineano come al tavolo delle trattative con l’Autorità si dovrà ragionare anche «sul fatto che l’evasione è un macigno, tipo il terrorismo, e quando abbiamo 80-100 miliardi di evasione, tutti dobbiamo collaborare, per fare un passo avanti». Parole da cui si è dissociata la Lega: «Sono meravigliato delle parole del vice ministro dell’Economia Maurizio Leo. Questo slogan, che sicuramente scalda i cuori ideologici di chi ha sempre scambiato la giusta lotta all’evasione con un’indiscriminata caccia alle streghe, esonda i confini del programma di governo», ha detto Armando Siri. Il progetto social annunciato da Leo non è una novità nell’universo del Fisco internazionale. L’idea ricalca molto il modello di controllo fiscale presente nel mondo anglosassone, fatta eccezione per la privacy. Usa, Gran Bretagna e Canada da diversi anni hanno infatti deciso di usare per combattere l’evasione business intelligence, i big data e l’estrazione di informazioni disponibili pubblicamente su Internet. L’Agenzia delle entrate inglese ha messo nero su bianco che «monitorerà, osserverà e registrerà i dati Internet disponibili di tutti, compresi blog, e siti di social network a cui non sono state applicate le impostazioni sulla privacy». L’Irs, il corrispettivo americano, anche se non ha mai dichiarato in modo esplicito l’uso di questi dati, ha serenamente sostenuto di monitorare tutte le informazioni disponibili al pubblico. In questi Paesi il raggiungimento dell’obiettivo prevale, molto spesso, sulla tutela della privacy che viene bypassata dato che le varie Agenzie delle entrate dichiarano di usare «solo» i dati pubblicamente disponibili. I profili sui social media, per la maggior parte, non sono impostati in «modalità privacy» e dunque le informazioni sono alla mercé di tutti, compresi anche i vari agenti del Fisco. In Europa, e soprattutto in Italia, non c’è la possibilità di agire in modo così indiscriminato dato che grazie alle attuali normative non si può fare uso dell’Intelligenza artificiale per fare Web scraping. Quello che è consentito è l’uso dei dati social in fase di accertamento fiscale, a patto che ci sia l’intervento umano. Questo significa che i social e tutto il loro bagaglio di informazioni possono essere usati in modo molto mirato e se il processo è guidato da un funzionario. Al momento, l’uso dell’Intelligenza artificiale per scandagliare l’universo social alla ricerca dell’evasore non è possibile. Partendo dunque da questi presupposti il governo dovrà trovare un compromesso tra quello che è il voler ottenere il dato fiscale e la tutela della privacy dei contribuenti. Aspetto che al momento ci contraddistingue, in modo positivo, rispetto alle altre Agenzia delle entrate e che deve essere mantenuto come punto cardine nelle future trattative.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






