
Walz ha criticato Trump per i dazi a Pechino, ha imposto chiusure rigide col Covid e definito l’interruzione di gravidanza un diritto fondamentale. La sua amministrazione si è fatta truffare per 250 milioni da una Ong.Una notizia curiosa ma non del tutto inattesa. Ieri, The Hill ha riportato che i Repubblicani avrebbero «tirato un sospiro di sollievo» dopo che Kamala Harris ha annunciato di aver scelto Tim Walz come suo vice. Effettivamente, ci si attendeva che la candidata dem avrebbe optato per un profilo centrista: un profilo che le avrebbe, cioè, permesso di bilanciare il ticket a destra, per schermirsi dalle accuse, spesso lanciate da Donald Trump, di essere un’estremista liberal. Invece, scegliendo Walz, la Harris ha virato a sinistra, con il rischio di alienarsi le simpatie degli elettori indipendenti.In effetti, il governatore del Minnesota è noto per alcune politiche piuttosto radicali: a partire dai temi eticamente sensibili. Ha per esempio firmato una legge che definisce l’aborto un «diritto fondamentale» e tagliato i fondi a quei centri per la gravidanza che generalmente tentano di offrire delle alternative alla pratica abortiva. Lui stesso ha parlato del Minnesota come di un «paradiso sicuro per le libertà riproduttive», rendendo inoltre l’interruzione di gravidanza potenzialmente illimitata nel suo Stato. Non a caso, la scelta di Walz è stata celebrata, nelle scorse ore, dalla potente onlus pro choice Planned parenthood, che è una storica sostenitrice della Harris. Ora, premesso che la vicepresidente ha tutto il diritto di adottare la strategia elettorale che preferisce, non si capisce il senso di aver scelto come vice uno che è esattamente la sua copia sulle questioni eticamente sensibili. Tra l’altro, la Harris è storicamente in difficoltà con un elettorato, quello cattolico, il cui appoggio molto spesso garantisce la conquista della Casa Bianca: ebbene, è piuttosto improbabile che Walz possa aiutarla ad accattivarsi le simpatie di quel mondo.Eppure, a ben vedere, emerge un problema ancor più rilevante. Le prossime elezioni saranno probabilmente decise dal voto dei colletti blu della Rust belt: una quota su cui Trump sta lavorando da più di un anno e rispetto a cui sarebbe stato più efficace il governatore dem della Pennsylvania, Josh Shapiro. Certo, negli scorsi giorni qualcuno ha detto che Walz sarebbe il nome adatto per attrarre il voto degli operai della Rust belt. C’è tuttavia da dubitarne. Innanzitutto, Steve Kornacki di Nbc News ha sottolineato che, quando fu rieletto governatore nel 2022, Walz non godette di un particolare slancio da parte dei colletti blu. In secondo luogo, il vice della Harris è uno strenuo fautore dell’auto elettrica: quella stessa auto elettrica che, negli ultimi anni, ha suscitato preoccupazioni e malumori tra molti metalmeccanici del Michigan. Inoltre, proprio gli operai del Michigan potrebbero digerire poco la linea storicamente filocinese tenuta da Walz. Pur avendo criticato Pechino sui diritti umani, il governatore attaccò Donald Trump nel 2019 per aver intrapreso una guerra tariffaria con la Repubblica popolare. Non solo. Da deputato, Walz sostenne che Washington avrebbe dovuto cooperare con Pechino nel contrasto al cambiamento climatico. Era inoltre il 2016, quando auspicò che gli Stati Uniti evitassero una «relazione conflittuale» con il Dragone.Ma non è tutto. Non è un mistero che la Harris stia cercando di presentarsi come candidata law and order, puntando sulla sua pregressa carriera da procuratrice: una narrazione che rischia tuttavia di essere azzoppata proprio da Walz. Il governatore è infatti finito nella bufera per la disastrosa gestione dei disordini che, nel 2020, sconvolsero Minneapolis a seguito della morte di George Floyd: lo stesso sindaco dem della città, Jacob Frey, criticò Walz in tal senso. Tra l’altro, anche come amministratore, non sembra che il vice della Harris sia stato particolarmente brillante. Al di là dei lockdown draconiani che impose in pandemia, fu sotto la supervisione della sua amministrazione governatoriale che una no profit truffaldina di Minneapolis riuscì a intascare 250 milioni di dollari di fondi ufficialmente messi a disposizione per i bambini bisognosi. Quando provò a negare la propria imperizia in questa incresciosa vicenda, il governatore venne pubblicamente redarguito dal giudice Ramsey John Guthmann.Insomma, al di là delle celebrazioni dei suoi corifei americani e nostrani, non è che Walz sembri godere di chissà quale eccellente curriculum. Non a caso, i Repubblicani temevano che la Harris scegliesse come vice o Shapiro o Kelly, i quali - essendo democratici pragmatici - sarebbero stati più efficaci nell’attrarre il voto di operai e indipendenti. Non solo: avrebbero anche aiutato la Harris a disinnescare le accuse repubblicane di estremismo. Invece, la vicepresidente ha scelto Walz, cedendo all’ala liberal e filopalestinese del Partito democratico, che detesta Shapiro. È chiaro che la Harris vuole evitare ribellioni a sinistra, oltre a imbarazzanti proteste anti israeliane durante la convention di Chicago. Tuttavia, così facendo, la vicepresidente rischia grosso. Primo: vari deputati dem centristi, che sostenevano Shapiro, sono al momento assai irritati. Secondo: l’estrema sinistra sta perdendo terreno elettoralmente. La deputata radicale, Cori Bush, ha perso le primarie in Missouri martedì. Stesso destino era toccato, un mese e mezzo fa, a un altro deputato di estrema sinistra come Jamaal Bowman. Insomma, la Harris si è genuflessa ai radicali del suo partito proprio mentre costoro vengono puniti alle primarie. Ecco perché, nonostante la panna montata mediatica attorno alla vicepresidente stia proseguendo, il sospetto è che, optando per Walz, la candidata dem si sia data la proverbiale zappa sui piedi.
La transizione energetica non è più un concetto astratto, ma una realtà che interroga aziende, governi e cittadini. Se ne è discusso al primo panel dell’evento de La Verità al Gallia di Milano, dedicato a «Opportunità, sviluppo e innovazione del settore energetico. Hub Italia», con il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, la direttrice Ingegneria e realizzazione di Progetti di Terna Maria Rosaria Guarniere e la responsabile ESG Stakeholders & Just Transition di Enel Maria Cristina Papetti.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Giuseppe Cruciani (Ansa)
Il giornalista: «In tv l’intellighenzia progressista mostrifica la vittima. Bisognerebbe scendere in piazza in difesa del libero pensiero: vedremmo chi davvero vuole il dialogo».
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
Cresce la tensione tra Etiopia ed Egitto. Il governo di Addis Abeba ha recentemente inaugurato la più grande diga idroelettrica dell’Africa: una mossa che ha notevolmente irritato Il Cairo.