2024-06-25
I viaggi della morte di Cappato finiscono di nuovo alla Consulta
Il caso riguarda due malati, che vivevano senza l’aiuto di macchinari, portati in Svizzera.Nuova rimessione alla Corte Costituzionale sul suicidio assistito. Si tratta di un’ordinanza di 24 pagine del giudice per le indagini preliminari di Milano, Sara Cipolla, emessa a partire dal procedimento che vede l’attivista e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, indagato - previa autodenuncia - per istigazione o aiuto al suicidio, dopo aver accompagnato due persone a morire in Svizzera; il primo aspirante suicida era il signor Romano, 82 anni, ex giornalista e pubblicitario relegato a letto da una forma grave di Parkinson, la seconda era la signora Elena, 69 anni, malata terminale di cancro. Per questi casi la procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano e il pm Luca Gaglio avevano presentato richiesta di archiviazione, rigettata dalla gip Cipolla, che ha passato la palla alla Consulta. L’oggetto del rinvio è l’articolo 580 del codice penale - che punisce l’istigazione o aiuto al suicidio - già modificato dalla sentenza della Consulta 242 del 2019, più nota come sentenza Cappato, emessa a conclusione del procedimento sull’accompagnamento a morire di dj Fabo, al secolo Antoniani Fabiano, spirato in Svizzera nel 2017. La gip milanese ritiene «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’articolo 580 del codice penale nella parte in cui prevede la punibilità della condotta di chi agevola l’altrui suicidio nella forma di aiuto al suicidio medicalmente assistito di persona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili che abbia manifestato la propria decisione di porre fine alla propria vita».I giudici costituzionali sono perciò chiamati a decidere se, per l’accesso al suicidio assistito, sia o meno discriminatorio e lesivo dell’autodeterminazione del malato - in violazione degli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e 8 e 14 della Cedu - il requisito del trattamento di sostegno vitale che nei due casi citati, evidenzia l’ordinanza della Cipolla, avrebbe configurato «unicamente l’accanimento terapeutico». Va ricordato che tale requisito non è il solo previsto. Infatti la sentenza 242 del 2019 ha visto sì la dichiarazione di parziale illegittimità della punibilità del suicidio assistito, ma a cinque condizioni: che l’aspirante suicida abbia maturato il proposito liberamente; che sia tenuto in vita da trattamenti di sostengo vitale; che sia affetto da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche non tollerabili; che esse siano adeguatamente verificate da una struttura pubblica; che il soggetto - come si legge nella motivazione - «sia stato informato […] in ordine alle possibili soluzioni alternative, con riguardo all’accesso alle cure palliative». Stando così le cose, i signori Romano e Elena non avrebbero dovuti essere accompagnati a morire (poiché non tenuti in vita da macchinari); proprio come non lo avrebbe dovuto essere il signor Massimiliano - toscano di 44 anni affetto da sclerosi multipla morto in Svizzera l’8 dicembre 2022 -, all’origine d’un caso simile di cui aveva dato notizia La Verità il 16 marzo, raccontando della pubblicazione in Gazzetta ufficiale dell’ordinanza con cui il gip di Firenze, Agnese De Girolamo, aveva sollevato un’altra questione di legittimità costituzionale, sempre sull’articolo 580. Ricordato questo ed altri precedenti, Cappato ha definito il nuovo rinvio alla Consulta «un’occasione per rispondere» alle istanze «di persone che esigono di non dover subire come una tortura condizioni di sofferenza insopportabile e irreversibile contro la propria volontà».
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