2024-10-12
Il vero Gates tra scuole prestigiose, festini a luci rosse, tresche in ufficio
Bill Gates (Getty). Nel riquadro, la copertina del libro di Anupreeta Das
Un libro sbriciola la balla del fondatore di Microsoft partito dal nulla: in realtà la famiglia gli pagava la retta dell’istituto più esclusivo di Seattle. La sua immagine mitica è stata costruita a tavolino da un team di esperti.Chi è davvero Bill Gates? Si tratta di una domanda che negli ultimi anni si sono posti in molti, specialmente da quando in rete è iniziato a circolare con insistenza un video, risalente al 2015, in cui il multimiliardario prevedeva una nuova pandemia che l’umanità non sarebbe stata pronta ad affrontare. Sul cofondatore di Microsoft aleggiano opinioni diametralmente opposte: c’è chi crede nella favola del super ricco che dismette i panni del capitalista agguerrito e indossa quelli del filantropo votato a restituire al mondo le fortune ricevute, e c’è chi pensa che dietro a quegli occhiali un po’ unti ci sia il burattinaio che muove i fili del mondo. La verità, forse, potrebbe essere più semplice e allo stesso tempo più complessa. O almeno questo sembra emergere dal ritratto di Gates tracciato nel libro di Anupreeta Das, giornalista indiana e direttore della sezione finanza del New York Times, tutto tranne che una complottista stile QAnon. Il testo, che è stato pubblicato di recente negli Stati Uniti da Editors’ Picks, si intitola Billionaire, Nerd, Savior, King: Bill Gates and His Quest to Shape Our World (Miliardario, nerd, salvatore, re: Bill Gates e il suo obiettivo di plasmare il nostro mondo) e ripercorre la parabola dell’uomo Microsoft.Sogno americano?Negli Stati Uniti, i miliardari hanno uno status privilegiato nell’immaginario collettivo. Il mito del giovane che conquista la scena partendo dalla sua camera da letto o dal garage, grazie solo al suo genio, accende il nucleo profondo del sogno americano. Nella realtà, almeno per quanto riguarda Bill Gates, i fatti sono un po’ più sfumati. Anupreeta Das, in uno degli ultimi capitoli del suo libro, ci ricorda che perfino il padre non fosse troppo di questa idea. «Bill Gates Sr. si è spesso chiesto se Gates avrebbe potuto raggiungere i livelli di successo e fortuna che ha ottenuto se fosse nato senza i privilegi che aveva», scrive l’autrice. «La sua famiglia poteva permettersi di mandarlo a Lakeside, la scuola privata più prestigiosa di Seattle, dove Gates è stato introdotto ai computer da preadolescente, molto prima che tanti bambini della sua età o anche i loro genitori ne avessero visto uno». Il padre, inoltre, era un noto avvocato della città, inserito nei salotti della gente che conta. Nel capitolo che narra la lunga amicizia tra il cofondatore di Microsoft e Warren Buffett, miliardario considerato il più grande investitore di sempre, Das ricorda che i due si sono conosciuti nel 1991 a un raduno organizzato per il fine settimana del 4 luglio dalla madre, Mary Gates, a Hood Canal. In quel momento, Gates era già un imprenditore di grande successo, ma la dinamica chiarisce bene la provenienza del rivoluzionario della tecnologia.Da Nerd a capitalistaBill Gates si convinse della necessità di curare la sua immagine pubblica quando si trovò nel mezzo della tempesta dei processi intentati dalla Federal trade commission contro Microsoft per pratiche anticoncorrenziali. In quegli anni, passò da essere il nerd divenuto miliardario grazie al suo genio - una figura mitologica che negli Usa ha ispirato serie tv come The Big Bang Theory - al capitalista rapace che voleva cannibalizzare i concorrenti e instaurare un regime di monopolio. Inizialmente, racconta la Das, «Gates, figlio di un avvocato e incline a un modo di pensare in bianco e nero, vedeva il caso con il governo come una questione puramente legale che sarebbe stata vinta o persa in base al merito, e insisteva sul fatto che la posizione del governo non avesse alcun fondamento». «Quasi ingenuamente», continua sotto, «non afferrava del tutto il potere della politica e delle apparenze nel prevalere sulla logica e nel deteriorare l’immagine». Quando la reputazione sua e della sua azienda sembravano ormai definitivamente compromesse, la reazione divenne obbligata. «Nel 1998, anno in cui affrontò il suo processo, Microsoft aveva 61 lobbisti e spese poco inferiori ai 4 milioni di dollari. […] Riconoscendo che la sua presenza insignificante a Washington potrebbe aver danneggiato il suo caso giudiziario, l’azienda assunse altri 107 lobbisti nel 2000 […]. Negli ultimi due decenni, Microsoft ha impiegato in media 111 lobbisti ogni anno, e nel 2023 ha speso 10,5 milioni di dollari per l’attività di lobbying».la reputazioneDa lì in avanti, cominciò lo sviluppo della macchina della comunicazione di Gates, il quale «si sarebbe seduto per ore di formazione mediatica su come rispondere a domande difficili da parte dei giornalisti». Nel 2000 il magnate di Seattle, per proteggere la sua azienda, si dimise da amministratore delegato di Microsoft, di cui sarebbe rimasto presidente fino al 2014. Alla stampa disse che si sarebbe concentrato al 100% sul software e che avrebbe trovato più tempo per la filantropia. Nel giro di pochi anni, il capitalista rapace lasciò il posto al filantropo impegnato a salvare il mondo. «L’evoluzione della sua immagine potrebbe sembrare un prodotto naturale delle sue attività», commenta l’autrice. «La realtà un’altra. Piuttosto, è il risultato di una campagna durata anni da parte di un piccolo esercito di professionisti della comunicazione». La Das descrive un «brand Bill» dietro cui lavorano a tempo pieno decine di dipendenti per plasmare l’immagine di un uomo mite, di un filantropo attento, benché poi nelle relazioni personali e lavorative emerga spesso come un personaggio ruvido e a tratti dispotico.Epstein e i tradimentiRaggiunto il vertice della parabola, l’immagine di Bill Gates è tornata a scricchiolare. Il primo colpo è arrivato con l’arresto dell’imprenditore Jeffrey Epstein, poi condannato per traffico internazionale di minorenni. Una figura frequentata diverse volte tra il 2011 e il 2014 dal cofondatore di Microsoft, nonostante la forte opposizione della moglie. Poi un’impiegata di Microsoft rivelò di avere avuto una relazione con Gates nel 2000, mentre di recente è emerso come questi nel 2010 abbia avuto una storia con una giocatrice di bridge russa, allora ventenne, su cui sarebbe stato poi ricattato dallo stesso Epstein. E secondo la Das, Microsoft «vietò alle stagiste di stare da sole con Bill». Fatto sta che nel 2019, per la prima volta dopo tanti anni, non è più risultato l’uomo più ammirato del mondo; nel 2020 si è ritirato anche dal Cda di Microsoft, probabilmente per evitare una possibile inchiesta esterna, e nel 2021 è arrivato il divorzio dalla moglie, Melinda Gates, infuriata per «i tradimenti e i festini».La pandemiaA erodere ulteriormente l’immagine del multimiliardario, poi, ci ha pensato la pandemia. La Das, come tanti altri commentatori, sottolinea il peso economico della Gates Fondation, uno dei più importanti finanziatori dell’Oms insieme a Usa e Germania, e il ruolo insolito che l’uomo ricoprì nella gestione dell’emergenza Covid. Oltre a finanziare attraverso Gavi - l’Alleanza globale per i vaccini e l’immunizzazione - la ricerca e la produzione di vaccini, Gates, invece di schierarsi per la rinuncia ai brevetti, «ha utilizzato il potere e l’influenza della sua fondazione per acquisire vaccini dalle aziende e consegnarli ai Paesi in via di sviluppo, agendo come intermediario» (di fatto imponendosi). Inoltre, «ha svolto un ruolo importante nel convincere l’Università di Oxford a vendere il vaccino il vaccino che aveva sviluppato, con finanziamenti dal governo britannico, ad Astrazeneca, piuttosto che condividere la scienza con i Paesi in via di sviluppo affinché potessero produrlo localmente».La Das espone poi nel volume pubblicato recentemente quelle che sono le principali critiche rivolte a questo centro di potere privato: in primis, la tendenza ad avanzare soluzioni tecnocratiche a ogni problema, prescindendo dalle culture locali. Poi, il fatto di rappresentare un potere privato senza responsabilità pubblica, dunque antidemocratico. Inoltre, l’eccessiva burocrazia che porta a un dispendio enorme di risorse. Ci sono critici secondo cui «la filantropia privata, che è sovvenzionata dai contribuenti perché le deduzioni fiscali per la beneficenza sono essenzialmente entrate fiscali perse», è «antidemocratica», perché «un’entità enorme come la Gates Foundation riporta solo a sé stessa». latifondistaAlmeno metà della ricchezza di Gates non è in Microsoft. La gestione del suo patrimonio è tenuta il più possibile sottotraccia, attraverso un’azienda di nome Cascade guidata da Michael Larson. Questi ha un compito ben preciso: non far apparire mai il nome del miliardario e attuare investimenti tali da non destare ’attenzione. Per questo motivo, i dipendenti firmano contratti con obblighi di riservatezza strettissimi. Un dato interessante è che, tra i suoi vari investimenti, Gates risulta il più grande latifondista negli Usa. Secondo le stime, il totale dei terreni agricoli da lui accumulati sfonda i 270.000 acri (1093 chilometri quadrati).
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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