2024-09-26
I Verdi tedeschi ormai sono alla canna del gas: dopo i flop i leader si dimettono
Ricarda Lang, Omid Nouripour e Robert Habeck (Ansa)
L’intera dirigenza molla in seguito all’ultima scoppola elettorale in Brandeburgo. L’ecologismo è in crisi: persino il vice di Olaf Scholz, ex capo del partito, sta cedendo.Tanto tuonò che alla fine piovve. Dopo le ripetute scoppole elettorali - l’ultima in Brandeburgo pochi giorni fa - l’intera dirigenza dei Verdi tedeschi ha rassegnato le proprie dimissioni. In particolare, hanno deciso di fare fagotto i due presidenti del partito, Ricarda Lang e Omid Nouripour. Si conclude così, a soli due anni dalla loro investitura (era il gennaio del 2022), un regno breve e costellato di numerosi insuccessi. Insieme a loro, ha deciso di fare un passo indietro tutto il comitato direttivo nazionale, a riprova che la crisi dei Verdi è più profonda di quanto si possa pensare. L’attuale dirigenza, hanno fatto sapere i diretti interessati, rimarrà provvisoriamente in carica fino al 15 novembre, quando si apriranno i lavori del congresso del partito, che sarà chiamato a eleggere i protagonisti del nuovo corso. «Siamo giunti alla conclusione che è necessario un nuovo inizio», ha dichiarato ieri Nouripour alla stampa. «Il nostro partito ha espresso la fiducia in noi come presidenti: questo è un onore, un privilegio e un obbligo di responsabilità allo stesso tempo», ha commentato poi la Lang su X. Ecco perché, ha proseguito, «ci assumiamo la responsabilità di agire nel migliore interesse del partito». Che, appunto, si traduce nelle dimissioni in blocco dell’attuale dirigenza. Secondo le fonti più informate della stampa tedesca, i nuovi presidenti saranno con ogni probabilità Franziska Brantner e Andreas Audretsch o, in alternativa, Felix Banaszak (il leader dell’ala giovanile dei Verdi).Il motivo più immediato di questo piccolo terremoto è presto detto: «Il risultato elettorale di domenica in Brandeburgo ha sancito la crisi più profonda che il nostro partito ha dovuto affrontare negli ultimi dieci anni», ha sottolineato Nouripour. Di conseguenza, gli ha fatto eco la Lang, «ora sono necessari volti nuovi per guidare i Verdi fuori da questa crisi». A tal proposito, ha specificato sempre la Lang, l’elezione di una nuova dirigenza si configura come un «elemento fondamentale per una riorganizzazione strategica del partito». Insomma, se a queste gravi parole seguiranno anche i fatti, c’è da aspettarsi una revisione sostanziale di tutte quelle istanze che, negli ultimi anni, hanno caratterizzato la proposta politica e la propaganda ideologica degli ambientalisti.In effetti, per loro le cose si erano messe davvero male. Ed era impossibile andare avanti facendo finta nulla. Soprattutto se pensiamo al fatto che i Verdi tedeschi si sono sempre vantati di essere il partito ecologista più forte d’Europa. Prima dei recenti rovesci, questa vanteria aveva un certo fondamento: da qualche anno a questa parte, il partito ha vissuto una crescita esponenziale, che gli ha permesso di ottenere risultati sorprendenti, dalle elezioni europee del 2019 (20,5%) fino all’affermazione nazionale del 2021 (14,7%). Successi che hanno consentito ai Verdi di entrare nella coalizione semaforo con Spd e Fdp da una posizione di forza. A una rapida crescita, però, può seguire anche una rapida discesa. Gli ambientalisti tedeschi, infatti, avevano moltiplicato i propri consensi sfruttando la crisi nera della Spd, uscita con le ossa rotte dalla «grande coalizione» guidata da Angela Merkel. Adesso è avvenuto l’esatto contrario: i socialdemocratici sono riusciti a tenere botta drenando voti propri ai Verdi. Una sorta di legge del contrappasso in salsa germanica. Gli ultimi risultati, del resto, parlano chiaro: alle tre tornate nei Länder orientali, le esangui truppe ecologiste non sono state in grado di superare la soglia di sbarramento del 5% né in Turingia (3,2%) né in Brandeburgo (4,1%) - restando così fuori dai rispettivi Parlamenti - mentre in Sassonia sono entrati per il rotto della cuffia (5,1%). Se a queste disfatte aggiungiamo anche la scoppola rimediata a giugno alle elezioni europee (dove i consensi del 2019 sono stati praticamente dimezzati), il quadro della crisi del partito è ancora più completo. Per capire meglio questo crollo dei consensi, è però necessario allargare il discorso. Negli ultimi anni, i Verdi sono di fatto diventati il partito dei radical chic tedeschi. La transizione energetica, dopotutto, implica costi abnormi, che i ricchi possono permettersi, mentre per i normali cittadini è un vero salasso. Nel momento in cui i Verdi hanno ampliato la loro base elettorale, accogliendo torme di delusi da Spd e Linke, un mutamento di aspettative era da mettere in conto. E il conto (salatissimo) è stato presentato dall’attuale recessione economica della Germania, e in particolare del settore automobilistico, che per Berlino è notoriamente strategico. Insomma, l’intera impalcatura ideologica dell’ambientalismo al caviale sta crollando. E a farne le spese non potevano che essere i Verdi, che del Green deal si sono proposti per anni come alfieri e condottieri. Sotto la pressione di sindacati e case automobilistiche, d’altro canto, ha dovuto fare un passo indietro persino Robert Habeck, ministro dell’Economia nonché esponente di spicco dei Verdi teutonici, che proprio lui - insieme ad Annalena Baerbock - aveva portato all’apice del successo. Dopo un sano bagno di realtà, infatti, Habeck ha annunciato di essere favorevole alla proposta di anticipare al 2025 la revisione degli standard di CO2 in sede europea, prevista per il 2026, accodandosi di fatto alle richieste del nostro ministro delle Imprese, Adolfo Urso. Tradotto: anche Habeck ha capito che bandire le auto a diesel e benzina entro il 2035 sarebbe una sorta di suicidio. Come si dice in inglese, la realtà bussa sempre alla porta. E stavolta l’ha letteralmente sfondata.