
Oggi e domani la città lagunare celebra la festa del Redentore, rievocando la liberazione della città dall’epidemia nel 1577. Nei piatti rituali si trova tutta la tradizione della Serenissima: dalle famose sarde alla pasta e fagioli, fino all’anatra ripiena.Venezia, 20 luglio 1577. Una lunghissima teoria di uomini e donne in preghiera, con cuore gioioso e grato all’Onnipotente, percorre il ponte costruito con 80 galee affiancate l’una all’altra sul vasto canale che separa Fondamenta delle Zattere dall’isola della Giudecca. La peste, la spaventosa epidemia che in due anni si è portata via 51.000 veneziani, un terzo della popolazione della città lagunare, ha smesso di uccidere. Nell’infinito elenco dei morti appestati ci sono nomi illustri, tra gli altri quello del sommo pittore Tiziano Vecellio. La processione si snoda verso il cantiere dove sta sorgendo la chiesa del Redentore, progettata dall’illustre architetto Andrea Palladio, promessa in voto dal Senato della Repubblica di San Marco mentre infuriava il morbo. La celebrazione per lo scampato pericolo è grandiosa. Si prega, si mangia, si voga, si torna a vivere. Il Serenissimo Senato ordina che la festa si ripeta con cadenza annuale nella terza domenica di luglio per ricordare in perpetuo la città liberata dalla grave pestilenza.Venezia, 16 luglio 2023. Domani. A 450 anni da quella prima processione il rito si ripete ancora. La «festa famosissima», come la chiamano gli abitanti della laguna, è iniziata ieri, venerdì, con l’apertura del ponte votivo e continua oggi: alle 23.30 sono previsti i fuochi artificiali che illumineranno a giorno il bacino di San Marco. Si concluderà domani con le regate nel canale della Giudecca e la messa solenne celebrata nella chiesa del Redentore dal patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia. Si consiglia a chi non ha prenotato un posto qualsiasi, anche in piedi, di non andare a Venezia: la città è sold out. Chi, invece, ha prenotato il posto in barca o sulle rive della Giudecca o in uno dei tanti campielli addobbati a festa, oltre a godere i fuochi, le regate e gli incanti veneziani, potrà gustare i piatti rituali della festa del Redentore. Da secoli il menu tradizionale è fisso: sardèle in saòr, pasta e fasioi, bigoli in salsa, bovoeti, l’anara col pien. Dulcis in fundo, l’anguria. La lista dei piatti della festa del Redentore è lo specchio secolare della serenissima cucina veneziana. Altri piatti rituali sono i risi e bisi del 25 aprile, giorno di San Marco, e la castradina, carne di montone cotta con verze, cipolle e vino, tipica della festa della Madonna della Salute. Ma con la castradina sconfiniamo in un’altra peste, quella del 1630.Torniamo al Redentore e alla pasta e fasioi, la «carne dei poveri» la definiva Pellegrino Artusi, che viene servita fredda come pretende la tavola estiva. E così i bigoli in salsa di acciughe. I bovoeti sono chioccioline di terra che si trovano in gran numero nei grovigli di sterpi sulle isole e sulle barene, le terre a pelo d’acqua, della laguna. Sono saporiti, ma la loro è una delizia che si deve conquistare andando a rovistare nel guscio con la forchettina a rampino o succhiando la chiocciolina appiccicando le labbra a ventosa e aspirando forte. Tra i cibi rituali della festa del Redentore i più tipici che più tipici non si può sono l’anara col pien, l’anatra ripiena, e le sarde in saòr. Il ripieno dell’anatra si è evoluto col tempo e con le norme della dietologia moderna, ma il pien tradizionale richiede ancora un impasto di fegatini d’anatra o di pollo e la soppressa, sorella del salame ma con l’impasto più morbido e delicato. Il saòr, a Venezia, è quello che era il garum nell’antica Roma, quello che è il pesto a Genova, lo scarpariello a Napoli, la pearà a Verona. Saòr è il sapore pieno, il godimento che titilla le papille gustative a tutto tondo perché presenta tutti insieme i quattro gusti fondamentali: l’agro dell’aceto, il salato della sarda, il piccante-amaro della cipolla, il dolce dell’uvetta di Corinto.A recitare l’elogio letterario delle sardèle in saòr ci ha pensato Carlo Goldoni illustre figlio della città di San Marco che ha raccontato mamma Venezia e la sua vita quotidiana, piatti compresi, nelle sue commedie. In una in particolare, Le donne de casa soa del 1755, Goldoni mette in tavola le sarde in saòr. Anzola, brava massaia e moglie di Gasparo, il padrone di casa, chiede al recalcitrante Grillo di andare al mercato ad acquistare una «sportelletta» di pesce azzurro: «Un poche de sardelle vorria mandar a tor, per cusinarle subito, e metterle in saor». Ecco il segreto: la marinatura delle sarde va fatta ore prima di servirle in tavola. Luigi Carnacina e Luigi «Gino» Veronelli un paio di secoli dopo consiglieranno di metterle in saòr addirittura 48 ore prima di mangiarle e di servirle come antipasto o come pietanza. «Sono troppi due giorni di marinatura», dice Simone Lugoboni, cuoco dell’Oste Scuro di Verona, che la guida Best gourmet giudicò, qualche anno fa, il miglior ristorante di pesce dell’Alpe Adria. «Il saòr è nato come metodo di conservazione sotto aceto, con la cipolla appassita, per conservare pesce e carni, ma il metodo è evoluto, all’aceto e alla cipolla sono stati aggiunti l’uvetta e i pinoli e la cucina un tempo opulenta e gustosissima si è raffinata. I pesci, poi, non sono tutti uguali. Tutti possono essere marinati, ma con diverse procedure. Il saòr non deve coprire il sapore del pesce. Con le tecniche odierne, poi, le marinature sono meno invasive». La marinatura del pesce è conosciuta in laguna fin dal Medioevo. In un volumetto del Trecento, il Libro per cuoco scritto da un anonimo veneziano in volgare, viene spiegata la ricetta «Cisame de pesse quale tu voy» (il cisame è una salsa agrodolce): «Toy lo pesse e frigello, toy zevolle (cipolle) e lessale un pocho e taiale menude, po' frizelle ben, poy toli aceto et aqua e mandole monde intriegi, et uva passa, e specie forte, e un pocho de miele, e fa bolíre ogni cossa insema e meti sopra lo pesse». Giuseppe Maffioli, gastronomo, giornalista, scrittore, definì le sarde in saòr: «Cibo di marinai e scorta di terraferma», sottolineando l’usanza di conservare il pesce per i lunghi viaggi per mare. Scrive nel Veneto in bocca: «L’aceto è rimasto nelle abitudini veneziane il conservatore primo, protagonista della cucina marinara, con i suoi saòri di magro e anche di grasso destinati, con l’abbondanza della cipolla appassita, a volte quasi cruda, rimedio sovrano contro lo scorbuto, non solo al pesce azzurro, ma anche a quello più delicato e pregiato quale sfogi (soglioline) e passarini per il saòr della notte famosissima del Redentore, da degustare in barca insieme all’anatra arrosto. Saòr arricchito di uvetta sultanina e di pignoli, aggiunte bizantina e turchesca che Venezia riservava a molti altri piatti di grasso e di magro: dal riso alle polpette ai vari saori, al baccalà, agli spinaci, alle mele, alle frittelle dolci». «Terra di vini generosi e abbondanti», aggiunge Dino Coltro, storico della cultura contadina, in La cucina tradizionale veneta, «il Veneto forniva alla Serenissima Dominante anche gli aceti, in cui per la maggior parte i vini contadini si riducevano».Franco Favaretto, «re del baccalà» (il suo locale, a Mestre, si chiama Baccalàdivino), docente all’Alma, la scuola internazionale di cucina italiana di Colorno, spiega che il saòr veneziano è di due tipi: «C’è quello dei pescatori e quello del doge. La prima marinatura è semplice, fatta con cipolla e aceto; quello del doge doveva ostentare ricchezza quindi era arricchito con spezie, soprattutto la cannella, ma anche chiodi di garofano, alloro, uvetta di Corinto, pinoli. Specialisti nella pesca delle sardelle erano i buranei, i pescatori di Burano che uscivano in mare aperto a pescare le “sardele de l’alba”, chiamate così perché i banchi di pesce azzurro passavano al levar del sole».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.