
Lo scandalo sulla Bbc, gloriosa emittente televisiva britannica scoperta «con le mani nella marmellata» a falsificare il racconto degli eventi del 6 gennaio 2021 di fronte a Capitol Hill in modo da far credere che Donald Trump avesse esplicitamente esortato i manifestanti ad assaltare il Campidoglio, ci obbliga a farci una domanda: quale credibilità hanno i mezzi di informazione in Italia?
Guardiamo al racconto che viene fatto dell’episodio sui nostri media: una difesa ad oltranza. Talvolta spudorata; talaltra più misurata. Si fa fatica a comprendere cosa sia veramente successo. Quando anche i vertici della Bbc trovano il coraggio di dimettersi per la gravità di quanto avvenuto, i nostri mezzi accorrono in amorevole soccorso. Se dovessimo ancora una volta valutare la credibilità sulla base del modo in cui viene raccontata questa storia, il giudizio non sarebbe positivo. Ma quanti credono in Italia che Trump abbia effettivamente avuto un ruolo attivo su quanto avvenuto il 6 gennaio 2021 a Capitol Hill?
Ancora in tanti, nonostante la brutta figura della Bbc. Tucker Carlson svelava su Fox News -prima di essere licenziato - come lo sciamano trumpiano fosse entrato dentro Capitol Hill scortato dagli agenti dei servizi di sicurezza. Le telecamere interne documentavano tutto. Ma Carlson era trumpiano. Quindi non credibile per definizione. Fu ribattuto che quelle immagini si riferivano all’uscita «ordinata e composta» dello sciamano da Capitol Hill. Non alla sua entrata. Difficile da credere fino in fondo ma plausibile.
Ma solo chi legge La Verità sa che un anno dopo - il 22 gennaio 2022 - il senatore repubblicano del Texas Ted Cruz formulava domande secche ad un alto funzionario del Fbi: Jill Sanborn. La quale rispose sempre «non posso rispondere». Quali erano le domande? Se c’erano agenti Fbi o informatori confidenziali quel giorno a Capitol Hill; se questi avessero partecipato attivamente alle violenze; se avessero incoraggiato altri partecipanti alla violenza. Tutto visibile persino su Youtube. Il che è tutto dire. Eppure, la narrazione tale rimane. Quindi i mezzi di informazione non sono forse valutabili se si ritiene che il loro lavoro sia raccontare i fatti esprimendo ovviamente, come è giusto che sia, l’opinione in linea con la linea editoriale. Ma se invece si immagina che il ruolo dei quotidiani e dei mezzi di informazione sia quello di impostare la narrazione prevalente (il cosiddetto mainstream) e la musica di sottofondo, ben si comprende come siano invece molto più efficaci. E molto più appetiti anche da editori potenziali sebbene costantemente in perdita di lettori. I giornali si leggono sempre di meno, vero. Ma pur sempre finiscono nelle rassegne stampa dei politici e delle trasmissioni televisive. E questo è benzina del successivo racconto che poi entra comunque dentro i social e continua ad alimentare la narrazione. Chi non ricorda il modo in cui veniva raccontata la vittoria di Giorgia Meloni? Il racconto di quei giorni nel 2022 si focalizzava solo ed esclusivamente sulle sicure reazioni negative dei mercati finanziari. Oggi a tre anni di distanza sappiamo che dal momento del giuramento Piazza Affari ha guadagnato oltre il 100%. Che il differenziale di rendimento fra Btp e Bund a 10 anni è passato, sempre nei tre anni di governo Meloni, da un valore di 250 a 75. Poco sotto quello della Francia che però partiva da 57. Sempre tre anni fa. d il filone narrativo legato alla finanza scompare. Come non ricordare poi gli anni di feroce campagna sul referendum Brexit? I mezzi di informazione erano quasi tutti appiattiti sulla vittoria del Remain anziché della Brexit. Ci immaginavamo come il racconto fosse il risultato di un comune sentire che pervadeva il sentimento delle elìte al comando nel mondo. La realtà è invece maledettamente più elementare. Come spiegato da Thomas Fazi nel report «Brussels media machine: Eu media funding and the shaping of public discourse» (Mathias Corvinum Collegium), la Commissione Ue ha molto banalmente messo a libro paga molti quotidiani, siti di informazione e Tv. Con la scusa di finanziare specifici progetti di informazione e divulgazione relativi a progetti dell’Unione europea, di fatto si metteva in piedi un’orchestra che suonasse una sola musica per il concerto. Veniva promossa la retorica unionista, federalista ed integrazionista. Per combattere la disinformazione dei media euroscettici quale magari quello che state leggendo. Solo nell’ultimo bilancio pluriennale in scadenza nel 2027 si parla di quasi 800 milioni destinati da Bruxelles ai media. Facile nutrire un qualsivoglia comune sentire con 800 milioni. Ecco come spiegarsi l’entusiasmo per il Green New deal. E connesso cambiamento climatico. Che già nel 2013 portava il Corriere a titolare indomito «Polo Nord nel 2020 il ghiaccio sarà sparito». Solo che oggi misurare la scarsa credibilità di certi racconti richiede molto meno tempo rispetto a qualche anno fa. Come non ricordare le previsioni apocalittiche sui dazi messi da Trump di un paio di mesi fa ma ora salutate da De Bortoli nel suo editoriale «Ma i dazi di Trump dovevano rovinarci? Tutte le previsioni (nere) che non si sono avverate». Forse conviene iniziare a pensare la maggior parte dei quotidiani per ciò che veramente sono: suonano la musica di sottofondo di volta in volta necessaria.






