2023-07-12
La Venezi attaccata anche in Italia: «Non deve suonare l’Inno a Roma»
Beatrice Venezi (Imagoeconomica)
Per il centenario della morte di Giacomo Puccini, l’artista ha eseguito a Lucca il brano del compositore. Ma il comitato promotore e il governatore dem Eugenio Giani volevano bloccarla: «È un testo fascista». Peccato che fu scritto nel 1918.Cantare «Sole che sorgi libero e giocondo» non va proprio bene. Troppo fascista. E pazienza se l’Inno a Roma di Giacomo Puccini è del 1918 ed è stato scritto per celebrare la vittoria italiana nella Grande Guerra. Ieri sera, a Lucca, il direttore d’orchestra Beatrice Venezi l’ha fatto eseguire tra i bis, in occasione dell’apertura delle celebrazioni per il centenario della morte di Puccini. Ma durante l’ultima riunione del comitato promotore, nominato ai tempi del governo Draghi, Venezi è stata attaccata duramente per questa scelta «fascista» e il fatto più incredibile è che le censure più dure sono arrivate da due studiosi che fanno parte del Centro studi Giacomo Puccini di Lucca, che dovrebbe tutelare proprio il compositore e la sua opera. Venezi, lucchese, classe 1990, è stata appena al centro delle polemiche perché una serie di associazioni di Nizza hanno protestato contro l’invito a dirigere l’Orchestra filarmonica locale per il tradizionale balletto di Natale e per il concerto di Capodanno. Le associazioni della Costa Azzurra l’hanno bollata come «neofascista» e hanno chiesto di annullarle l’invito. Al momento hanno fatto cilecca perché in una nota, due giorni fa, l’Opera di Nizza ha fatto notare che «la musica ha il potere di superare gli schieramenti e di riunire gli individui attorno a un’esperienza comune» e che si deve quindi «separare l’arte dalla politica».Ieri sera, sul palco del Summer Festival di Lucca, Venezi ha diretto l’orchestra del Carlo Felice di Genova, per un concerto gratuito al quale hanno partecipato oltre 4.000 persone. Le arie e i duetti più famosi di Puccini sono stati affidati alla voce del soprano Carmen Giannattasio, del tenore Marco Berti e del baritono Massimo Cavalletti.Il problema erano i bis previsti dal direttore d’orchestra, che li aveva annunciati nell’ultima riunione del Comitato per il centenario, dove siedono sindaci della zona, esperti di lirica e teatro, responsabili di fondazioni varie. Venezi ha spiegato che come bis avrebbe fatto eseguire la romanza della Turandot Nessun dorma e l’Inno a Roma. Apriti cielo. A poco è servito che il direttore d’orchestra spiegasse che l’inno si presta a essere cantato da tutti e tre i cantanti della serata. Il problema è che è storicamente associato al fascismo, che se ne appropriò. Contro questa scelta si sono scagliati il presidente della Toscana, Eugenio Giani (Pd) e i sindaci di Lucca, Mario Pardini (centrodestra) e Reggio Emilia, Luca Vecchi (Pd). Giani ha addirittura minacciato di non presentarsi al concerto. Fin qui, se si vuole, siamo nelle normali scaramucce politiche, anche perché la presenza a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni indubbiamente eccita gli animi. Il problema è che l’attacco più duro alla Venezi è arrivato da Gabriella Biagi Ravenni, che presiede il Centro studi Giacomo Puccini, per la quale l’Inno a Roma sarebbe un chiaro inno fascista, con un innegabile connotato ideologico. Ora, che sia stato per anni l’inno del Movimento sociale italiano è vero, ma proprio i musicologi e gli storici dovrebbero sapere che il brano fu scritto da Fausto Salvatori, e musicato da Puccini, nel 1918. Ovvero ben prima della nascita e dell’ascesa del fascismo. La sua prima esecuzione, il 21 aprile del 1919, fu in occasione delle celebrazioni per l’anniversario della nascita della Città eterna. Inoltre, come si capisce anche dal testo, («Fulgida in arme, all’ultimo orizzonte/ Sta la vittoria»), l’inno è stato scritto per celebrare la vittoria italiana nella Prima guerra mondiale. Venezi ha tentato di difendere la sua scelta spiegando che l’Inno a Roma non è apologia del fascismo, ma un esempio di amore per la patria. Anche un altro esponente del Centro studi pucciniani, il musicologo veneziano Michele Girardi, ha criticato duramente il direttore d’orchestra, associandosi alle accuse di apologia del fascismo. Certo, chi non conosce la musica può anche fermarsi alle leggende e alle strumentalizzazioni, e magari non sapere che ogni regime si appropria di tutto ciò che gli può servire per fare meglio la sua propaganda. Ma il «camerata» Puccini onestamente mancava, anche perché si tenne il più lontano possibile dalla politica, unendo idee conservatrici a un netto ripudio della guerra. Soprattutto, è incredibile che il tentativo di non far suonare l’Inno a Roma sia arrivato da due esponenti di un centro studi che nel suo statuto proclama: «L’associazione è una libera istituzione culturale senza fine di lucro, basata sui princìpi di democrazia e di uguaglianza. Essa si propone di promuovere la conoscenza di Giacomo Puccini e dei contesti nei quali egli visse e operò, della musica e del teatro d’opera del suo tempo e oltre». Insomma, tante buone intenzioni e tante belle parole, in mezzo alle quali stonerebbe la censura di Lucca. Il Centro Studi Giacomo Puccini, per altro, vive di stanziamenti pubblici e donazioni. Nel solo 2022, ha incassato oltre 95.000 euro, dei quali 75.000 dal ministero dei Beni culturali, ovvero da Roma. Ma niente inni, per carità, altrimenti è subito Ventennio.