2025-09-13
Un derby d’Italia da manicomio. Alla fine restano i cocci dell’Inter
Partita assurda allo Stadium: nerazzurri sotto per due volte, poi in vantaggio 2-3 a un quarto d’ora dalla fine. Ma la squadra di Chivu non riesce a gestire e all’ultimo minuto una botta da lontano di Adzic ribalta tutto: 4-3 Juve.L’Inter gioca, la Juve vince. Capita spesso allo Stadium, copione rispettato in pieno, compresi follie circensi, deliri difensivi e cotillons (4-3) nella prima classica della stagione di Serie A che qualche malato di ottimismo ha definito «epica». Praterie nerazzurre quando ad attaccare sono Kenan Yildiz e Dusan Vlahovic, muri di Berlino con filo spinato e nove in area quando a ruggire in avanti sono Lautaro Martinez (un fantasma) e Marcus Thuram. Alla fine è spettacolo proprio grazie ai Thuram Brothers, entrambi a segno, entrambi di testa, liberissimi, mentre gli altri stanno a guardare. All’Inter non basta una doppietta di Hakan Calhanoglu, non basta lo strapotere nel secondo tempo.A far esultare la Torino bianconera è una terrificante sassata al 92’ di Vasilije Adzic, il baby montenegrino di 19 anni entrato quando la Signora era in ginocchio. La differenza fra due squadre in cantiere è tutta nella consistenza difensiva, nell’intensità e nella capacità di soffrire dei guerrieri bianconeri rispetto ad avversari che, perdendo Simone Inzaghi, sembra abbiano perso la bussola e l’anima. Quelli in campo ci sono tutti (o quasi) ma giocano con il 20% in meno di ferocia, di precisione nei passaggi e di velocità d’esecuzione. La differenza fra una squadra vincente e una squadra normale. Nonostante lavagne, sovrapposizioni e diavolerie tattiche, nel derby d’Italia i supporter di entrambe le squadre riscoprono il fascino del buon vecchio tiro da fuori. Lo sperimenta Hakan Calhanoglu (è la sua specialità) nella strepitosa doppietta da regista ritrovato in pieno, lo enfatizza deliziosamente Yildiz con la sassata da 25 metri del 2-1. E impone la legge del missile da lontano l’Adzic all’esordio con lo stellone sulla schiena. Ha un solido alleato nel portiere nerazzurro Yann Sommer, paracarro nel battezzare tardi sia il tiro di Yildiz, sia quello del balcanico. Curioso l’inizio di stagione dello svizzero, piantato a gambe larghe in mezzo alla porta come un Giuseppe Garibaldi di pietra, buono per nobilitare una piazza del centro non certo per evitare gol e sconfitte. Al via lo scenario è spettacolare as usual, le novità sono più televisive che altro con un’inutile telecamera (Refcam) appesa a un orecchio dell’arbitro di Como Andrea Colombo. È un pegno pagato alla stagione PlayStation ma nel calcio conta ancora la sostanza. Per esempio il ritardo di condizione di Federico Dimarco, al quale Cristian Chivu preferisce Carlos Augusto. E la decisione di Igor Tudor di mandare al centro dell’attacco il collaudato Vlahovic e non Jonathan David. Parte meglio l’Inter, più disinvolta della Signora che secondo Pierluigi Pardo predilige «il possesso ragionato». In realtà è un ruminare calcio un po’ bovino che nasconde la scarsità di idee nella cassetta degli attrezzi di Teun Koopmeiners, Manuel Locatelli, Kepren Thuram. Lo squadrone bianconero è in costruzione, reagisce meglio quando conquista palla e punta la porta interista in contropiede, con folate nella desertica autostrada della difesa avversaria, dove nessuno fa filtro (men che meno Henrikh Mkhitaryan e Nicolò Barella) e il nuovo Manuel Akanji sembra un pesce fuor d’acqua. È un festival del gol e degli errori. Barella spara a un millimetro dal palo dopo tre minuti, sembra che l’Inter abbia deciso di cercare la porta da lontano, visto che Gleison Bremer in otto partite (dopo l’infortunio) ne ha fatti subire zero ai suoi dentro l’area. Ma il primo a firmare un gol è Lloyd Kelly (13’) con un tocco a colpo sicuro mentre Akanji lo guarda da due metri. Calhanoglu pareggia al 29’ al volo, Yildiz lo imita da lontano al 38’ su assist di Bremer (è il secondo in meno di un tempo). Si va al riposo sul 2-1 con il 65% di possesso Inter e 10 conclusioni a sette.Nella ripresa è circo Medrano in purezza, con i nerazzurri scatenati per raggiungere il pareggio e i bianconeri che mettono in atto una strategia sorprendente per difendere il vantaggio: catenaccio senza ritegno, pullman parcheggiato sulla linea di porta all’Allianz. Non certo un incedere da big, altro che corto muso senza il suo profeta; Tudor avrà qualcosa da migliorare al capitolo personalità. La tattica è un disastro e l’Inter ribalta la partita in dieci minuti (65’ e 75’), ancora con il turco e poi con Marcus Thuram, bravo saltare di testa con i difensori bianconeri (soprattutto Pierre Kalulu) più immobili dell’esercito di terracotta. Quasi identico il pareggio del fratello Kephren dall’altra parte, con Piotr Zielinski e Alessandro Bastoni nelle veci dei fantasmi. Poco prima del 3-3 la Juventus tenta i cambi disperati e uno lo azzecca: dentro Lois Openda, Juan Cabal, Jonathan David, Joao Mario e quell’Adzic che pesca il jolly nel recupero. Gli interisti si lamentano per una presunta manata del Thuram bianconero a Bonny, ma l’arbitro non vede l’ora di chiuderla. Roba da polemica feriale. Alla fine la sensazione è quella di aver assistito all’alba fortunata di una squadra crescente (la Juventus) e a una velleitaria dimostrazione di forza di una squadra calante (l’Inter); 18 tiri a 12 per gli ospiti sono un ulteriore segnale di condanna. Il gioco? Meccanismi elementari supportati in panchina da due allenatori non mediocri ma di ripiego. La morale? I cicli di solito cominciano quando in campo c’è un gruppo affamato con un giovane leader (Yildiz). I cicli finiscono quando sconfitte immeritate come questa mettono il punto esclamativo. Juventus nove punti, zona scudetto. Inter tre, zona retrocessione. Il resto è conversazione.