2025-09-13
Il core de Roma si chiama Sora Lella. Una regina tra i fornelli e pure sul set
Prima puntata del viaggio alla scoperta di quel talento naturale e poliedrico di Elena Fabrizi. Mamma Angela da piccola la portava al mercato: qui nacque l’amore per la cucina popolare. Affinata in tutti i suoi ristoranti.La sua vita, per certi versi, è corsa a paso doble, percorsa con impegno e passione, oltre all’immancabile sorriso, fra le trame dei film che l’hanno resa celebre al grande pubblico così come abile regina tra sala e cucina nel suo locale, all’Isola Tiberina, e così nella vita quotidiana con chiunque avesse il piacere di incontrarla.Di Elena Fabbrizi (con la doppia «b» registrata all’anagrafe), al secolo «Sora Lella», ne dà una bella sintesi introduttiva quello che lei aveva nominato suo nipote adottivo, ovvero Carlo Verdone, che la volle nei suoi film e di cui parleremo dopo. Sono parole scritte nella presentazione del bel libro curato da Francesca Romana Barberini Annamo bene, con il contributo dei quattro nipoti che ora ne continuano la missione. «È stata la nonna di tutti» grazie a caratteristiche che la rendevano inconfondibile: «Quel suo viso, una mole dall’andatura un po’ dondolante», quel modo di parlare «schietto, pieno di espressioni dialettali, quasi ottocentesche» sono ingredienti unici e ideali a condensare in lei «una vera donna del popolo di altri tempi», con la giusta dose di «saggezza, buonumore», ma anche «filosofica rassegnazione, battute taglienti, sguardo sornione» quasi a darne l’immagine di «quelle matrone della Roma antica» ben descritte da Federico Fellini nel suo Satyricon.Questa è la Lella mediatica, poi c’è quell’altra, quella più quotidiana, nella trincea dei fornelli. «La sua abilità e creatività in cucina erano proverbiali». Per lei «nulla era banale, neanche un piatto di cicoria. Aveva sempre un segreto che rendeva anche la pietanza più semplice assolutamente speciale». Un’antologia che poi andremo a gustare di papille curiose. Ma nel suo pedigree c’era anche ben altro, la «convivenza», artistica, ma anche un po’ umana, con il fratellone Aldo, protagonista indiscusso della commedia all’italiana. La stampa dell’epoca si divertiva a ironeggiare su di una ipotetica rivalità tra i due. L’uno, oramai al tramonto dopo una brillante carriera; lei, donna matura in ascesa costante come una giovanetta di belle speranze. È lei stessa a troncare ogni possibile equivoco, perdonandogli qualche scappatella verbale che pur gli era scivolata dalla gola profonda, assediato da qualche penna guascona in cerca del gossip gratuito. «È un brontolone, ma va capito. Tutti l’attori grandi ci hanno un caratteraccio».Torniamo alle origini. Giuseppe Fabbrizi e Angela Petrucci misero al mondo sei figli. Il primogenito maschio, Aldo, classe 1905, e cinque sorelline, con Lella ultima arrivata, nel giugno del 1915. Papà Giuseppe faceva il carrettiere e, con il suo mulo, andava nelle campagne a procurarsi frutta e verdura che poi portava ai banchi del mercato, con mamma Angela che ne gestiva uno in Campo dei Fiori. Un malaugurato giorno scivolò in un fossato e mal gliene colse. Dopo alcune settimane morì di polmonite. Aldo lasciò gli studi e si improvvisò tutore delle sorelle, con Lella ancora ai primi passi. Per tenersela buona, la mamma se la portava al mercato e la lasciava giocherellare dentro una cesta vuota che usava per le patate. Anche da qui nacque, probabilmente, quell’imprinting per profumi, colori, anima «di quella cucina popolare romana che ti entra sottopelle» e non ti abbandonerà poi mai più.In questo clima del far tesoro di tutto quanto a disposizione per sbarcare il lunario quotidiano, Lella diventa una ragazza che non passa inosservata, tanto da convolare a nozze, nel 1935, con Renato Trabalza. E qui si aggiunge un altro ingrediente al formarsi di quella Sora Lella divenuta poi un’icona nazionale. Renato lavorava all’ ammazzatora, così era chiamato il mattatoio del Testaccio e, come avveniva a quel tempo, parte del salario era corrisposto in forma edibile, ovvero avanzi della lavorazione del bestiame, interiora e quant’altro.Su queste basi Lella affina la sua arte nel dare qualità e sostanza a piatti che fanno parte della più radicata tradizione romana: guanciale, coda alla vaccinara, trippe intriganti, animelle da lasciarci il cuore. Nel 1936 viene al mondo Aldo, il nome omaggio allo zio che fece da balia a mamma Lella anche se, in realtà, venne sempre chiamato Amleto, rimando al fratello paterno. Non sono anni facili. L’autarchia, figlia del regime, costringe le famiglie a concentrare le loro energie nel valorizzare al massimo quanto si trova a dimensione locale, ovvero con la tessera annonaria, e su questo la Lella cuciniera affina ancora di più arte e fantasia. Nei rari momenti in cui se lo potevano permettere, frequentano una trattoria in piazza della Cancelleria, a due passi da quella chiesa di San Lorenzo in cui si erano promessi amore eterno.Spesso Lella faceva omaggio all’anziano titolare, tale Pietro, di alcuni piatti che lei si divertiva a preparare tra le pareti domestiche. Talento che lui colse e apprezzò sino al punto da offrire loro la possibilità di rilevare un’attività a cui lui, oramai, non era più in grado di provvedere. Fu un’autentica sfida in quegli anni, gravati dal peso di un conflitto che loro stessi vissero in diretta. Dopo il rastrellamento del ghetto ebraico da parte delle Ss, capitò che i Trabalza-Fabrizi dessero rifugio a una famiglia scampata alla deportazione. Con gli avanzi di quel che restava in cucina, la nostra Lella diede loro vitto e alloggio per diverse settimane, compresa la trasferta per dare rifocillo a un’altra famiglia nascosta in una cisterna dell’ospedale Fatebenefratelli. Sebbene avessero usato tutte le possibili attenzioni, un giorno entrò nel locale un uomo in divisa e, armato, minacciò i due di feroce rappresaglia se non gli avessero detto dove si trovavano i rifugiati. Per fortuna venne in loro soccorso un vecchio cliente locale che, pur facendo parte della milizia romana, rassicurò i rastrellatori del momento che, in quel locale, non c’erano ebrei nascosti e, quindi, se ne potevano andare a cercare altrove.La trattoria sopravvisse agli «strabalzi» del tempo, ma il rapporto di coppia tra Lella e Renato dovette affrontare altre altalene e il locale chiuse la serranda nel 1946. Senza mai mollare la presa, mamma Elena conduce un negozio di alimentari nei dintorni. Con Renato ritornato sulla retta via, rilevano altri due locali, dapprima in via dei Balestrari, nei pressi di Campo dei Fiori, e poi nel quartiere San Lorenzo, ma la vera occasione, quella che darà una svolta alla loro vita, capita nel 1959. Anche qui c’è un vecchio gestore che vuol passare la mano. Siamo nell’Isola Tiberina, a due passi dal Fatebenefratelli. È un locale che non gode di particolare fama, ma le condizioni sembrano buone per provarci. Tra i tavoli c’è un cameriere di lungo corso che sembra in libera uscita da una scena di Roberto Rossellini: calvo, con le orecchie a sventola e il tovagliolo sotto l’ascella. Volava sornione tra i tavoli tanto da essersi guadagnato il nome d’arte di «aeroplano».Gli inizi sono un po’ difficili. Gente di passo, con molti che si recano a trovare i parenti in ospedale, quindi con ben altre priorità che godersi una pajata o una cacio e pepe. Ma Lella si impegna, ci mette l’anima e il cuore come sempre. L’idea di chiamare il locale «Sora Lella» viene al figlio Aldo «Amleto» che, nella vita, avrebbe voluto fare l’architetto ma che poi divenne il suo erede. L’anno prima, nel 1958, Lella aveva debuttato, seppur con un ruolo secondario, ne I soliti ignoti di Mario Monicelli. L’altro debutto, invece, quello ai fornelli, presentava difficoltà che, progressivamente, andarono a mettere duramente alla prova la passione e la tenacia di Sora Lella e del suo Renato. Si fanno coraggio e chiedono un incontro con il titolare che aveva problemi quotidiani ben diversi dai loro, sommerso da debiti della vecchia gestione che non riusciva a onorare. Arrivarono a un patto tra gentiluomini: se la giovane coppia lo avesse tolto dai guai saldandogli i vecchi debiti, lui avrebbe ceduto loro gratuitamente tutto il locale. Per sapere come va a finire, appuntamento a sabato 27.